38538 SAN
PIETRO IN CARIANO-ADISTA.
Nell'arco della storia, le religioni hanno fatto tutto e il contrario di tutto:
hanno legittimato sistemi di dominio e suscitato movimenti di liberazione; hanno
invocato il nome di Dio per benedire il capitale e incoraggiato la creazione di
società anticapitaliste, hanno invitato ad amare il prossimo come se stessi e
hanno, di fatto, contribuito ad opprimerlo, calpestarlo, umiliarlo, massacrarlo.
Cosa c'è allora che non funziona nella nostra idea di Dio, nella nostra visione
della religione? È da qui che si muove la ricerca teologica impegnata nella
formulazione del cosiddetto paradigma post-religionale, al centro del libro
Oltre le religioni. Una nuova epoca per la
spiritualità umana, primo frutto di una collaborazione tra Il
Segno dei Gabrielli e Adista (2016, pp. 239, euro 16,50; il libro può essere
acquistato anche presso Adista, scrivendo ad abbonamenti@adista.it; telefonando
allo 06/6868692; o attraverso il nostro sito internet, www.adista.it). Curato
dalla nostra redattrice Claudia
Fanti e da don
Ferdinando Sudati, il libro raccoglie gli interventi (alcuni dei quali
già pubblicati in forma ridotta sulle pagine di Adista) di John
Shelby Spong, María
López Vigil, Roger
Lenaers e José
María Vigil – quattro tra i
nomi più prestigiosi, brillanti e amati della nuova teologia di frontiera –,
accomunati dalla tesi che le religioni così come le conosciamo siano destinate a
lasciare spazio a qualcosa di nuovo e non ancora facilmente prevedibile, ma
sicuramente aprendo all'insopprimibile dimensione spirituale dell'essere umano
un futuro ricco di straordinarie possibilità.
Con i loro
miti e i loro dogmi, con le loro leggi e la loro morale, le religioni sono state
a lungo il motore del sistema operativo delle società. Ma, almeno nella forma
che ci è familiare, non sarebbero destinate, secondo gli autori, a durare per
sempre. “Per sempre” sarebbe la spiritualità, intesa come dimensione profonda
costituiva dell'essere umano, non la religione, che ne costituisce la forma
socio-culturale concreta, storica e dunque contingente e mutevole. In questo
senso, allora, post-religionale non starebbe a significare post-religioso né
post-spirituale, ma più in là del religionale, cioè più in là di ciò che hanno
rappresentato le religioni agrarie, quelle religioni, cioè, che si sono formate
durante l'età neolitica, quando la nostra specie, passando dalle tribù nomadi di
cacciatori e raccoglitori alla vita sedentaria in società urbane legate alla
coltivazione della terra, ha dovuto necessariamente creare dei codici che le
permettessero di vivere in società, con un diritto, una morale, un senso di
coesione sociale e di appartenenza. Un ruolo, quello delle religioni neolitiche,
che, come evidenzia il clarettiano spagnolo, naturalizzato nicaraguense, José
María Vigil, sta ormai venendo meno di fronte alla profonda metamorfosi che
l’essere umano sta vivendo: una trasformazione radicale delle strutture
conoscitive ed epistemologiche, con tutti i relativi cambiamenti nel modo di
conoscere, nei postulati e negli assiomi millenari su cui l’umanità si basava
inconsapevolmente.
Di certo,
però, anche nella nuova veste che saranno chiamate ad assumere, le religioni,
viste ora non più come un'opera divina, ma come una costruzione degli stessi
esseri umani (sia pure spinti dalla forza del mistero divino), «dovranno
concentrarsi – sottolinea José María Vigil – sul compito essenziale, che non
cambierà: aiutare l'essere umano a sopravvivere diventando sempre più umano».
Solo che «questo compito, benché sia quello di sempre, potrà essere espresso con
un grande e creativo ventaglio di possibilità». E a chi teme la perdita
d'identità, cristiana o più strettamente cattolica, il teologo brasilianoMarcelo
Barros, nella sua prefazione, risponde non a caso citando le parole di
un amico rabbino, secondo cui «noi siamo umani non tanto per quello che ci
costituisce (nella nostra identità originale) quanto per la possibilità di
trasformarci o di lasciar evolvere quello che ci costituisce, senza smarrirci».
