ROGERS LENAERS, Benché Dio non sia nell'alto dei cieli, Massari Editore, Bolsena 2012, pagg. 288, € 14.
 

don Franco Barbero - agosto 2012

 

Il nostro Autore, un vecchissimo gesuita belga, che ora svolge il suo ministero come parroco in Austria, prosegue in queste pagine la riflessione avviata con il precedente libro "Il sogno di Nabucodonosor" (Massari Editore 2009).
Lenaers, con grande passione costruttiva, non fa che ribadire una constatazione: la presentazione tradizionale della fede non può suscitare un coinvolgimento vero e maturo in un uomo e in una donna che vivono nel contesto della modernità. Evitando talune facili contrapposizioni tra trascendenza ed immanenza, tra pensiero eteronomo e pensiero autonomo (che qua e là si trovano nei suoi libri con un eccesso di semplificazione), qui l'Autore con estremo equilibrio sottolinea l'esigenza di riformulare il messaggio cristiano in modo moderno.
È proprio la fedeltà al messaggio che ci sollecita ad una sua riformulazione. Non si tratta, comunque, di un aut-aut tra il pensiero dell'eteronomia e la cultura dell'autonomia: "i lati positivi dell'uno non devono per forza escludere quelli dell'altro. L'intuizione di una trascendenza sacra, punto forte del pensiero eteronomo, può conciliarsi con i punti forti del pensiero autonomo, cioè la presa di coscienza che l'uomo e il cosmo non sono burattini in uno spettacolo divino" (pag. 18).
L'Autore, in tono molto discorsivo, ragiona di etica, di eutanasia, di liturgia, di eucaristia, di lettura della Bibbia, di dialogo con l'ateismo. Per un cristiano maturo e adulto, si tratta di riflessioni assolutamente acquisite. Ma, se giri l'occhio attorno, vedi che tutte queste "ovvietà" non appartengono ancora alla predicazione cristiana e alla catechesi. Dunque, Lenaers si rende conto del divorzio totale che esiste tra la ricerca seria e consapevole e il contenuto del "cristianesimo ufficiale".
Nato teologicamente 50 anni fa alla scuola di Schillebeeckx, Kung e Rahner (senza dimenticare Barth e Tillich), io constato oggi una diffusa e crescente mancanza di vigore innovativo, una scarsa audacia in troppi teologi e teologhe.
Avevo pensato che il Concilio Vaticano II fosse come il trampolino di lancio per "aggredire" le sfide del tempo nuovo, ma oggi ci troviamo a ricordare e difendere quello che già allora consideravo troppo moderato.
Questa è la situazione. Per cui il nuovo volume di Lenaers è davvero utile a dipanare la matassa, a riaprire finestre, a invitare al coraggio. La parte del volume che riguarda la lettura della Bibbia mi è sembrata piatta e banale. A mio avviso, mancano sia una profonda conoscenza delle letture ebraiche sia la capacità di congiungere l'utilizzo dei metodi storici  e critici con la lettura spirituale (non spiritualista).
Il lettore e la lettrice trarranno grande frutto dalla lettura di queste pagine. Ancor più se ad esse aggiungeranno "Il sogno di Nabucodonosor" che dell'attuale volume costituisce la prima parte. Va riconosciuto il coraggio dell'Editore Massari (Casella postale 89 – 01023 Bolsena) e di don Ferdinando Sudati che ne è il curatore.


 

da ADISTA documenti n° 28 del 21.7.2012

 

Di seguito, riportiamo del libro (acquistabile anche presso la nostra agenzia, telefonando allo 06/6868692, inviando una mail ad abbonamenti@adista.it o collegandosi a www.adistaonline.it/index.php?op=adistalibri) alcuni stralci del capitolo sul conflitto tra fede e scienza. (claudia fanti

 

IL COSMO, AUTORIVELAZIONE DELL’AMORE ORIGINARIO

 

di Roger Lenaers

 

I rapporti tra la scienza e la religione sono sempre stati buoni. Tutti i grandi nomi della scienza fino al XVIII secolo erano credenti e anche buoni credenti: Vesalio, Mercator, Van Helmont, Galilei, Torricelli, Keplero, Pascal, Cartesio, Newton e così via. Perfino Darwin era un anglicano credente. (…). Nel XVII secolo c'era stato qualche conflitto, quando Galilei secondo la Chiesa andò un po' troppo fuori delle regole. Ma solo nella seconda metà del XVIII secolo quella convivenza cominciò a traballare e le tensioni portarono nel XIX a un divorzio, anzi a un divorzio contenzioso. La trasformazione del clima amichevole in vera e propria inimicizia si deve a molti fattori.

