L'AMORE MOLESTO. PADRE ALBERTO E ELENA INNAMORATI ALLA LUCE DEL SOLE

31776. CHIARAVALLE-ADISTA. Alberto Stucchi è sacerdote e religioso, priore del monastero di Chiaravalle, nel milanese, dove vive una comunità dell'Ordine Cistercense. Dopo 11 anni di vita monastica condotta, per ammissione stessa dei suoi superiori, in modo esemplare, ha conosciuto Elena, con la quale è nata una storia d'amore; dopo aver chiesto ed ottenuto dai suoi superiori un periodo di riflessione e discernimento extra domum, ossia fuori dal monastero, ha deciso di non interrompere la sua relazione. Quella vissuta da Alberto non è stata una crisi legata al suo ministero: non stava perdendo la sua vocazione; la stava anzi scoprendo; più che mai, dopo l'incontro con Elena, ha riconosciuto la bellezza della vita religiosa, e avrebbe desiderato continuare a condurla. Per questo ha provato a più riprese, insieme alla sua compagna, a dialogare con l'istituzione ecclesiastica, cercando di spiegare l'assurdità di un celibato vissuto non come scelta ma come obbligo; di rivendicare come l'amore per Dio e l'amore per una donna non siano in contraddizione. Su questo punto ovviamente con i suoi superiori non c'è stata alcuna possibilità né di dialogo, né di comprensione.
D'altra parte, sia Alberto che Elena hanno rifiutato di mantenere segreta la loro relazione, di accettare quella che è divenuta, nella vita religiosa, una consuetudine tollerata, quando non apertamente suggerita: "Di nascosto si ruba e si uccide, non certo si ama", ha infatti risposto Alberto a chi gli proponeva di vivere la sua storia nell'ambiguità, nel compromesso. Neanche accettare di lasciare Elena per tornare come se nulla fosse alla sua precedente vita era per Alberto una soluzione possibile.
Il suo desiderio di amore si è quindi irrimediabilmente scontrato con la rigidità delle leggi ecclesiastiche, con la contraddizione di essere fuori dalle regole canoniche e allo stesso tempo sempre più coinvolto in un'esperienza che lo faceva sentire sempre più monaco, prete, priore che mai.
Ed Alberto, tra due opzioni inconciliabili, ha scelto Elena.
La vicenda, narrata dai due protagonisti e commentata da don Franco Barbero, è apparsa sul quaderno n. 5 di "Viottoli" (la pubblicazione curata dall'omonima associazione, fondata da un gruppo di uomini e donne della comunità cristiana di base di Pinerolo). Chi desiderasse ricevere il numero può scrivere a: Associazione Viottoli - c.so Torino 288 - 10064 Pinerolo (To); e-mail: info@viottoli.it.
Adista ha intervistato Elena e Alberto, chiedendo loro di raccontare come è maturata la loro scelta.

Un amore fuori dai Canoni: intervista ad Alberto Stucchi

Qual è la tua situazione canonica?
In quanto prete è facile che mi sospendano a divinis. Prossimamente si riuniranno i miei superiori: probabilmente mi espelleranno dall'ordine; dal punto di vista monastico dovrei essere ridotto allo stato laicale.

Come vivi questa possibilità?
Da questo punto di vista mi sento ormai molto più libero che nel passato.

Quando eri nella fase di discernimento, che tipo di pressioni l'autorità ecclesiastica ha esercitato su di te?
Dal punto di vista formale sono intervenuti mandandomi delle lettere: in esse mi ricordavano come, a norma del diritto canonico, la mia posizione fosse irregolare: minacciavano quindi di prendere provvedimenti nei miei confronti. La pressione maggiore io l'ho avvertita soprattutto nelle loro parole. Dicevano di parlare per il mio bene, insistevano sul fatto che quello che facevo era male, che dovevo desistere dalla mia scelta. Io stavo vivendo un forte travaglio interiore, avevo bisogno di qualcuno che provasse a capirmi, che mi aiutasse a leggermi dentro, non solamente che mi mettesse delle paure, che peraltro io avevo già in abbondanza.

Insomma, più redarguito che aiutato…
La difficoltà che ho vissuto nel rapporto con i miei confratelli - perché io, quando stava nascendo dentro di me l'amore per Elena ne parlavo anche in monastero - la mia difficoltà, dicevo, è stata che loro mi riprendevano con delle argomentazioni legalistiche. Per questo un giorno dissi chiaramente ai miei confratelli: se domani dovesse cambiare il diritto canonico sono certo che voi mi rispondereste in maniera diversa da come fate oggi. Tra l'altro, quando discutevo con i miei confratelli, mi sembrava che per loro Elena fosse un qualcosa di indefinito, un oggetto quasi, che era venuto a turbare la mia vita. Negavano che il giudizio definitivo sulle nostre scelte spettasse a me ed a lei.

