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1266. BUENOS AIRES-ADISTA. Se
ne riparla ora, sempre sottovoce perché il personaggio è influente, ma il caso
è esploso la prima volta nel 1994. Risale a quell'anno infatti la decisione
presa in Vaticano di aprire un'indagine su mons. Edgardo Gabriel Storni,
arcivescovo di Santa Fé, oggi 67enne, accusato di abusi sessuali su almeno 45
dei giovani alunni del seminario locale da lui diretto. Oggi è tornato in auge
grazie al libro denuncia della scrittrice e giornalista argentina Olga Wornat,
"Nostra Santa Madre" (Ediciones B) presentato in agosto a Buenos Aires
durante la Festa del libro.
Nel capitolo "il Principe e il pastore", la scrittrice denuncia che
"i gravi fatti sugli abusi sessuali che coinvolgono l'arcivescovo di Santa
Fé, rivelati da un'indagine realizzata anni fa da mons. José María Arancibia,
sono stati messi a tacere e nascosti dalla gerarchia ecclesiastica argentina e
persino dal Vaticano".
Il libro della Wornat si basa sulle circa cinquanta testimonianze dei giovani
seminaristi e laici che frequentavano il seminario, raccolte da mons. Arancibia
nel '94, a cui la scrittrice ha avuto accesso anni dopo, corredate da altre
dichiarazioni e accuse raccolte direttamente dalla scrittrice tra ragazzi e
adulti che hanno avuto a che fare con l'arcivescovo. "Mi hanno raccontato
piangendo cose orribili", ha dichiarato la Wornat, per le quali "ho
provato rabbia e vergogna"; ma, ancor di più, "mi ha sorpreso il
fatto che qui, a Santa Fé, tutti lo sapessero".
Per l'indagine, Arancibia aveva stabilito il suo quartier generale
nell'abitazione di mons. Estanislao Karlic, allora arcivescovo di Paraná
ad Entre Ríos, dove tutti questi ragazzi andavano, all'insaputa di mons.
Storni, e raccontavano delle violenze fisiche e psicologiche cui l'arcivescovo
li sottoponeva.
Il materiale raccolto, più abbondante di ogni previsione, racconta la
scrittrice venne consegnato in Vaticano, alla Congregazione per i Vescovi, dove
sparì senza nessuna conseguenza per mons. Storni che è rimasto al suo posto
fino al 6 settembre scorso, quando, all'incontro con il papa che l'ha ricevuto a
Castelgandolfo, non ha fatto seguito il suo ritorno in Argentina (v. notizie sul
numero blu allegato).
Di seguito il resoconto della violenza subìta da un giovane seminarista e
quello dell'indagine condotta da mons. Arancibia estrapolati dal capitolo
"Il principe e il pastore" (i titoletti sono redazionali).
IL
PRINCIPE E IL PASTORE
di Olga Wornat
(brani tratti dal Capitolo 9)
"Questo non
è peccato, figlio"
"Era notte. Lo chiamarono al dormitorio principale. Il ragazzo credeva che
dovesse svolgere qualcuno dei suoi compiti giornalieri. Entrato nell'abitazione
appena illuminata da due lumi in bronzo, una strana sensazione di intimità gli
inondò il corpo e se ne sentì turbato. Cercò di non pensare e obbedì agli
ordini del suo superiore: lo aiutò a spogliarsi. Lo fece con pudore, credendo
però che fosse qualcosa di normale nel seminario e che doveva adeguarsi alle
norme di quel posto dove era giunto solo tre giorni prima. Tremando di fronte al
corpo del sessantenne, gli tolse un capo dopo l'altro… Quando finì, vide
cadere il corpo flaccido dell'arcivescovo sul letto, la sua nudità coperta
appena da un asciugamano. Il ragazzo credette di aver terminato così il suo
compito e si preparava a ritirarsi, ma si sbagliava. Buttato sul letto a due
piazze con testiera di bronzo, il monsignore lo chiamò con tono insinuante e
gli chiese che lo massaggiasse. Sempre più nervoso, ma mosso dalla paura e dal
rispetto che gli infondeva la figura, il seminarista appoggiò le sue mani sulla
pelle pallida, rosata e floscia e cominciò a frizionarlo. Ai massaggi seguì la
nudità completa e la richiesta che gli si coricasse a lato e che gli
accarezzasse tutto il corpo e soprattutto i genitali.