Un primo fattore fu la paura della gerarchia della Chiesa nei confronti delle idee illuministe degli autori dell'Encyclopédie, che minavano la sua autorità incontestabile. Le sue ben forti condanne fecero sì che il pensiero moderno, comprensibilmente irritato, le si rivoltasse contro. Si era dimostrata cieca di fronte alla verità e quindi contraria a un autentico sviluppo umano. In seguito l'Illuminismo non si rivoltò solo contro la Chiesa - una rivolta che aveva le sue buone ragioni di essere - ma anche contro la religione tout court. Un passo un po' meno giustificato, ma forse determinato dal fatto che si conosceva la religione solo come fenomeno istituzionale. (…). Un secondo fattore fu la nascita di un movimento con radici politiche e sociali. Il patto fra trono e altare che in Francia, da sempre nerbo intellettuale d'Europa, santificò l'ingiustizia fin verso la fine del XIX secolo, fece sì che Dio apparisse inaccettabile da un punto di vista sociale, una potenza di oppressione. Non per niente il motto della Rivoluzione francese fu: ni Dieu, ni maître (né Dio, né padrone). Durante l'Ancien Régime l'ingiustizia veniva sopportata per lo più con pazienza, come la volontà di Dio, ma nel XIX secolo quell'ingiustizia si scontrò con le nuove idee sui diritti umani, l'uguaglianza e la libertà, e suscitò un'opposizione organizzata. Un Dio che benedicesse l'ingiustizia aveva ormai fatto il suo tempo. Furono soprattutto Marx ed Engels a diventare i portavoce di quella tendenza antireligiosa.

LA SCIENZA DIVENTA ATEA

Fino alla metà del XIX secolo, la critica della religione era rimasta dominio privato della filosofia, di pensatori quali Feuerbach, Marx e Nietzsche, mentre gli scienziati avevano fino ad allora potuto convivere bene con un Dio che non li disturbava nel loro lavoro. A un certo punto alcuni di loro ebbero l'impressione che questo non fosse più possibile. (…).

All'inizio del XVIII secolo Newton, fisico e astronomo geniale, aveva potuto ancora integrare Dio nelle sue teorie, senza che la sua fede fosse messa in discussione. Verso la fine di quello stesso secolo, invece, tutto era cambiato. È ben conosciuta la reazione dell'astronomo Laplace quando Napoleone gli chiese che posto avesse Dio nel suo sistema astronomico: «Sire, non abbiamo più bisogno di questa ipotesi». Non era ancora una confessione di ateismo: significava solamente che era possibile spiegare i fenomeni astronomici senza fare ricorso a una forza non appartenente all'ordine cosmologico. La scomparsa di Dio dal pensiero scientifico, però, ha rinforzato sensibilmente il pensiero ateo. Infatti, mentre i filosofi sviluppano teorie personali e la loro visione convince solo chi è in sintonia con loro, gli scienziati si basano su fatti oggettivi. E mentre l'occidentale medio non capisce nulla dei ragionamenti dei filosofi, oggi anche la persona con un livello medio di scolarizzazione può aver accesso alle scoperte scientifiche, grazie al lavoro divulgativo fatto dai media. Questo dona un'aura di credibilità alla critica della religione fatta dalla scienza e la rende perciò ancora più influente.

Così come i filosofi, anche i crociati antireligiosi provenienti dalla scienza moderna sono interessati alla difesa dell'autonomia e della razionalità dell'essere umano, più specificamente nella forma dell'autonomia del pensiero scientifico. L'idea che un potere esterno al cosmo possa intervenire nei processi terreni mette in discussione l'affidabilità della ricerca scientifica. (…). Oltretutto, la regola fondamentale della ricerca scientifica è la verificabilità di ogni affermazione. Ma gli enunciati sull'altro mondo e i suoi possibili interventi non sono verificabili e non hanno quindi alcun fondamento di certezza. (…).

