I Salmi spiegati ai contemporanei. Per rinnovare il patto d’intimità con Dio

 

Claudia Fanti 

 

Tratto da: Adista Documenti n° 2 del 16/01/2016

 

DOC-2758. PADOVA-ADISTA. È diventato un compito centrale della ricerca teologica più avanzata: la necessità, cioè, di tradurre il messaggio cristiano, diventato ormai una sorta di lingua per iniziati, in un linguaggio in cui l'uomo e la donna moderni possano riconoscersi. Un tema affrontato in profondità da teologi come il vescovo episcopaliano John Shelby Spong o il gesuita belga Roger Lenaers, ma avvertito con maggiore o minore forza da una parte significativa del mondo teologico, nella convinzione che, se il cristianesimo vorrà continuare a parlare al mondo postmoderno, lo dovrà fare sulla base di nuove idee e di nuove parole. Ed è senz'altro a questa pista di riflessione che si può ricondurre il suggestivo libro del monaco benedettino brasiliano Marcelo Barros, biblista e teologo della liberazione di fama internazionale, Dialogo con l'amore. Pregare i Salmi nel mondo di oggi, pubblicato dalle Edizioni Messaggero di Padova (pp. 168, euro 14,50): una traduzione adattata e attualizzata di cinquanta Salmi - quelli più comunemente usati e apprezzati - che consente di recitarli, individualmente o collettivamente, nella prospettiva della realtà di oggi. Come è infatti spiegato nella Prefazione, dettata dal compianto vescovo brasiliano Tomàs Balduino da un letto di ospedale a Goiània, nel giovedì santo del 2014, «per molta gente, oggi, il linguaggio con il quale i salmi vengono rivestiti può essere un ostacolo» a «nutrirsi della ricchezza di questa profonda scuola di preghiera». Per questo, evidenziava Balduino, «è necessario avere il coraggio di rompere abitudini consolidate», rinunciando a espressioni che, sì, «ci accompagnano da molto tempo, ma non arrivano più a esprimere la realtà attuale nella quale dobbiamo vivere l’alleanza dell’intimità con Dio e in Dio». Del resto, proseguiva, «per condividere il pane con gli altri fratelli e sorelle, non possiamo conservarlo intero e intatto. Dobbiamo spartirlo». Ed è esattamente quanto avviene con il libro di Barros, in cui il teologo offre una nuova - macroecumenica e inclusiva - versione dei salmi, ciascuno dei quali preceduto da un’introduzione pensata per favorire la comprensione del suo significato e seguito da una preghiera di un autore attuale o antico di varie tradizioni spirituali dell’umanità e dalla proposta di una forma di applicazione pratica. 

 

 

Un dialogo d’amore per i nostri tempi

 

Marcelo Barros 

 

1. I SALMI CI INSEGNANO A VIVERE IN INTIMITÀ CON DIO

Orare (pregare) significa esprimere con la bocca (latino: os, oris, orare/pregare) e con le labbra l’amore che vive e palpita nel cuore perché, come Gesù ci ha insegnato, «la bocca parla dalla pienezza del cuore» (Lc 6,45b). Perciò, la preghiera è qualcosa di vitale. Nessuno ha bisogno di spiegazioni su cosa essa sia o su come pregare, così come nessuno fa un corso per innamorarsi o per coltivare un’amicizia. C’è però una differenza. Considerando che nella tradizione giudaico-cristiana e islamica la preghiera è rivolta a qualcuno che non vediamo e con il quale non possiamo dialogare come facciamo con le persone che vivono intorno a noi, riteniamo che, in questo caso, per pregare sia necessario apprendere un metodo.

È molto importante che, proponendoci di incontrare il mistero più profondo che chiamiamo Dio, evitiamo di ritrovarci a incontrare appena e solo noi stessi. (…). Nell’antichità, per definire l’idolo si faceva ricorso all’immagine nello specchio. Una persona pensa di stare davanti a Dio, mentre in realtà riflette, come in uno specchio, l’immagine di se stessa. Per pregare abbiamo bisogno, sicuramente, d’incontrarci profondamente con noi stessi, ma come un primo passo per disporci all’incontro più profondo con gli altri, in comunione con tutto l’universo, per immergerci in Dio e con Dio.