Confuso, turbato, spaventato, il ragazzino da poco giunto dalla campagna, figlio
di una famiglia umile, ubbidiva e ascoltava le parole serene e moderate che lo
incoraggiavano:
'Questo non è peccato, figlio, io sono monsignor Storni, un padre per tutti voi
seminaristi. Dobbiamo condividere il nostro amore. Dio guarda con benevolenza
questa manifestazione d'amore fra due uomini, fra un padre e un figlio. Egli ci
appoggia dal Cielo'.
Quando terminarono, il ragazzo uscì turbato dal dormitorio episcopale e si
chiuse nel suo. Un compagno lo vide mal messo, gli chiese se poteva aiutarlo e
il ragazzo gli raccontò piangendo quello che era successo. Quel compagno ero
io".
Con una indescrivibile smorfia di dolore, vergogna e schifo, un ex seminarista
di Santa Fé mi ha riferito così l'esperienza della confessione di quel ragazzo
di campagna. Da quel momento, la fonte diventò un orecchio privilegiato per
quel ragazzo, e dopo per tanti altri: potevano così vomitare il dolore e la
confusione di quegli abusi 'incestuosi' nei quali si trovavano coinvolti,
sedotti e costretti dal religioso più importante degli ultimi diciassette anni
dell'arcidiocesi di Santa Fé. (…).
Il coraggio di denunciare la verità
"Io - continua l'ex seminarista - avevo sentito, come tutti in città, voci
su una certa inclinazione omosessuale del vescovo e del suo circolo intimo di
sacerdoti, ma mai pensavo che mons. Storni fosse così dedito all'abuso. (…).
Avevo una seria vocazione e facilità per gli studi. Ho sofferto molto per
quello che succedeva là dentro. Molte volte ho visto che l'arcivescovo chiamava
nel suo dormitorio qualche seminarista - cercava sempre quelli che avevano
problemi con i genitori o erano orfani. (…). Lui si mostrava nudo nella sua
abitazione. Dopo venivano le pressioni per fare sesso e gli abusi concreti. I
compagni mi raccontavano dettagli da rabbrividire. (…). C'erano ragazzi che
arrivavano al seminario intorno ai 17 anni, dall'interno della provincia, con
molto poca o nessuna esperienza sessuale. Erano questi quelli che il vescovo
seduceva: gli diceva che era loro 'padre', che avere rapporti sessuali con lui
non era peccato, li confondeva moltissimo. Dopo, questi giovani avrebbero avuto
una buona sistemazione, il vescovo prometteva loro una buona parrocchia dopo
l'ordinazione, li comprava in cambio di sesso. Io non ho mai condannato le
azioni personali, non mi preoccupava allora e non mi preoccupa ora
l'omosessualità manifesta del vertice della curia della mia provincia; quello
che mi sembra aberrante è l'abuso di potere e la manipolazione delle coscienze.
Questo copre di fango e di vergogna la nostra Chiesa che io, come cattolico, amo
e difendo". (…).
Non è difficile capire, dopo aver ascoltato questa fonte, il grande dolore e la
profonda rabbia che sente di fronte all'impunità del potere che dal 1984
governa la Chiesa di Santa Fé e che, sembra, si perpetuerà malgrado le
gravissime denunce e i procedimenti avviati per ordine del Vaticano.
L'arcivescovo è un uomo molto potente nella struttura religiosa e politica
della zona. La sua vita è molto distante dagli insegnamenti del Vangelo, e
questi comportamenti, noti fino alla nausea agli abitanti della città, hanno
allontanato molti fedeli dalla Chiesa. Conservatore e reazionario a oltranza,
Storni fu amico dei militari della dittatura, con i quali pranzava molto spesso
e con i quali - si dice - condivideva la lotta contro "il comunismo
ateo", come dimostra l'affermazione della sua omelia del 25 maggio 1995
(all'epo-ca in cui i vescovi argentini discutevano l'ipotesi, poi
concretizzatasi in un documento, che la Chiesa chiedesse perdono per il silenzio
mantenuto durante la dittatura, ndt): "La Chiesa non ha bisogno di fare
nessun esame di coscienza e ancor meno di chiedere perdono alla società
argentina".