Poi arrivò Darwin e ciò che la sua ricerca scientifica portò alla luce minò, senza che lui lo volesse, il racconto biblico della creazione. Il darwinismo fu così all'origine del conflitto, lungo e duro, tra la scienza e la Chiesa. Mantenere la visione della Bibbia era infatti, per i credenti di tradizione giudeo-cristiana, una questione di vita o di morte. L'attendibilità della Bibbia era il fondamento della loro fede, sulla quale avevano costruito la propria vita. (…). Fino all'inizio del XX secolo Roma continuò a sostenere che Eva era stata realmente creata da una costola di Adamo, condannando e punendo qualsiasi dubbio pronunciato ai danni delle storie della Genesi. Poiché se la Bibbia non è affidabile nei suoi primi capitoli, come può esserlo in tutto il resto? Poteva essere ancora considerata la parola di Dio? (…). L'opposizione religiosa alla scienza nacque così dal profondo della psiche umana. In questi casi non servono neppure gli argomenti più logici. Il cuore ha le sue ragioni che non hanno più niente a che vedere con la ragione.

Che il conflitto non si sia placato risulta in modo incontestabile dalla situazione degli Stati Uniti, un Paese peraltro molto sviluppato. Ci può sorprendere, ma metà della popolazione americana crede ancora letteralmente alle storie della Bibbia e, su questa base, rifiuta la dottrina dell'evoluzione. Dio ha creato la terra circa 7.000 anni fa, lo si può calcolare Bibbia alla mano, nonostante tutte le ricerche paleontologiche e i fossili che sono stati ritrovati. (…).

CREAZIONE ED EVOLUZIONE: INCONCILIABILI?

Negli Stati Uniti cresce però anche un gruppo sempre più ampio di persone, soprattutto scienziati, che non solo rifiuta la storia della Bibbia, ma anche ogni approccio religioso al processo dell'evoluzione. Sono i cosiddetti neodarwinisti, che seguono il darwinismo in modo coerente, ben più coerente dei credenti che da noi sostengono la teoria dell'evoluzione. Questi ultimi, infatti, non vedono ciò che è invece chiaro per i neodarwinisti: che la fede nella creazione è in contraddizione con la teoria dell'evoluzione presa davvero seriamente e che, a ben vedere, è in contraddizione con la scienza moderna nella sua totalità. (…).

Qual è infatti il contenuto della fede tradizionale nella creazione? Questa dottrina sostiene che un'istanza esterna al cosmo, onnipotente e superintelligente, realizza e dirige tutti i processi cosmici, inclusi l'origine e lo sviluppo degli esseri viventi. Ma la scienza moderna non vede traccia di queste attività. Tutti i processi seguono leggi interne, avvengono secondo catene chiuse e prevedibili cause ed effetti, senza alcun segno d'intervento soprannaturale. Parlare di questo tipo di attività è perciò un discorso vuoto, privo di fondamenti e che non spiega niente.

(…) Oltre a ciò non dobbiamo perdere di vista il fatto che parlare di un creatore nel senso tradizionale include per definizione l'idea della sua libertà d'intervenire in qualsiasi momento. Ma nella modernità non c'è più posto per questa idea d'intervento. Non bisogna meravigliarsi che un crescente numero di scienziati, in particolare biologi evoluzionisti, si dichiarino atei. Come esempio della loro posizione si può prendere il biologo evoluzionista inglese Richard Dawkins. (…). Chi condivide le opinioni di Dawkins non esita a sostenere che la dottrina della creazione ha potuto sussistere fintanto che non si sono trovate spiegazioni migliori per l'origine della vita e delle specie, ma che ora quell'epoca è passata, estinta grazie a una teoria dell’evoluzione fondata scientificamente da Charles Darwin e Hugo de Vries.