Per le persone educate nella tradizione ebraica e cristiana, i salmi della Bibbia sono poesie e preghiere composte da comunità oranti, in grande maggioranza di poveri e di oppressi. Quelle preghiere, i salmi, ci aiutano a rinnovare il patto d’intimità con Dio, a scoprirlo nel più profondo del cuore delle altre persone e a dargli testimonianza come alla luce e all’energia più intima del nostro essere.

In questa comunione così profonda, anche quando preghiamo da soli, ci avviciniamo all’ombra del mistero e ci affidiamo alle mani di Dio che Gesù ha chiamato «Abbà», «papà», e che alcuni salmi vedono come una madre. Nel suo seno riposiamo «come un bambino, dopo la poppata» (cfr. Sal 131).

Nella tradizione giudaico-cristiana, il libro dei Salmi è sempre stato il cardine della preghiera. Il sacerdote cristiano-ebreo André Chouraqui ha scritto: «Siamo nati con questo libro nelle viscere. Un piccolo libro. […] Più che un libro, è un essere vivente che parla – e ci parla – che soffre, geme e muore. Risuscita, canta e trasporta noi stessi e i secoli, dall’inizio alla fine». (...).

I salmi ci collegano alla storia del popolo di Dio. Muovendo da questa storia collocano la preghiera nel cuore di ogni realtà umana, guardata dal punto di vista delle persone e delle comunità oppresse. Così, i salmi creano un rapporto intimo tra la persona che prega, Dio e il popolo che cammina verso la liberazione. Senza questa scelta di amore e di giustizia, non esiste una vera preghiera biblica.

 

2. LE PREGHIERE DI UN ALTRO TEMPO NEL MONDO DI OGGI

Una difficoltà che incontriamo, nel pregare con i salmi, risiede nel fatto che sono stati concepiti in tempi molto antichi; quindi, all’interno di società e di culture molto differenti da quelle di oggi. Molti dei loro messaggi sono tuttora validi; ma il linguaggio religioso dei salmi e il modo in cui parlano di Dio appartengono a un passato che non possiamo più rivivere. Le culture antiche riflettono ed esprimono un rapporto di dipendenza dalla natura e un’immagine delle forze cosmiche che oggi non abbiamo più. Per esempio, i simboli della luce e dell’oscurità vengono da un mondo in cui non c’era l’energia elettrica, né le persone potevano comunicare tra loro con gli strumenti attualmente a nostra disposizione. Tuttavia, bisogna ammettere che nel nostro tempo, anche con l’uso della luce elettrica, la notte non ha perso la sua dimensione simbolica. Il timore delle forze cosmiche non è tanto forte quanto lo era anticamente, ma nelle nostre grandi città le persone continuano ad aver paura di uscire durante la notte. Inoltre, le disuguaglianze sociali e il modo perverso in cui è strutturato il mondo attuale subentrano, come forza di potere incontrollabile, a sostituire quella che nei tempi antichi era la dipendenza di ogni essere umano dalla relazione subalterna con la natura.

Comunque, anche oggi, siamo spettatori di disastri ecologici che ci ammoniscono sulla nostra debolezza umana. Ci dicono che siamo parte di questo universo e, che, se veniamo meno al rispetto della natura e la sconvolgiamo, tutti ne soffriamo le conseguenze, insieme con la nostra Madre Terra.

Nella liturgia e nella preghiera, continuiamo a usare il fuoco e le candele. Nelle più diverse tradizioni, questi simboli sono ancora in uso; ma, piaccia o no, la candela e il fuoco hanno una forza simbolica differente dai tempi antichi in cui erano, di fatto, l’unica luce per la notte. Di queste differenze culturali sentiamo l’impatto quando recitiamo i salmi, che esprimono così bene quelle antiche culture. 

A volte, ci sorprende anche il modo in cui alcuni salmi si esprimono in relazione ai popoli vicini e alle loro culture. Si tratta di espressioni che riflettono la realtà di un popolo oppresso che si sentiva minacciato dagli imperi limitrofi. Proprio per questo, i salmi si riferiscono agli stranieri con amarezza, con un atteggiamento di autodifesa e anche di rabbia. Oggi, non possiamo ripetere certe parole dei salmi contro i popoli vicini. Non possiamo pregare come se le persone di altre culture e religioni fossero nostre nemiche. Lo stesso legame d’Israele con la terra, con il tempio e con la sua identità di popolo, pur avendo molto da insegnarci, non può essere, assolutamente, riproposto.

