A. DESTRO - M.PESCE, L'uomo Gesù. Giorni, luoghi, incontri di una vita, Mondadori, Milano 2008, pagg. 258, euro 18.
di Franco Barbero
dal
blog di Franco Barbero
- 12.1.09
Questo
volume, frutto di una ricerca matura e documentata di una antropologa e di uno
storico, si inserisce nel solco di decenni di "esplorazioni" sullo
stile di vita di Gesù, compiute sia da biblisti, da teologi e da teologhe,
specialmente nei percorsi delle teologie della liberazione e femministe. Molte
tessere di questo mosaico erano già presenti nelle molteplici opere sulla
ebraicità di Gesù. Qui la novità sta in primo luogo nell'impresa sistematica
che permette di lavorare utilizzando due competenze essenziali con una perizia
straordinaria. Mentre per secoli la disputa è avvenuta essenzialmente sul
"messaggio" di Gesù, da decenni ci si è concentrati sui "fatti
che riguardano Gesù". I nostri Autori, senza affatto accantonare il lavoro
interpretativo sul messaggio, tentano di arrivare all'individuazione dello
"stile di vita", della "pratica di vita" del nazareno.
L'intento è audace: "Non ci siamo sottratti al tentativo, arduo ma non
impossibile, di gettare qualche luce sulla sua vita interiore, sulle sue
emozioni e sui suoi sentimenti. Ci siamo trovati, alla fine, di fronte ad una
figura sconvolgente e a uno stile di vita personale, radicale, alternativo"
(pag. 7). Esattamente ciò che i più attenti biblisti hanno evidenziato con i
loro studi, senza però scendere in quei "dettagli quotidiani" che
solo l'antropologia può restituirci.
Ovviamente,
gli Autori enunciano alcune premesse oggi comunemente acquisite dai biblisti e
dai teologi, tranne quelli di corte: "In questo libro sosteniamo che Gesù
crede nel suo Dio tradizionale e non è il fondatore di un sistema religioso
diverso da quello in cui è nato. Il suo stile di vita e il suo messaggio,
il movimento che egli ha creato durante la sua esistenza non erano una
religione, concetto peraltro assente dal giudaismo del suo tempo. Egli invitava
a mutare comportamento in funzione di un profondo rinnovamento all'interno del
mondo giudaico in cui viveva. Solo quando i suoi seguaci divennero in grande
maggioranza non giudei, Gesù fu del tutto sottratto alla cultura giudaica. La
sua dimensione umana si perse di vista quando si cominciò a considerarlo
prevalentemente come un essere divino. La sua figura si trasformò allora da
quella di un autentico credente quale egli era in quella di un innovatore e
riformatore critico della sua cultura. Si cominciò così a perdere il senso
della sua fiducia e della sua attesa nell'intervento di Dio. E' a partire da
questo momento che si inserisce un cuneo tra il Gesù storico e quello delle
chiese successive" (pag. 16).
I
capitoli del libro sono articolati in modo da consetire un progressivo
avvicinamento a Gesù come individuo collocato in uno spazio, in un contesto di
relazioni e di pratiche.
L'attività
di Gesù non è collocata nella grandi città, ma nel villaggio in quanto
"i villaggi della Galilea sono luoghi dove la romanizzazione non viene
vissuta positivamente" (pag.22) e da questo punto di vista Gesù è un uomo
non integrato. Frequentare i villaggi significa immergersi in una quotidianità
composita e problematica in cui entrano in gioco relazioni di carattere
familiare, personale, economico, lavorativo, spesso cariche di tensioni e di
condizionamenti. L'ambiente di Gesù, sul quale egli si è costruito l'immagine
della propria terra, era quello dei villaggi della Galilea che
attraversava. Esso includeva però alcuni luoghi per lui significativi
della Giudea, soprattutto la "città santa". "Il suo proposito
era di cercare le pecore perdute" di tutta la casa di Israele dovunque
fossero, anche al di fuori dei confini assegnati dai romani" (pag.32). Il
fatto che Gesù appartenesse agli ambienti giudaici delle campagne non significa
che egli non conoscesse la vita e i problemi delle città. Anzi, il suo
atteggiamento anticittadino è comprensibile solo come risposta critica a
situazioni conosciute e rifiutate. "A Gerusalemme Gesù è andato per
partecipare alla Pasqua.Ciò significa che in certa misura egli sia integrato
con le masse che, in questa ricorrenza, vi affluivano in pellegrinaggio.