Con la sua pubblicazione L'origine delle specie per selezione naturale, Darwin fu il primo a fornire, intorno al 1860, gli argomenti scientifici necessari per spiegare l'evoluzione degli esseri viventi. Gli esseri che hanno la fortuna di sapersi adattare meglio all'ambiente sopravvivono e passano le caratteristiche alla loro progenie. Gli altri hanno la peggio nella lotta per la sopravvivenza e si estinguono. C'è così una continua selezione naturale che funziona sulla base della sopravvivenza del più forte, cioè di chi si adatta meglio. (…).

Ma da dove provengono quelle migliori qualità di adattamento degli esseri viventi? (…). All'inizio del 1900, circa mezzo secolo dopo Darwin, Hugo de Vries trova la risposta. Provengono da mutamenti spontanei del patrimonio ereditario. Radiazioni cosmiche o influssi chimici causano cambiamenti accidentali nei geni. (…). Se il cambiamento è un miglioramento, allora quest'ultimo passa alla progenie. (…). Tutto l'universo vivente è dunque il risultato di mutazioni casuali e di una selezione naturale durata milioni di anni.

Appare così, accanto alle mutazioni e alla selezione naturale, un terzo fattore indispensabile: un tempo infinitamente lungo. Le mutazioni benefiche sono infatti rare. Si possono paragonare a un cacciatore che spara a caso: potrà capitargli a volte di colpire una lepre, ma è ben più probabile che torni a casa a mani vuote o che colpisca un altro cacciatore invece che un animale. Proprio a causa della rarità delle mutazioni benefiche, il processo evolutivo richiede lunghissimi spazi di tempo. Comunque sia, alla fine di questo tempo infinito, ecco apparire ciò che agli occhi di uno spettatore sbalordito può solo sembrare il prodotto di un'intelligenza superiore. Di fatto non è che il frutto del processo di mutazioni accidentali e della selezione naturale descritti sopra, e di tanto, tanto tempo. Non c'è dunque né direzione, né piano, e così neppure una creazione (chi crea mira a un risultato) né un Dio creatore. Per citare un neodarwinista: «L'occhio umano è il risultato di milioni di colpi di fortuna». (…).

Il neodarwinismo (…) perciò rigetta con forza non solo il rozzo creazionismo, che si tiene fedele alla rappresentazione biblica dei sei giorni della creazione (incluse notiamo bene, la creazione del sole dopo quella delle piante, come se la fotosintesi fosse possibile senza di esso), ma anche la posizione di chi, come noi, sostiene sia la dottrina della creazione che la teoria dell'evoluzione, generalmente senza rendersi conto della contraddizione tra le due affermazioni.

Il neodarwinismo non deve pensare, però, di avere risposte soddisfacenti per tutti gli enigmi dell'evoluzione. Si porta dietro infatti varie questioni irrisolte, forse neppure risolvibili, come quella dell'origine della coscienza che, essendo di tutt'altra natura dei processi chimici nel cervello e nel sistema nervoso, è difficilmente spiegabile attraverso mutazioni genetiche. Proprio tali questioni irrisolte sono il punto su cui fanno leva gli oppositori del neodarwinismo. Anche se accettano tutte le scoperte della biologia evoluzionistica e sono perciò radicati nella modernità, vogliono tuttavia lasciare ancora un po' di spazio per un'attività creatrice di Dio. Questa descrizione illustra perfettamente la posizione di tutti coloro che vogliono risolvere la tensione tra teoria dell'evoluzione e fede nella creazione con l'aiuto dell'idea di un «Disegno intelligente».

IL DISEGNO INTELLIGENTE

L'idea di Disegno intelligente implica che tutto il processo evolutivo si sviluppi sì autonomamente seguendo le proprie leggi, ma che il risultato, però, sia troppo complesso e regolato per essere spiegato come effetto del gioco casuale di mutazioni non mirate. L'evoluzione deve perciò seguire un piano, iscritto al suo interno da una potenza intelligente e trascendente al momento dell'ipotetico big bang originario con cui tutta l'evoluzione avrebbe avuto inizio. Attraverso questo piano interno, l'onnipotenza creatrice guiderebbe il processo evolutivo che si sviluppa autonomamente. Non interverrebbe dall'esterno quindi, ma darebbe una direzione dall'interno. Così si manterrebbero sia l'autonomia del cosmo che la realtà di uno Spirito creatore.

