Daniel Boyarin “Il Vangelo ebraico Le vere origini del cristianesimo”

 

– Castelvecchi editore pagine 186 prezzo € 22,00

 

Torno Armando, Miles Jack


Corriere della Sera - (23 settembre 2012)

 

 

Daniel Boyarin insegna Cultura talmudica all' Università della California e il saggio qui presentato, «Il Vangelo ebraico», ora in uscita da Castelvecchi, lo terminò nel luglio 2011. Negli Usa fu accolto con entusiasmo. Elliot Wolfson, professore di Lingua e Storia ebraica a New York, per esempio, asserì che «cambierà l' idea delle persone sulle origini del cristianesimo e sul suo complicato rapporto con l' ebraismo». Se si volesse riassumere in una riga la tesi di Boyarin, si dirà che Gesù predicò e agì nell' ebraismo, non contro di esso. Confrontando fatti storici, documenti, testi biblici, giunge a una tesi su «Gesù ebreo». E risponde alle obiezioni delle due parti. Se gli ebrei sostengono che il cristianesimo si è appropriato della Bibbia e l' ha modificata ai propri fini, Boyarin ribatte che lo stesso cristianesimo si è impossessato non solo dell' Antico ma anche del Nuovo Testamento, «strappando quel testo di natura ebraica dalle sue radici culturali sviluppatesi tra le comunità giudaiche della Palestina durante il primo secolo per trasformarlo in un attacco alle tradizioni». Insomma, il Nuovo Testamento è più immerso nella vita e nel pensiero dell' ebraismo dell' epoca di quanto sia creduto. Lo è, ribadisce lo studioso, anche in quei momenti che si credono di rottura: «L' idea di una divinità sdoppiata in Padre e Figlio, di un Redentore che sarà al contempo Dio e uomo, e che questi soffrirà e morirà nel corso del processo di salvazione». Alcune di tali idee, la divinità Padre/Figlio e il Salvatore sofferente, afferma, «hanno radici molto profonde nella Bibbia ebraica e possono essere annoverate tra le più antiche riguardanti Dio e il mondo che il popolo israelita abbia difeso a spada tratta». RIPRODUZIONE RISERVATA N on molto tempo fa, un importante rabbino conservatore mi ha confidato: «Daniel Boyarin è uno dei due o tre massimi luminari rabbinici al mondo». Poi, abbassando un po' la voce, ha aggiunto: «Forse addirittura il più grande». Questa osservazione mi è stata fatta in confidenza perché era evidente il turbamento del rabbino all' idea che qualcuno con le tesi di Boyarin potesse averle davvero fondate su base talmudica. Da cristiano, lasciatemi dire in tutta franchezza che queste idee possono turbare anche quei cristiani che hanno apprezzato l' originalità - altrettanto fondata - della sua lettura del Nuovo Testamento. Le brillanti idee di Boyarin ci turbano poiché complicano i rapporti tra due identità reciprocamente stabilite, e ne sfumano i contorni. Il suo maggior merito è di aver assunto un fermo controllo concettuale su tale reciprocità e di averla illustrata in una coraggiosa rilettura tanto dei testi rabbinici quanto dei Vangeli, una rilettura i cui risultati sono così allarmanti che, una volta compreso dove va a parare, a noi - ebrei, o cristiani - non resta che interpretare anche i passaggi più familiari delle sacre scritture in una luce del tutto nuova. Credo che il modo migliore per spiegare questo punto sia offrire un esempio piuttosto recente. Nel nostro vicinato c' è una famiglia con due gemelli, Benjamin e Joshua. Visto che sono eterozigoti, non hanno il medesimo aspetto e sono diversi anche da altri punti di vista. Ben è un atleta, un ambizioso senza scrupoli che guadagna a colpi di spintoni quel che non riesce a raggiungere con l' abilità. Josh invece è un cantautore in erba dagli occhioni romantici, il cui secondo amore, dopo la sua fidanzata, è la chitarra. La madre, che viene da una famiglia di atleti, ama dire di Ben: «È tutto maschio, quello lì». Il padre, che discende da una famiglia di musicisti e di romantici, predilige Josh. Dal momento che sono gemelli e che condividono la stessa stanza