Il bavaglino sporco dell'arcivescovo
Le testimonianze dei giovani che affluivano all'arcidiocesi di Santa Fé sono
molto dettagliate sui costumi privati del monsignore.
Sebbene sia molto accurato, monsignor Storni mangia con gola. A prova di questo
peccato capitale ci sono i suoi tovaglioli. In un attaccapanni del seminario,
sono appesi, ognuno con un proprio numero, i tovaglioli di ogni seminarista, ma
quello dell'arcivescovo si distingue a distanza per dimensione e disegno
speciale. Si tratta di un enorme panno con elastico al collo, in tutto simile al
bavaglino che usano i bebè, e che un seminarista a turno, prima di ogni pranzo
e a conclusione della preghiera, fa passare molto religiosamente intorno alla
testa del vescovo. Il bavaglino (in realtà ne possiede due) viene lavato dopo
ogni pasto perché rimane macchiato come quello di un bambino. È che
l'arcivescovo mangia con tutta la disinibizione e l'ansia di un bambino o, se si
vuole, con la libertà e la gola di Enrico VIII.
Se, oltre alle persecuzioni, c'è qualcosa che i seminaristi ricordano del loro
passaggio nell'arcidiocesi di Santa Fé, sono i rumori emessi dal movimento
della sua mandibola, delle sua labbra e della sua lingua assaporando il cibo.
Nulla gli importava delle sghignazzate dei suoi occasionali compagni di tavola.
Tutti dovevano abituarsi al fatto che l'arcivescovo "mangia veloce e si
sporca come un maiale", secondo quanto affermano unanimemente i sacerdoti.
Forse la sua compulsione ha a che vedere con l'ernia iatale che lo affligge da
molti anni. Questa malattia lo costringe ad una dieta stretta, che la cuoca
controlla burberamente, ma dalla quale mons. Storni si discosta tutte le volte
che può, con la furberia e l'ansia di un bambino che sa che sta facendo
qualcosa di male però ne è attratto. Il suo menu da sempre include pesce e
altro cibo assolutamente sano, ma in grande quantità e presentato con la stessa
opulenza con cui egli si amministra in ogni campo. Sebbene scondito e poco
elaborato, il suo pranzo è sempre stato oggetto di una certa invidia da parte
dei seminaristi, obbligati a un menu molto più scarso e meno appariscente.
(…).
Il Vaticano sapeva
Fu nel maggio del 1994 che, di fronte a tanto scandalo e tante dicerie, il
Vaticano ordinò di indagare sulla condotta sessuale di mons. Edgardo Gabriel
Storni. Allora era già una decina d'anni che era stato nominato pastore di
Santa Fé, su suggerimento del nunzio apostolico, Ubaldo Calabresi, di cui era
intimo amico.
Venne incaricato delle indagini il prestigioso arcivescovo di Mendoza, José
Pepe Arancibia, che realizzò un compito che andò ben al di là del Codice di
Diritto Canonico: insediatosi nella casa particolare dell'arcivescovo di Paranà,
ad Entre Ríos, Estanislao Karlic (attuale presidente della Conferenza
episcopale argentina), intervistò in tutto 47 persone, la maggioranza
seminaristi, che all'insaputa di Storni si recavano a Paranà per testimoniare.
L'indagine ebbe termine nel dicembre di quell'anno e la pratica venne spedita a
Roma.
Il 22 dicembre, il giornale della sera di Santa Fé El Litoral si faceva
eco, sebbene in forma cauta, di quello che aveva pubblicato quella stessa
mattina il quotidiano Rosario 12 che, citando fonti inattaccabili, aveva
rivelato dettagli dell'indagine.