Negli anni '90, questa idea ha destato interesse negli Stati Uniti attraverso le pubblicazioni del microbiologo Michael Behe e del matematico William Demsky. In quel Paese essa può contare sul sostegno di un gruppo influente e finanziariamente forte che vuole usarla per contrastare il neodarwinismo ateo. Nel frattempo l'idea di Disegno intelligente è arrivata anche in Europa. (…).

È possibile conciliare l'attività creatrice di Dio e l'autonomia dell'evoluzione con l'aiuto dell'idea di Disegno intelligente? E se non lo fosse, si deve escludere proprio ogni forma di conciliazione? (…). Più oltre diventerà chiaro che la contraddizione tra scienza e religione va totalmente attribuita al pensiero premoderno. Se si riesce a pensare diversamente la relazione tra Dio e il cosmo, allora scompare anche la contraddizione.

In ogni caso, gli avversari religiosi del neodarwinismo ateo hanno ragione quando sostengono che il risultato dell'evoluzione dà per lo meno l'impressione, anzi un'impressione irresistibile, di essere guidato da un'incredibile intelligenza. Infatti è di una complessità inimmaginabile e allo stesso tempo è completamente ordinato, due caratteristiche tipiche di un'attività intelligente. Chi si oppone a questa visione tira in ballo certi “errori” che contraddirebbero intelligenza e progettazione. Ma questi errori scompaiono di fronte alla quantità incommensurabile di casi in cui non si può far altro che avere l'impressione di un'attività incredibilmente geniale. Per non parlare poi della bellezza travolgente del risultato.

Se si vuole a tutti i costi respingere come illusione l'impressione di disegno e quindi di intelligenza ordinatrice, è necessario offrire per lo meno una ragione convincente. Ma la ricerca scientifica non richiede una tale confutazione. Infatti, la ricerca svela solo la catena di cause ed effetti e non fornisce argomenti pro o contro l'attività di un'intelligenza creatrice. Lo scienziato esige, giustamente, che non vengano inseriti nella ricerca elementi estranei a essa, per esempio interventi dall'alto. Ma questo, pensano i neodarwinisti, succede quando si vuole spiegare l'evoluzione cosmica collegandola al concetto di creazione. (…).

Ma questa paura e questo sforzo fatto per combattere l'impressione di un Disegno intelligente sono veramente fondati? Non lo sono per niente, rispondono i credenti che pensano in modo intramondano. La paura nasce infatti dall'opinione ottusa che ogni idea di Dio necessariamente renda il cosmo un grande teatro di marionette. Una concezione intramondana di Dio non lo rende affatto così. Questa è la via da seguire per riconciliare scienza e religiosità, e non quella della teoria del Disegno intelligente che continua inconsciamente a prendere come punto di partenza un Dio soprannaturale, come giustamente intuiscono Dawkins e i biologi evoluzionisti. Una riconciliazione può venire solo da un modo di pensare e di parlare di «Dio» che non metta in pericolo l'autonomia dell'essere umano e del cosmo. Forse è persino possibile fondare questa autonomia in modo più profondo e trovare una soluzione ad alcuni enigmi non risolti dalla teoria dell'evoluzione come l'origine della coscienza. Un discorso intramondano su Dio riesce a fare proprio questo.