Volevano averla loro l'ultima parola su di voi?
Non esattamente. Mi dicevano che ciò che era capitato a me era successo anche ad altri preti, che ero giovane, che vivevo un momento di sbandamento. Insomma, cercavano di minimizzare. Io rispondevo che ciò che mi era capitato non si poteva considerare una "sbandata": certo, era accaduto qualcosa che non avevo previsto, ma che io volevo accogliere nella mia vita, non respingere. Mi sono accorto che era assolutamente impossibile dialogare con loro. Erano troppo legati al vecchio, alla legge.

Come hai scritto su "Viottoli", il principio agostiniano "Ama e fa' quel che vuoi" si trasforma drammaticamente in "Fa' quello che vuoi, ma di nascosto".
Ah, da questo punto di vista i consigli peggiori me li hanno dati in monastero. Ad un certo punto, a modo loro, erano arrivati anche a "giustificare" la mia relazione. Mi dissero che ero priore, che avevo tante responsabilità, che forse avevo bisogno di uno sfogo; l'importante era che non si sapesse in giro; appunto: "Fa' quello che vuoi, ma di nascosto".

Forse altri preti e religiosi preferiscono questa "doppia vita"…
Sono persone che vivono con molta sofferenza. Tengono molto al loro ministero e non vogliono perderlo. Uscire allo scoperto per loro vuol dire perdere la possibilità di essere preti.

Poi c'è il rischio dell'emarginazione…
Don Franco Barbero dice infatti che per queste persone bisogna avere molto rispetto. Su di loro incombe anche un problema economico. Dopo una vita passata dentro la Chiesa ti ritrovi improvvisamente ad uscire, magari quando hai 40-50 anni, ed a reinventarti daccapo l'esistenza… non è facile!

E tu?
Io non potevo fare altrimenti da come ho fatto. Fare le cose di nascosto, condurre una doppia vita, per me è inaccettabile.

Non hai paura di essere emarginato? Di rimanere senza lavoro?
In concreto non ho prospettive di lavoro. Adesso lavoro saltuariamente con un mio amico che si occupa di installazione di impianti antifurto. Il desiderio mio e di Elena è quello di rimanere a Chiaravalle, provare a rinnovare la vita monastica, aprendola a presenze anche diverse da quelle dei monaci. Questo rimane un sogno che sta prendendo forma. Magari bisognerà aspettare qualche anno, magari presto si aprirà qualche possibilità. A me piacerebbe tantissimo tornare a lavorare la terra, come facevo in monastero. Soffro molto il giudizio della gente, l'isolamento, meno per la questione economica. Elena mi ha accolto nella sua casa. Una qualche stabilità l'abbiamo.

Come hanno preso i confratelli la lettera che gli hai inviato?
Ho voluto provare a inviare anche a loro una lettera in cui abbozzavo questa idea di cercare Dio in maniera diversa rispetto a quella che ripercorre i modelli del passato. Mi hanno risposto dicendo che sono su posizioni che la Chiesa cattolica non può accettare. Gli ho risposto che era vero, ma che non si può giudicare tutto sulla base delle norme ecclesiastiche. Stando ad esse sarebbero tra l'altro fuori della Chiesa anche loro. Qualche settimana fa leggevo il documento di Ratzinger sugli omosessuali nella vita religiosa. Non è che nei monasteri non ce ne siano di gay… e non è che queste persone siano meno preti perché sono omosessuali.

La Chiesa rivedrà la legge del celibato ecclesiastico?
Io non sono un teologo. Non so formulare proposte. Posso solo dire che questo modo di vivere il cristianesimo, così legalistico, non può durare a lungo.

Non hai rimpianti?
Guarda, ho appena letto un passaggio tratto da un libro di Drewermann, una specie di preghiera, in cui si chiede al Signore: facci sbagliare, facci magari naufragare piuttosto che rinunciare ad intraprendere un viaggio verso l'ignoto, piuttosto che accontentarsi di cose di cui ormai non senti più la verità.

