“Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre” di Massimo Recalcati – Feltrinelli editore - € 14
di Luciana Sica,
la Repubblica, 20/03/2013
Si sente solo,
è smarrito, eppure Telemaco non è travolto dalla sfiducia. Non ha mai conosciuto
suo padre, ma forse un giorno potrà riconoscerlo. In una condizione malinconica,
con lo sguardo rivolto sul mare aspetta che da quell'immenso orizzonte di acqua
e di cielo, torni "qualcosa". Non un fulgido eroe senza zone d'ombra, ma un
padre che sa indignarsi per le dissolutezze dei Proci e difendere i suoi
affetti, un uomo anche imperfetto che però non ignora come la possibilità
dell'amore sia data solo in presenza del rispetto, dell'impegno, del senso di
responsabilità.
Telemaco è il nuovo figlio che si affaccia sulla scena culturale grazie a
Massimo Recalcati, un analista tutt'altro che estraneo alla dimensione politica,
capace di riflettere sui movimenti inconsci dell'esperienza umana ma anche di
uscire dai recinti del suo sapere lacaniano, efficacemente utilizzato anche come
una teoria critica della società. Con Il
complesso di Telemaco(
sottotitolo: "Genitori e figli dopo il tramonto del padre", Feltrinelli, in
libreria da oggi), Recalcati aggiunge un brillante tassello alla riflessione
sul tema centrale della paternità, sulla sua "evaporazione", secondo
l'espressione coniata da Lacan già alla fine degli anni Sessanta.
È un libro strettamente legato a Cosa
resta del padre?
- titolo di gran successo ristampato più volte da Cortina. Telemaco è infatti il
"giusto erede" di un genitore vulnerabile che non si propone come un modello
esemplare o universale, ma può rappresentare «una testimonianza etica,
singolare, irripetibile» sulla possibilità di stare al mondo con qualche
passione, sulla capacità di restituire fiducia nell'avvenire. E seppure la
verità che trasmette si sia indebolita, non c'è nessuna nostalgia per il pater
familias,
il tiranno che una volta assicurava l'ordine più repressivo, «incarnazione
normativa della potenza trascendente di Dio».
L'icona un po' struggente di Telemaco, che non trasgredisce la Legge ma anzi la
invoca, che non si crogiola nel nichilismo ma chiede al mondo adulto la
restituzione di un senso alla vita, allontana dall'immaginario la figura di
Edipo, del figlio inconsapevole e colpevole. Su quel mito sofocleo, Freud ha
costruito l'impianto della psicoanalisi - per dire l'interdizione paterna al
desiderio della "Cosa" materna. Ma se i padri non proibiscono l'incesto e anzi
lo promuovono, annullando la differenza tra le generazioni, anche Edipo
"evapora", diventa una figura incapace di descrivere l'impoverimento dei legami
familiari e sociali. Non basta più la sua colpa cieca per decifrare l'enigma
delle identità giovanili, tanto meno l'egocentrismo di Narciso, con quel suo
specchio che si rivela suicidario. Serve uno sguardo diverso sulla crisi
profonda che attraversa l'Occidente e il rapporto tra le generazioni. Ci
vogliono occhi ben aperti, come quelli di Telemaco, il figlio di Ulisse e
Penelope, di un uomo capace di coltivare una dimensione etica della vita e di
una donna che - a dispetto del corpo intaccato dagli anni - può contare su una
figura maschile non titanica, ma profondamente umanizzata.
«Telemaco si emancipa dalla violenza parricida di Edipo; egli cerca il padre non
come un rivale con il quale battersi, ma come un augurio, una speranza, come la
possibilità di riportare la Legge sulla propria terra», così scriveva Recalcati
in un articolo di un paio di anni fa, uscito su queste pagine con il titolo In
nome del figlio.
Il libro riprende e allarga quella riflessione senza eccedere in tecnicismi
scolastici, senza collezionare citazioni roboanti, ma ricorrendo anche alle
suggestioni del cinema: Habemus
Papam e Palombella
rossa di
Nanni Moretti, per dire la difficoltà di sostenere il peso simbolico della
funzione pubblica, l'afasia e la dimenticanza degli Ideali; l'inferno del Salòdi
Pasolini per alludere all'orrore distruttivo del godimento privo di desiderio,
al degrado del corpo senza Eros.
Nel capitolo più originale, ecco i quattro grandi interpreti del disagio
giovanile. Il protagonista del teatro freudiano, paradigma dello scontro tra il
vecchio e il nuovo, fa da inevitabile punto di partenza: «Il figlio Edipo
sperimenta il padre come ostacolo alla realizzazione del suo soddisfacimento. In
questo senso la sua figura ha ispirato le grandi contestazioni del 1968 e del
1977». Il figlio-Anti-Edipo (Deleuze e Guattari), "sottofigura del primo", ha
tenuto banco negli anni Settanta con la vocazione dell'orfano, deciso a
liberarsi del padre piuttosto che a combatterlo. Ma nel tempo successivo del
riflusso, quando trionfa «una falsa orizzontalità », il figlio-Narciso piega
l'ordine familiare alla legge arbitraria dei suoi capricci, si specchia negli
oggetti che consuma, con il penoso risultato di svuotarsi di ogni slancio
vitale. È in questi anni, con la grande crisi non solo economica del mondo
occidentale, che entra sulla scena Telemaco: è lui - un personaggio dell¿Odissea
- che «ci mostra come si può essere figli senza rinunciare al proprio
desiderio».
«Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero»:
Recalcati evoca il celebre detto di Goethe (citato da Freud) per affermare
quanto sia cruciale «il movimento di ripresa del passato», il confronto con le
tracce paterne cicatrizzate nel proprio destino. Ma alla fine di un libro così
pieno di pathos, nell'epilogo l'autore fa un passo ulteriore, si mette in gioco,
racconta di sé, delle intemperanze adolescenziali e dei suoi genitori: di un
padre dall'italiano incerto chino nella cura delle sue piante malate, di una
madre che non è andata a scuola e lo incoraggia a studiare. «Da bambino avevo
due eroi: Gesù e Telemaco. Era il mio modo di meditare sul legame con miopadre
e sulla sua assenza...
»: poco più di quattro pagine che emozionano, lasciano un senso di stupore. E
restituiscono in pieno quel fondamento cristiano di Massimo Recalcati.