LA CREAZIONE COME AUTOESPRESSIONE DELLO SPIRITO

Nel linguaggio credente moderno, la parola «Dio» non denota più un essere al di fuori e al di sopra del cosmo, ma una Realtà spirituale superiore, che si rivela in modo evolutivo sotto forma di cosmo, ma che allo stesso tempo lo trascende sempre. In ciò che segue non intendiamo dimostrare che si debba interpretare così l'evoluzione, ma solo che la si può interpretare anche così e che si ha il diritto di farlo. Vogliamo mostrare che si può affermare una Realtà creatrice e allo stesso tempo l'autonomia di ciò che è stato creato. In questo ci può aiutare un paragone. Pensiamo a una sonata per pianoforte di Mozart. È fatta di una splendida cascata di suoni, cioè di vibrazioni dell'aria che fanno muovere i timpani e vengono trasformate, attraverso le vie meravigliose dell'orecchio interno e del nervo uditivo, in impulsi elettrici che stimolano il tessuto cerebrale e diventano così udibili. Tutto questo processo consiste solo di fenomeni constatabili e spiegabili scientificamente. Rimane, però, l'enigma, anche per il neodarwinismo, che stimoli materiali possano essere allo stesso tempo fenomeni della coscienza. In ogni caso, quella sonata è molto più che un susseguirsi di vibrazioni dell'aria con diverse lunghezze d'onda, tutte misurabili e descrivibili con precisione. È la traduzione delle onde materiali in qualcosa che appartiene a un ordine completamente diverso: l'ispirazione di Mozart. È lo «spirito» di Mozart che s'incarna nella materia, la sua interiorità che si esprime in quella forma di bellezza. Questo spirito non è un'aggiunta, un fenomeno che si possa portare alla luce attraverso un'analisi precisa delle onde sonore. Tuttavia, nessuno penserà che sia assurdo parlare qui di ispirazione, e quindi di «spirito»; nessuno considererà il fatto di parlare di «spirito» come una minaccia alla spiegazione scientifica del fenomeno musicale.

Quest'attività creativa dello spirito non interviene dal di fuori nella struttura della musica. Non aggiunge e non elimina niente. Ma è (…) la ragione d'essere e la spiegazione ultima della sua bellezza. Questo prodigio di suoni è lo spirito che si esprime nella materialità. Ma l'autoespressione dello spirito nella materialità è precisamente ciò che noi chiamiamo creazione. Creare non è altro che questo. (…).

Il neodarwinismo meccanicistico spiega il prodigio del cosmo come il risultato della combinazione di mutazioni senza finalità e della selezione naturale nell'arco di un tempo incommensurabile. Ma niente ci proibisce di vedervi l'autorivelazione di una realtà spirituale che, nell'evoluzione delle forme di vita, ha rivelato gradualmente qualcosa del suo essere segreto. Se la creazione viene interpretata così, allora niente c'impedisce di vedere il cosmo come risultato della creazione. Creare non significa più «fare dal nulla», cui è stato ridotto da una teologia inadeguata, ma è la rivelazione graduale di uno Spirito trascendente. Questa interpretazione, inoltre, chiarisce alcuni fenomeni che sono rimasti oscuri nell'ipotesi meccanicistica dell'accidentalità. Per esempio, il fatto che la coscienza abbia avuto origine da qualcosa che non ha coscienza. (…).

Parlare di un Dio creatore significa dunque parlare di una Realtà originaria cosciente. Così non è più del tutto strano che l'autoespressione di questa Realtà originaria nel corso dell'evoluzione abbia assunto la forma di coscienza animale e poi di spirito umano. Questi erano già inerenti alla materia fin dal big bang originario, in forma per così dire congelata, e si sono sviluppati da lì nel corso del tempo cosmico.

Perciò Teilhard de Chardin non parla di materia morta, ma «non ancora vivente». Nella materia c'è una spinta alla vita e alla coscienza, e in questa spinta si rivela la presenza attiva di ciò che abbiamo chiamato Realtà originaria, che non si può identificare per mezzo di strumenti di misura. Un Mozart di dimensioni infinite. E allo stesso tempo purificato di tutte le inadeguatezze che si ritrovano sempre nelle similitudini.

Anche il concetto di creazione, infatti, dev'essere purificato. Anch'esso è una similitudine, che comporta il rischio di vedere Dio rispetto al suo cosmo come uno scultore rispetto alla sua scultura. In questo caso si concepisce la creazione come qualcosa di soprannaturale. Ma questo si può evitare se la si interpreta come l'autoespressione continua, in forma di cosmo, di uno spirito trascendente. La via seguita dalla creazione è la stessa dell'ipotesi di accidentalità del neodarwinismo, cioè quella della successione continua, nel corso di spazi temporali enormi, di mutazioni sempre nuove e sempre migliori. Ma questa strada non toglie niente al carattere della creazione, poiché creazione non significa un'aggiunta e un intervento dal di fuori, ma autoespressione attraverso tutte le strutture interne. Questo vale tra l'altro anche per l'opera creativa dell'essere umano.