 

3. ANDARE OLTRE IL LINGUAGGIO PATRIARCALE

In molti testi, e nello stesso stile dei salmi, si manifesta una cultura patriarcale. È troppo comodo dire che, avendoli ricevuti da un’altra epoca storica, dobbiamo accettarli così come sono. È evidente che, sebbene inconsciamente, il linguaggio patriarcale continua a fare del male alla società. È responsabile di molte sofferenze e ingiustizie che non piacciono a Dio amore, giustizia e inclusione.

Cambiare quel linguaggio non è facile. In molti salmi, esso è inerente al modo di parlare della persona che prega. Per fare un esempio, l’orante appare sempre nel genere maschile, cioè è sempre un uomo a pregare. Anche i riferimenti di tipo generale o universale sono sempre fatti nel genere maschile: i giusti e gli ingiusti, i peccatori e così via.

Nella maggior parte delle traduzioni della Bibbia, il Salmo 1 inizia con queste parole: «Felice l’uomo»! quando il significato è quello di «essere umano», uomo e donna. In questo libro cerchiamo di essere fedeli al testo del salmo ma, allo stesso tempo, cerchiamo di superare il genere maschile della persona che prega.

4. IL MODO DI NOMINARE LA DIVINITÀ

Più difficile ancora risulta la traduzione del linguaggio dei salmi quando essi si riferiscono direttamente al nome di Dio. In questo libro, siamo stati molto attenti a pronunciare il nome divino, con l’intenzione manifesta e dichiarata di obbedire, ecumenicamente, al comando biblico di non nominarlo. Crediamo, infatti, che questo comandamento non riguardi solo il popolo ebraico né sia oggi superato. Gesù rispettava la norma ebraica.

Secondo i Vangeli, quando si riferiva a Dio, preferiva sempre dire «Regno dei cieli», per non dire «di Dio». Nel Discorso delle beatitudini e in altre circostanze ha usato il passivo («saranno consolati, saranno saziati», per non dire «Dio li consolerà» o «Dio li sazierà»). In alcuni momenti speciali e nelle orazioni più spontanee, lo chiamava «Abbà», papà, ma spesso semplicemente si rivolgeva a lui con «tu» o si riferiva a «colui che è nei cieli».

I salmi, composti prima di Gesù, presentano due forme per nominare la divinità. La prima è quella dei salmi di tradizione jahvista; la seconda è quella dei salmi di tradizione elohista. 

I primi si rivolgono a Dio chiamandolo per nome. Comunemente, si usava scrivere il tetragramma sacro – le quattro consonanti impronunciabili del nome divino (Jhvh) – e in alto si poneva un simbolo che indicava al lettore di leggere «Adonai», il Signore o l’Eterno… Rivolgendosi a Dio come Signore e, in alcuni casi, come il solo Signore, i salmi intendevano relativizzare il potere divino dei re e accentuare il concetto che solo Dio può essere considerato Signore, perché fonte di vita e di conservazione di tutte le creature, di tutti gli uomini e di tutte le donne.

A partire dal tempo dell’impero romano, il titolo imperiale Kyrios (Signore) ha preso il senso di dominatore e sovrano. Un’immagine questa che Gesù non ha voluto riferire a Dio; perciò, lo ha chiamato «papà» e ci ha rivelato che Dio è presente negli ultimi del mondo ma si mantiene lontano dai grandi che dominano e imperano.

Attualmente, nel linguaggio usuale o comune, il termine «signore» è associato a un mondo in cui ci sono pochi signori e molti sudditi. Perciò, abbiamo evitato di tradurre il nome del Dio biblico nella traslitterazione usuale di «Signore». Abbiamo cercato, allo stesso modo, di non parlare di Dio al genere maschile. Vogliamo osare un nuovo linguaggio che ci permetta di unificare gli uomini e le donne oranti, nonché un modo più comprensivo di parlare di Dio: padre e madre, sposo e sposa dell’umanità. Dobbiamo ammettere che, a volte, con il cambiamento che abbiamo adottato il linguaggio simbolico del salmo risulta impoverito; però, allo stesso tempo, lo attualizza e lo rende più ecumenico.