Egli appare come un giudeo osservante che compie un dovere festivo dettato dalla
tradizione: accetta la rappresentatività dei luoghi, degli apparati
religiosi" (pag. 36). La sua critica è rivolta al mondo con cui la
religione tradizionale veniva praticata. Qui avviene lo scontro che si estende a
tutto l'ambiente conservatore della città. Gesù invita il popolo a restare
radicato nei suo villaggi "dove egli pensava che fosse ancora possibile
combattere l'integrazione e resistere alla romanizzazione" (pag. 41). Il
camminare di Gesù da villaggio a villaggio determina incertezza e precarietà
nella sua esistenza: uno spaesamento. Lo spostamento incessante da un posto
all'altro lo sottrae alle regole della convivenza sociale, come i doveri
familiari e lavorativi di ogni giorno. La vita, fuori dalle consuete reti
familiari e lavorative, espone l'individuo sradicato a trovarsi con una base
identitaria molto labile. Deve costruirsi un reticolo di nuovi legami
interpersonali ed un costante riposizionamento. Lo spostamento continuo di Gesù
crea spazi di esperienza inconsueta per sè e per gli altri nei luoghi che
attraversa e negli ambienti domestici che frequenta. Egli non organizza la
propria vita a partire da una propria residenza o abitazione. "Un elenco
dei suoi spostamenti ci svela l'urgenza incalzante che egli sentiva di divulgare
ovunque il suo messaggio" (pag.46).
Gesù
non è un nomade nè un viaggiatore, nè un pellegrino. Gesù dunque non
viaggia. Si sposta, si spinge avanti. Procede velocemente. Non per vedere
luoghi, ma per incontrare persone: "Gesù si sposta verso la gente per
annunciare ciò che Dio ha deciso di fare. Ogni giorno Gesù ricomincia il suo
cammino, riattualizza il suo progetto, sostenuto dalla speranza in Dio"
(pag.51). "Bisogna abbandonare in fretta un luogo per raggiungerne
velocemente un altro" (pag. 55). Spessissimo Gesù cerca una vita di
scampo, una fuga in luoghi appartati e solitari. Il ricorso all'isolamento serve
a Gesù per salvaguardare la propria individualità e cercare concentrazione
dentro di sè. "Gesù cerca di rafforzare le proprie certezze rifugiandosi
nella propria interiorità. Ricorre all'isolamento per poter pregare e
comunicare con Dio, prima di predicare. La preghiera di Gesù è un atto
straordinariamente rilevante e strategico. Non è il ritirarsi in meditazione
del saggio o dell'eremita o l'abbandonarsi alla contemplazione della natura. La
sua preghiera non poteva non essere destinata al Dio della tradizione
giudaica". (pag.56). "Gesù è un uomo che insiste sulla propria
autonomia e non solo sull'incontro con gli altri" (pag.58). "Ogni
tanto Gesù si allontanava da tutti...Dopo aver dialogato con tante persone,
sentiva la necessità di sottrarsi...si isolava per pregare, per cercare un
rapporto diretto con Dio. Questa sua abitudine di pregare da solo svela un
aspetto incredibilmente profondo della sua identità. Pur cercando un rapporto
con tutti, egli era un uomo sostanzialmente solo, perchè autonomo e
indipendente. Trovava tutto il sostegno di cui aveva bisogno esclusivamente in
un appello al soprannaturale. E' questa pratica dell'invocazione e
dell'abbandono incondizionato a Dio che gli dà forza e stà alla radice della
sua solitaria vita personale. A causa del suo frequente isolarsi, i discepoli
conobbero solo parzialmente chi era e cosa aveva fatto...Parte della sua vita
rimase sepolta nel segreto, in cui nessuno è mai penetrato" (Pag. 211).
Gesù che aveva cercato il Battista e che aveva voluto esperimentare un atto di
conversione nel battesimo di Giovanni, all'interno del movimento del Battista
acquista coscienza di sè, della propria missione. L'incontro decisivo con il
movimento del Battezzatore colloca Gesù in quel pullulare di movimenti e gruppi
religiosi che proliferano in terra d'Israele e nella diaspora giudaica. Alcuni
sono caratterizzati dalla forma sociale itinerante. I vangeli descrivono in modo
diverso il formarsi del gruppo dei seguaci attorno a Gesù. Certo è Gesù che
organizza un gruppo di propri seguaci. Il fatto che Gesù insista sull'esigenza
per chi lo segue di abbandonare la famiglia, il lavoro e vendere i beni,
"significa che i suoi discepoli più stretti appartenevano ad un ceto
relativamente benestante, talvolta in ascesa...Erano parte di una rete di
commerci centrata sul mercato del pesce. Le persone che si stagliano sulla scena
sono anche legate fra loro da vincoli parentali forti (fratelli, padre e figli)
e da una impresa commerciale comune: ci sono anche salariati, forse
giornalieri" (pag. 68). Per Gesù chi lo accompagna è chiamato anzitutto a
seguirlo. Quindi gli si addice di più il termine "seguace" che quello
di "discepolo".