Questo modo differente di vedere la creazione porta ad alcune conclusioni sorprendenti. La prima è che questa concezione è più religiosa di quella tradizionale. Dio si presenta come una realtà molto più vicina. Lo si incontra in tutto ciò che esiste, perché tutto è sua autoespressione. Non abita più in un altro mondo. È perfino intimior intimo meo, più profondamente in me del mio essere più profondo, come ha detto giustamente Agostino. La seconda conclusione è che questa Realtà originaria «Dio» aspira a diventare essere umano. Qui incontriamo un concetto cristiano, ma in un senso totalmente diverso da quello tradizionale, nel quale (il figlio di) Dio a un certo momento della storia cosmica scende dal suo cielo e assume «la carne» che ancora non aveva. Invece, diventare essere umano significa che questa autoespressione di Dio, cioè il cosmo, evolve verso la species umana (…). La terza conclusione è che la Realtà originaria si esprime anche nelle leggi cosmiche. Per questo è il fondamento più profondo di ogni processo, perché ogni processo è guidato da quelle leggi. Ma ciò che è già il fondamento più profondo di qualcosa non può più intervenire al suo interno. Inter-venire infatti presuppone che uno stia al di fuori. Allora tutto ciò che viene attribuito all'intervento divino, come rivelazioni, comandi, miracoli e grazie, non è più concepibile. La dottrina tradizionale della fede dev'essere quindi ripensata e riformulata.

Il valore di una tale concezione, in confronto a quella puramente materialista del neodarwinismo, è evidente. Alla luce di questa interpretazione, infatti, la totalità del processo evolutivo diventa incredibilmente significativa. L'essere umano è un essere alla ricerca di senso, esserne privato gli toglie la gioia di vivere e la disposizione ad agire. Ma per il neodarwinismo tutto il processo dell'evoluzione è privo di significato. I suoi sostenitori possono solo contemplare meravigliati la perfezione infinita e la bellezza che sono il risultato di questo sviluppo senza senso. (…).

Va poi detto che questa concezione credente immanente apre una prospettiva piena di speranza. Se l'evoluzione è arrivata fin oltre la soglia dell'umanizzazione, essa vorrà andare avanti e lo farà. L'umanità ha dunque un futuro, anche se non lo possiamo descrivere con precisione.

Il grande problema di questa visione, per lo meno all'interno della sintesi cristiana, è il male. Com'è possibile che da una Realtà originaria che è amore e perfezione possano emergere tragedie come terremoti o tsunami?

Non esiste una risposta soddisfacente a questa domanda. (…). D'altra parte è anche vero che un'evoluzione cosmica senza la morte non è pensabile. Ogni stadio dello sviluppo dev'essere superato e abbandonato, non semplicemente cancellato, ma assorbito in qualcosa di nuovo sotto un'altra forma; e una nuova forma significa la morte di quella precedente. Anche le stelle muoiono.

Com'è possibile che il male morale, come la Shoah, i gulag e l'infinito spargimento di sangue, che essenzialmente è sempre, o così appare, un rifiuto dell'amore, derivi dalla Realtà originaria che è Amore?

L'autoespressione dell'amore non può essere il suo contrario. E che essa sia Amore è garantito dalla vita e dal messaggio di Gesù di Nazareth, cui si rifà la visione credente cristiana. Per Teilhard il male è uno stadio inevitabile nella continua autoespressione dell'Amore, inevitabile a causa dell'imperfezione inerente a ogni stadio che precede la perfezione.

(…) Dal punto di vista intellettuale, non posso riconciliare l'amore e la sua negazione, cioè il bene e il male; il mio pensiero è troppo limitato per capire questo paradosso. Ma devo scegliere, non posso evitare di farlo. O credo nell'Amore nonostante il male o devo ritenere tutto senza senso nonostante l'impressione innegabile del contrario. Allora scelgo la prima alternativa. Oso affidarmi all'Amore. Nonostante tutto. L'esperienza di pace e soddisfazione interiore che questo mi dà mi fanno concludere che non mi sono sbagliato. Come qualcuno che segue un sentiero al buio nel bosco. Non vede il sentiero, ma mentre cammina i suoi piedi sentono che lo sta sempre seguendo.