da quando erano bambini, Ben e Josh si conoscono molto bene. Ben sa perfettamente che Josh lo può battere in un match di baseball uno contro uno. E Josh sa che Ben è in grado di eseguire una melodia in due parti con una dolce voce tenorile che nessun altro, a parte loro due, ha mai sentito. Ma ciò che sanno l' uno dell' altro ha finito per contare sempre meno nel corso del tempo, mentre la versione «percepita» delle loro identità ha preso il sopravvento nella cerchia estesa di amicizie e conoscenze. (...) Daniel Boyarin vede l' ebraismo e il cristianesimo come Josh e Ben, anche se in ballo non ci sono lo sport e la musica. In ballo, piuttosto, c' è la questione - sempre cruciale ma forse non più di quanto lo fosse nel 70 d.C., dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme - di come gli ebrei dovrebbero relazionarsi col loro Dio e con la maggioranza gentile dell' umanità. Prima della distruzione del Tempio vi erano numerose scuole di pensiero in lizza su questo punto dirimente. E dopo la catastrofe, le uniche due a restare in piedi furono quella rabbinica e quella cristiana. Teologicamente parlando avevano le loro differenze, ma erano entrambe di stampo ebraico, così come Ben e Josh sono fratelli all' interno della medesima famiglia. Le differenze, come nell' esempio che ho portato, erano tutte all' interno della famiglia, e lì sono rimaste non solo per qualche decennio ma, come afferma Boyarin chiaro e tondo, per i primi secoli dell' era volgare. Ci è voluto così tanto per far sì che un' escalation di polemiche reciproche finisse per sopravanzare un senso profondo di fratellanza e creare due identità reciprocamente stabilite laddove, in origine, ve n' era solo una, per quanto non sedimentata. Ciò che Boyarin denigra è la semplificazione polemica di queste due identità, un involgarimento che ha spinto entrambe le fazioni a ripudiare, quasi fossero spinte da principi inestirpabili, pratiche e credenze che in origine ciascuna delle due avrebbe tranquillamente riconosciuto come proprie. È come se i pronipoti di Ben crescessero con questo dogma: «Noi non tocchiamo mai la chitarra, sono loro che suonano la chitarra, perché son fatti così». Mentre i discendenti di Josh, analogamente, dovessero giurare e spergiurare: «Noi non tocchiamo mai un pallone, sono loro che giocano a pallone, perché son fatti così». Gesù mangiava kosher? Se sì, sarebbe stato così poco cristiano da parte sua? Nel terzo capitolo del libro che vi accingete a leggere, Boyarin scrive: «Molte (se non tutte) delle idee e delle pratiche del movimento cristiano del I secolo, dell' inizio del II secolo d.C. e anche dei periodi successivi possono essere interpretate con certezza come parte integrante delle idee e delle pratiche dell' ebraismo di quei tempi. Le idee della Trinità e dell' incarnazione, o almeno gli embrioni di tali idee, erano già presenti tra i seguaci del credo ebraico molto prima che Gesù arrivasse sulla scena per incarnare tali nozioni teologiche e rispondere alla chiamata messianica». La Trinità. un' idea ebraica? L' incarnazione un' idea ebraica? Oh sì! E se pensieri come questi vi sembrano inconcepibili, posso solo insistere: continuate a leggere. Potrebbero sembrarvi tutt' altro che inconcepibili dopo aver letto l' analisi ben fondata di Boyarin del background ebraico relativo allo strano titolo di cui Gesù si fregia, Figlio dell' Uomo, una designazione che in teoria dovrebbe significare solo «essere umano», ma in realtà denuncia, tanto chiaramente quanto paradossalmente, un' identità divina molto più di quanto non faccia la più prevedibile, regale o messianica designazione di Figlio di Dio. © 2012 Jack Miles **** Il volume Il saggio di Daniel Boyarin, «Il Vangelo ebraico. Le vere origini del cristianesimo» (pp. 256, 17,50), con prefazione del Pulitzer Jack Miles, di cui anticipiamo qui un estratto, uscirà da Castelvecchi il 26 settembre