Il Litoral riferiva che, secondo Rosario 12, le denunce
"sarebbero arrivate direttamente a Roma senza che i vescovi argentini ne
venissero a conoscenza, e per questo motivo venne ordinata l'indagine". Con
il titolo "Indagato?", l'articolo sosteneva che "l'arcivescovo di
Santa Fé continuerebbe ad essere indagato per questioni che riguardano la sua
attività personale e riguarderebbero lo svolgimento del suo lavoro
pastorale".
"Rosario 12 indica mons. José María Arancibia come il delegato e
l'incaricato principale dell'indagine, per la quale ha incontrato quasi
cinquanta persone tra sacerdoti, seminaristi, psicologi e laici, che ruotavano
intorno al seminario dell'arcidiocesi.
Si segnala anche che un giudice federale della provincia avrebbe rilasciato una
dichiarazione al segretario generale dell'episcopato. Consultati da questo
giornale, sia il giudice Raúl de la Fontana sia il dottor Víctor Bruzza hanno
negato di aver preso parte o essere venuti a conoscenza del procedimento.
L'indagato principale, mons. Storni, consultato da El Litoral, ha negato
di essere a conoscenza di un procedimento di questo tipo, così come delle cause
che lo avrebbero motivato.
Storni, senza mostrarsi particolarmente colpito da un simile scandalo, ha
precisato: 'sono sorpreso, non sapevo dell'indagine e della denuncia che l'ha
causata, ma le porte dell'arcivescovado sono aperte ed io mi metto a
disposizione per l'indagine'. Mons. Arancibia non ha confermato, né ricusato
quanto pubblicato nel periodico".
I vescovi amici
La città divenne un brulichio di rumori, commenti scandalizzati e poche
certezze. In differenti luoghi dell'arcidiocesi, tanto i fedeli che parte del
clero speravano che, di fronte a un simile scandalo, Storni si facesse da parte.
O che la stessa Chiesa lo destinasse ad un'altra onorevole missione,
possibilmente fuori del Paese, ma non successe nulla di tutto questo. Nell'anno
2001, corse voce a Santa Fé che l'arcivescovo aveva già un posto garantito
nella biblioteca vaticana, ma che la sua partenza non si concretizzava perché
sua madre, Blanca, era molto anziana e malata e il figlio non voleva lasciarla
sola.
Durante l'indagine, gli unici che a Santa Fé firmarono un documento di sostegno
a Storni furono quelli del suo entourage, alcuni consiglieri e gruppi
laicali, e la locale Cgt (Conferenza Generale del lavoro). Curiosamente, in
varie dichiarazioni ottenute e pubblicate dal quotidiano El Litoral, sono
comparsi nomi di persone che poi hanno smentito di aver firmato quel documento,
o di essere stati consultati per essere inclusi in una qualsiasi lista di
sostegno.
Il membro della gerarchia ecclesiastica che in quei giorni lo appoggiò
maggiormente - in modo incomprensibile a molti - fu l'attuale vescovo di
Santiago del Estero, mons. Juan Carlos Maccarone, allora vescovo titolare di
Mauriana, ausiliare di Lomas de Zamora e presidente della Commissione di
Educazione e Cultura dell'episcopato. Il 28 dicembre del 1994, El Litoral
ha pubblicato tra le altre dichiarazioni di personalità della provincia e della
città, quella di mons. Maccarone: "Sono costernato per il danno inflitto
all'arcivescovo di Santa Fé. Sono qui solo per appoggiare l'arcivescovo Storni
in questo momento in cui deve mandar giù il boccone amaro della
diffamazione", ha detto, aggiungendo inoltre che "ignorava" chi
avesse fatto la denuncia a causa della quale era indagato.
Il quotidiano El Litoral ha considerato:
"In conseguenza degli ultimi fatti noti, mons. Maccarone è giunto ieri in
città ed ha avuto un incontro con mons. Storni, durante il quale gli ha dato
segnali di incoraggiamento non solo personali, ma di alti esponenti della
Chiesa.