Che ne sarà
allora in questo quadro della tradizione di Gesù? Riuscirà il cristianesimo
nell'impresa di trasformare se stesso, reinterpretando e riconvertendo tutto il
suo patrimonio simbolico in vista del futuro che lo attende? Riuscirà a
liberarsi di dogmi, riti, gerarchie e norme, di tutti quei rituali religioni
che, spesso e volentieri, hanno finito per sovrapporsi al Vangelo, per
complicare anziché favorire la nostra relazione con Dio e con l'altro?
Il compito
non è di certo semplice, richiedendo un lavoro al tempo stesso decostruttivo per
superare tutto ciò che è ormai diventato obsoleto – e costruttivo – per
esplorare i modi in cui sviluppare in pienezza la nostra dimensione spirituale.
Di sicuro, come evidenzia il vescovo episcopaliano John Shelby Spong (sulla cui
figura e sulla cui opera si sofferma più estesamente, nella sua introduzione,
don Ferdinando Sudati), gli esseri umani continueranno ad aver bisogno di
riunirsi, di condividere, di celebrare, di alimentare la loro spiritualità, ma
senza più strutture e rapporti di potere che riproducano il potere
paternalistico di un Dio in senso teista. Di un Dio, cioè, inteso come «un
essere dal potere soprannaturale, che vive nell'alto dei cieli ed è pronto a
intervenire periodicamente nella storia umana, perché si compia la sua divina
volontà», un essere con poteri miracolosi da supplicare, servire e compiacere,
di fronte a cui prostrarsi come uno schiavo di fronte al padrone. Tuttavia, pur
nella necessaria – dolorosa ma alla fine liberante – rinuncia all'immagine di un
essere soprannaturale che ci faccia da genitore, il messaggio originario della
fede cristiana – è la convinzione di fondo attorno a cui ruota la riflessione
degli autori – non perde nulla di veramente essenziale, restando inalterata,
come spiega il gesuita belga Roger Lenaers, «la confessione di Dio come Creatore
del cielo e della terra, inteso come Amore Assoluto, che nel corso
dell'evoluzione cosmica si esprime e si rivela progressivamente, prima nella
materia, poi nella vita, poi nella coscienza e quindi nell'intelligenza umana, e
infine nell'amore totale e disinteressato di Gesù e in coloro in cui Gesù vive».
Come pure resta invariata «la confessione di Gesù come la sua più perfetta
auto-espressione e la comprensione dello Spirito come un'attività vivificante di
questo Amore Assoluto».
È a questo
complesso compito di riformulare il messaggio cristiano in un linguaggio che
possa risultare nuovamente rilevante e significativo che hanno rivolto le loro
riflessioni, e dedicato la loro vita, gli autori di questo libro, ma a cui
guardano con interesse e passione anche tutti coloro che avvertono la necessità
di trasformare radicalmente la propria religiosità, proprio per sentirsi più
vicini «alla Vita che Gesù ha difeso e a cui ha dato dignità», come spiega nel
suo modo impareggiabile la scrittrice cubana-nicaraguense María Lopez Vigil. E
così scoprire che, in questo viaggio iniziato nell'età adulta della nostra vita
spirituale, non si è in fondo perso nulla di importante. Che, come sottolinea
Claudia Fanti nella presentazione, «il nostro bagaglio è ora molto più leggero,
ma c'è ancora tutto quello di cui abbiamo veramente bisogno». E che, anzi,
«questo bagaglio diventato così lieve ci permette ora di camminare più spediti,
di godere realmente di tutto ciò che ci circonda, sentendoci parte di questo
paesaggio e cogliendone tutta la struggente bellezza. Ci permette di sentire il
respiro dell'universo, il nostro indistruttibile legame con la Vita, con l'Amore
senza limiti». Che è, poi, la stessa conclusione di Marcelo Barros: «Oltre le
religioni: l'amore».