I salmi di tradizione elohista usano, semplicemente, il nome Dio (El). Era il nome comune degli dèi cananei. Molte volte era legato a un luogo: Dio dei luoghi alti o Altissimo o Dio degli eserciti (El Shabbaot) o Dio delle corti celesti e così via. Alcuni salmi dicono che Dio abita nella montagna o nel santuario della tribù. Abbiamo cercato di tradurre tutto in un linguaggio più attuale per riferirci a Dio. Quindi, abbiamo evitato di ripassare l’immagine di un Dio nazionale o etnico che protegge il nostro gruppo e lascia morire coloro che di esso non fanno parte. Proprio perché elohista, cioè, per il fatto di adottare immagini di Dio che vengono dal mondo dei cananei e di altri popoli, questo tipo di salmi, se siamo fedeli al suo spirito, può aiutarci a esprimere Dio in un linguaggio più ecumenico e più pluralista. Non possiamo parlare di Dio come di una divinità violenta che uccide i nemici e si vendica di coloro che ci hanno fatto del male, secondo immagini presenti e ricorrenti nei salmi. Tentiamo di tradurle in modo da essere meno fedeli alla lettera e più fedeli allo spirito. Lo Spirito madre, che rende giustizia al popolo ebraico oppresso e gli garantisce la vita e la libertà, non è una divinità crudele con gli altri popoli. Al contrario, è il Dio dell’universo, il Dio di tutti; e gli stessi salmi di tradizione elohista, al presentare Dio come colui che vince il caos e armonizza l’universo, si prestano a questa lettura attualizzata. Senza cadere in circoli infiniti di parafrasi, abbiamo cercato di attualizzare questa forma di preghiera.

 

5. SALMI COMUNITARI PER PREGARE INDIVIDUALMENTE

In origine, i salmi sono stati raccolti come collezioni di cantici da usare, indifferentemente, nelle sinagoghe dei villaggi d’Israele o nel culto ufficiale del tempio di Gerusalemme. Abbiamo fatto questa traduzione in modo che i salmi possano essere utilizzati in comunità; ma abbiamo pensato, soprattutto, ai fratelli e alle sorelle che vivono nella diaspora del mondo e hanno difficoltà a ritrovarsi in comunità per pregare.

Abbiamo pure cercato di relativizzare il linguaggio o la cultura teistica che vede Dio, esclusivamente, come qualcuno fuori di noi con cui ci rapportiamo nella modalità: da un «io» o un «noi» a un «tu». Noi crediamo che Dio si manifesti in noi e dentro di noi. Incontriamo la divinità nell’intimità del nostro essere e non in una relazione eteronoma, cioè, esteriorizzata e «quasi come fuori dalla nostra vita». Un’altra questione importante è questa: come pregare, oggi, con i salmi che nei tempi antichi esprimevano le preghiere dei pellegrini nel tempio di Gerusalemme, considerato casa di Dio o luogo del suo riposo? Abbiamo cercato di tradurre in termini comparativi o, semplicemente, abbiamo sostituito il linguaggio del santuario e del tempio con espressioni legate all’intimità divina. (…).

 

6. POEMA EBRAICO E POEMA ITALIANO, TRADUZIONE E POESIA

Non è facile tradurre la poesia ebraica in italiano, rimanendo fedeli al contenuto delle parole o allo stile poetico e alla bellezza delle immagini originali e, allo stesso tempo, avere un testo italiano poetico e bello, da recitare oggi. Tradurre i salmi non sembra un compito possibile per una sola persona. Perciò, in questa traduzione abbiamo scelto di partire da una traduzione letterale e di ricorrere all’aiuto di poeti e di poetesse, di compositori popolari, di liturgisti e oranti di diverse esperienze e tradizioni. (…). 

I salmi ci aiutano a rinnovarci per vivere il patto d’intimità con Dio. Non è facile parlare di ciò che è intimo. (…). Con sant’Agostino, suggerisco le parole da lui scritte nel IV secolo: «Indicatemi qualcuno che ami e senta quello che sto dicendo. Datemi qualcuno che desideri, che cammini in questo deserto, qualcuno che abbia sete e sospiri per la fonte della vita. Mostratemi questa persona e lei saprà che cosa voglio dire» (Trattato sul Vangelo di Giovanni, 26,4)