Sappiamo
poco della composizione sociale del gruppo dei discepoli, tolti ovviamente i
Dodici. Theissen, negli studi degli ultimi trent'anni, ha avuto il merito di
presentare in un modo ormai divenuto classico la divisione dei seguaci in due
categorie: gli itineranti che seguivano costantemente Gesù (dopo aver
abbandonato casa, famiglia, lavoro e avere venduto i propri beni) e i cosiddetti
stanziali o sedentari. Questi ultimi sono le innumerevoli persone che aderivano
al suo messaggio, ma rimanevano nelle proprie case e al proprio lavoro, come
Levi (un appaltatore di tasse), Giuseppe di Arimatea, oppure Marta e Maria e il
loro fratello Lazzaro. Il vangelo di Giovanni individua una terza categoria alla
quale appartengono Nicodemo, un fariseo "capo dei Giudei". Si tratta
dei "simpatizzanti segreti" (pag. 70). Ci sono anche quelli ai quali
Gesù rifiuta la sequela itinerante (Marco 5, 18-19). I seguaci non itineranti
rappresentavano, in realtà, la base del movimento di Gesù. Erano importanti
perchè aiutavano Gesù nello svolgimento della sua attività e a reclutare
seguaci. Senza l'aiuto di questi ultimi i predicatori itineranti non potevano
sopravvivere e senza la predicazione i seguaci stanziali non potevano esistere.
Il seguito di Gesù era nato per essere un gruppo misto composto di uomini e di
donne. Luca ricorda Maria di Magdala, Giovanna moglie di Cusa, Susanna e
"molte altre". "Gli studi attenti ai ruoli delle donne hanno
insistito nel riconoscere loro la funzione di discepole e non di semplici
aiutanti" (pag.72). Esisteva poi una cerchia più intima di Gesù. I Dodici
e i seguaci itineranti fanno parte di un reticolo a nodi multipli, centrato su
un leader e sulle relazioni personali con lui. I Dodici indicano la volontà di
Gesù di agire in pubblico attorniato da una cerchia che lo potesse sostenere.
Gesù si dimostra anche buon stratega ed organizzatore. "Nella visione
attribuita a Gesù il rivolgimento finale sembra debba verificarsi a breve
termine e i Dodici dovrebbero essere ancora vivi al momento dei giudizio"
(pag.75). Si tratta quindi di un gruppo ristretto e selezionato con il quale
Gesù condivide più profondamente la sua missione conferendo loro
rappresentatività e capacità. Le pagine dedicate agli incontri del nazareno
con la sua famiglia sono segnate da vicinanza e conflitto. Gesù vuole essere
libero dalle reti familiari.
Pagine
bellissime i nostri Autori dedicano a Gesù che cerca l'incontro diretto con le
persone. L'incontro con la gente, nelle sue varie forme, è essenziale per Gesù
perchè in esso può manifestare il suo ruolo e la sua capacità. Egli va
considerato come un predicatore marginale, cioè privo di autorità
riconosciuta, non legittimato dai poteri istituzionali, senza credenziali.
Poteva trovare un riconoscimento solo attraverso la reazione diretta della
gente. In alcuni suscitava attrazione, speranza di poter raggiungere, mediante
lui, le proprie aspirazioni. In altri provocava interesse, dubbio o sospetto. In
altri, infine, opposizione anche mortale. La gente cercava Gesù per avere un
incontro personale con lui, per ricevere conforto, benessere, sostegno,
liberazione da tante catene.
Le
sue doti taumaturgiche suscitavano entusiasmo nella folla: era proprio la sua
persona il centro dell'interesse della gente. "Le due traiettorie, quella
di Gesù e quella della gente, erano tendenzialmente contradditorie. Gesù
indirizzava le persone verso Dio. La gente, invece, cercava lui" (pag.99).
La
parte centrale del libro è dedicata all'orizzonte della commensalità. Mi è
difficile qui segnalare anche solo i passi più stimolanti. Del resto si tratta
di pagine che molti autori hanno largamente anticipato, ma trovano qui
puntualizzazioni preziose.
Il
cibo in comune ha il pregio di mettere in relazione chi è in situazione
diseguale. In un posto comune le persone che partecipano, l'ordine in cui si
collocano e il cibo prescelto assumono il valore di sintesi simbolica di un
gruppo sociale, delle sue gerarchie e dei suoi valori.
Intanto,
sradicati dal lavoro e da un nucleo domestico stabile, Gesù e i suoi seguaci
avevano bisogno di essere accolti da proprietari e capi di gruppi familiari,
semplici lavoratori o donne e di ricevere aiuto per il proprio sostentamento. I
"pasti" di Gesù che i vangeli ricordano agli occhi degli studiosi non
hanno tutti ugual grado di storicità. A volte il gruppo del nazareno mangia
lungo il cammino e possiamo pensare che fosse per loro normale portare con sè
una piccola scorta di pane e fermarsi a mangiare insieme lungo la strada.