Quando l'amore suscita scandalo: intervista ad Elena Erzegovesi

So che in monastero è addirittura arrivata una comunicazione ufficiale al tuo ex marito, colpevole, secondo i monaci, di aver fatto conoscere te ed Alberto...
Sì, è vero. E lui si è molto spaventato per questa vicenda. La storia è questa: io e il mio ex marito siamo di fatto separati da sette anni, legalmente da tre. Anche dopo esserci lasciati, però, siamo rimasti in ottimi rapporti. Lui frequentava da molto tempo sia l'abbazia di Chiaravalle che quella di Fiastra. Aveva anche curato per i monaci la traduzione di alcune opere antiche. È stato per suo tramite che io sono venuta in contatto con questa realtà e fu proprio lui, un giorno, a presentarmi ad Alberto. Per questa sua sola "colpa", recentemente la segreteria dell'abate generale gli ha comunicato che l'Ordine lo ritiene responsabile di ciò che è avvenuto, e per questo non solo non avrebbe potuto continuare a collaborare con il monastero, ma gli è stato anche intimato di non avvicinarsi più a nessuna delle due abbazie. La sua responsabilità, secondo i cistercensi, è determinata dal fatto che, stando al diritto canonico, seppure separati già da molto tempo, lui era ancora mio marito. Doveva vigilare su di me. Praticamente aveva lasciato una seduttrice a piede libero…

Insomma, per l'autorità ecclesiastica voi due eravate incapaci di scelte autonome. La colpa della vostra storia d'amore era di qualcun altro…
Questo è terribile… ma c'è di più: se mio marito è stato considerato colpevole di averci fatto conoscere, i monaci ritengono me responsabile della scelta di Alberto, come se lui non fosse una persona adulta capace di decidere autonomamente. L'intervento che don Franco Barbero pubblicherà su "Viottoli" è molto bello. Si intitolerà "Il nemico": per l'ordine cistercense, infatti il nemico sono io. Nel suo testo Barbero commenta il linguaggio che è stato usato dagli abati dell'ordine contro di me. Loro invocano l'intervento dello Spirito Santo perché allontanasse me, la minaccia, da Alberto. Per loro sarei una specie di demonio…

Tu sei credente? Dopo questa esperienza è cambiato qualcosa nel tuo modo di credere?
Sì, sono credente, e vivo la mia fede abbastanza serenamente. Ho sempre avuto un mio modo di credere, incentrato sulla figura di Gesù. La gerarchia ecclesiastica ha sempre avuto poco potere su di me. Mi sono sempre sentita in grazia di Dio. Anche dopo separata ho continuato a fare la comunione.

C'è stata una fase in cui il vostro rapporto era clandestino? Come l'hai vissuta?
La fase della clandestinità per noi è durata molto poco; solo nei primi tempi abbiamo tenuto nascosti all'esterno i nostri sentimenti. Io mi recavo in monastero tre giorni a settimana come familiare, lavoravo in cucina, avevo uno splendido rapporto con tutta la comunità dei monaci. L'innamoramento è stato un evento vissuto con grande innocenza, trasparenza. Io e Alberto non ci abbiamo trovato nulla di male. Quando i monaci hanno saputo che ci amavamo, mi hanno allontanato, diffidandomi dall'avvicinarmi ancora all'abbazia. La fortuna bellissima che è capitata al nostro rapporto è che sia io che Alberto eravamo sulla stessa lunghezza d'onda. Non volevamo assolutamente mantenere il rapporto nella clandestinità. Per questo mi sono trovata spesso a disagio in questi mesi, perché le persone che conoscevano Alberto, i suoi amici, facevano pressioni su di me: mi hanno colpevolizzata, mi hanno chiesto se ero disposta a vivere nell'ombra, per il bene di Alberto (perché è sempre per il bene di qualcuno che dicono queste cose). Io ho detto che no, non ero e non sarei stata in grado di fare questa "grande azione" per il bene di Alberto, e che piuttosto avrei rinunciato alla relazione.

E quando facevano pressioni su Alberto, avevi paura?
Tanta. Quando sei di fronte ad una struttura così potente come è quella della gerarchia ecclesiastica non può essere altrimenti. Io poi non potevo farci nulla, non volevo intervenire, perché mi rendevo conto che ad Alberto in quel momento non potevo chiedere niente. I suoi turbamenti erano assolutamente legittimi. Loro gli ponevano un aut-aut; io non l'ho mai fatto, anzi sarei stata la donna più felice del mondo se lui avesse potuto continuare a svolgere il suo ministero.

Pensi che la gente di Chiaravalle vi accetterebbe se tornaste a vivere da quelle parti?
Allo stato attuale delle cose penso sarebbe più forte il pregiudizio. Finora non abbiamo ricevuto nessuna manifestazione di solidarietà, né proveniente dal monastero, né da fuori. Io spero che questa nostra esperienza possa servire anche ad altre persone che vivono situazioni analoghe alla nostra, soprattutto ad altre donne, specie a quelle che sono state costrette ad una condizione di clandestinità del loro rapporto.

da ADISTA 2003