"Da quello che abbiamo detto appare chiaro che la commensalità era uno dei
modi preferiti da Gesù per creare un contatto profondo e intimo con
Non
posso qui seguire gli Autori nell'analisi dei vari pranzi in casa di amici,
farisei, peccatori...fino al significato dell'ultima cena. La condivisione del
cibo contiene tutto l'universo simbolico e tutte le potenzialità che Gesù
portava con sè perchè è tesa all'annullamento di ogni differenza. Lì si
approfondiscono le solidarietà, ma si scatenano anche il dissenso,
l'opposizione e
L'orizzonte
della commensalità diventa centrale nell'insegnamento e nella prassi del
nazareno. "Gesù non ha scelto la collaborazione familiare, l'unione
coniugale o lo studio della Torah come massimo esempio dell'incontro tra gli
uomini, ma una commensalità che include tutti. Il mangiare insieme degli amici,
ricchi e poveri, giusti e ingiusti, insegna agli uomini cosa sarà il regno di
Dio sulla terra. Per questo Gesù insegna il regno mentre si mangia insieme. Il
libro fa nascere il desiderio di conoscere da vicino chi erano i seguaci
itineranti di Gesù, quali i loro "volti". Sembra trattarsi di persone
che avevano, in partenza, caratteri tutt'altro che omogenei." Nei vangeli
sinottici le chiamate di Gesù non avvengono mai dentro le case, ma lungo la
strada e sul posto del lavoro: "Il fatto che Gesù scelga i suoi discepoli
sul luogo del lavoro ci fa ipotizzare che cercasse un tipo di persona con
esperienza e capacità di porsi in relazione con anziani e giovani. Secondo Gesù
il doloroso abbandono del nucleo domestico orginario deve essere totale e
istantaneo. Non va mai rinviato" (pag. 140). E' innegabile, anzi evidente,
che tali decisioni non avvennero senza duri conflitti (pag. 141ss). Solo i
seguaci itineranti debbono vendere tutto. A coloro che rimangono nelle proprie
case si richiede una sorta di reimpostazione della vita. La natura del movimento
interstiziale non crea delle forme sociali alternative a quelle esistenti, nè
cerca di capovolgere i meccanismi istituzionali e religiosi, ma tende invece a
trasformare i rapporti e i nodi sociali di base (la domesticità, le aree delle
relazioni intime) all'interno dei quali si colloca la vita di tutti.
Gli
ultimi due capitoli "Gesù e il suo
corpo" e "Emozioni,
desideri e sentimenti" si leggono con utilità, ma
sostanzialmente raccolgono tessere di un mosaico ampiamente presunte in molte
opere contemporanee. Comunque, in tempi di decontestualizzazione e di
spiritualizzazione, fa sempre bene ricondurci all'esame della prassi corporea di
Gesù.
Questo
Gesù è stato fedele fino all'ultimo respiro, molto concretamente, allo stile
di vita radicale nell'attesa imminente dell'intervento di Dio. Alla fine
"Gesù rimane solo, con le sue sole forze, faccia a faccia con Dio.
Continua ad essergli obbediente" (pag. 214) davanti ad un mondo che gli è
sostanzialmente lontano ed estraneo. L'uomo della convivialità rimarrà
totalmente solo davanti a Dio.
Giunto
alla fine della lettura, anche dando uno sguardo alla serietà dell'apparato
critico, mi sono sentito sempre più attratto dal nazareno, sempre più
sollecitato a credere nel Dio che egli ci ha testimoniato, sempre più
riconoscente verso i biblisti e gli storici che tanto mi hanno aiutato a
scoprire Gesù.
Si
può convenire o dissentire su questa o quell'altra ipotesi esegetica, ma la
"ricostruzione" storica e antropologica è, a mio avviso, rigorosa e
interpellante. Raccomando vivamente la lettura di questo libro che aiuta ad
entrare nei tempi, nei luoghi, nell'intimità e nella fede del nazareno. Le
gemme di queste pagine vanno cercate nei particolari concreti che aprono
finestre talvolta inesplorate da una esegesi piuttosto astratta. Questi
sono i libri che vanno messi in mano alla gente perchè possa innamorarsi di Gesù.
Sono libri che sollevano nuove domande, stimolano a percorsi nuovi, ad
interrogarci sul senso delle troppo facili risposte "consolidate"
nelle nostre chiese e comunità. Che cosa voglia dire, oggi, fuori dal contesto
dell'imminenza della fine, vivere da "seguaci" del nazareno, è quasi
tutto da reinventare. Se e come possiamo tradurre nel nostro quotidiano lo stile
di vita radicale di Gesù, è probabilmente un interrogativo la cui risposta
"molteplice" non è affatto scontata. Possiamo e dobbiamo cercarla
insieme con umiltà e audacia.