"Maccarone ha segnalato: 'essendo stato ospitato nei giorni della
Convenzione Costituente come rappresentante dell'episcopato, mi sono reso conto
non solo del suo sano zelo pastorale, ma della vitalità di una Chiesa di
servizio, impegnata nelle linee pastorali che abbracciano tutte le dimensioni
della carità. Non smetto di esprimere la mia costernazione per il danno inferto
al pastore e alla comunità diocesana. Prego perché il perdono raggiunga la
fragilità di quelli che hanno prodotto tanto danno, le crepe di una pretesa
diffamazione si trasformeranno senza dubbio nella roccia delle verità'".
I sacerdoti nemici
Al vecchio sacerdote che aveva affrontato l'arcivescovo (questo sacerdote, che
l'autrice precedentemente definisce come "prestigioso sacerdote della
vecchia scuola che preferisce tacere il proprio nome", aveva inviato una
lettera a Storni in cui lo informava di essere a conoscenza di quanto succedeva
in seminario e lo invitava a desistere, ndt), come a molti di quelli che hanno
testimoniato a Paranà contro Storni, le cose non sono andate troppo bene. Dopo
un certo tempo, mi ha ricevuto e mi ha raccontato:
"Nella mia parrocchia c'è molta attività giovanile, e così come il
ragazzo vittima di Storni - che era uno dei miei pupilli, e per questo l'ho
difeso non solo a livello pastorale ma anche personale - altre vocazioni si sono
indirizzate verso il seminario dalla nostra comunità. Dopo lo scandalo, un
giorno è venuto a trovarmi Diego, un ragazzo che era entrato nel seminario di
recente, molto addolorato perché lo avevano cacciato. Gli chiesi perché e mi
rispose che non lo sapeva. Allora andai alla Curia per approfondire la cosa, ho
parlato con padre Santiago Copello e mi ha detto che lui non era al corrente di
quello che succedeva nel seminario. Allora ho parlato con p. Grassi, e mi ha
risposto che non ne sapeva nulla. Infine sono andato a parlare con Mauti, il
direttore del seminario, e mi ha risposto in maniera ambigua, senza segnalarmi
un motivo preciso per l'espulsione. Ero molto preoccupato e addolorato. Però
dopo l'indifferenza con cui mi avevano trattato e l'inconsistenza degli
argomenti, mi sono reso conto che il problema di Diego era di aver fatto parte
della mia comunità ed essere tra i miei raccomandati".
Il silenzio che umilia le vittime
Tutte le testimonianze che mons. Arancibia raccolse abbondantemente furono
inviate al Vaticano, attraverso la Nunziatura. Fino ad oggi non si sa di nessuna
decisione papale rispetto all'indagine. Quelli che vi sono coinvolti, dai
seminaristi ai sacerdoti, sono apparsi profondamente delusi dal silenzio delle
autorità religiose. "Ognuno di noi ha esposto ad Arancibia tutti gli
orrori vissuti in seminario. C'erano ragazzini che gli hanno raccontato cose
umilianti, schifose e che facevano riaffiorare ricordi dolorosi. Arancibia fu
molto comprensivo e disponibile. Ci diceva: 'non abbiate paura ragazzi, ho
ascoltato cose peggiori' e ci incoraggiava a parlare. Certo sia noi che i
sacerdoti rischiavamo molto, visto che vivevamo a Santa Fé. Ma lo facemmo
convinti che ne valesse la pena, che sarebbe servito per evitare futuri abusi di
Storni. Un giorno Arancibia si congedò e non sapemmo più nulla né di lui né
di quello che gli avevamo raccontato. Sicuramente la gravità del caso trascese
le sue competenze e non poté far nulla. Però - confessò un seminarista - dal
punto di vista umano meritavamo una risposta".
Un alto funzionario della Chiesa ha assicurato che l'indagine su Storni è
giunto a Roma e lì è rimasta. Al punto che l'arcivescovo Storni andò in
Vaticano, vi rimase quindici giorni, passeggiò, incontrò i suoi amici e ritornò
indietro come se nulla fosse successo. Quali spiegazioni diede e a chi continua
ad essere un mistero.
La doppia morale di mons. Storni
Il 25 giungo del 2000, durante la processione del Corpus Christi, Storni
ebbe la sfrontatezza di fare un lungo discorso moralista sulla sessualità umana
e la salute riproduttiva. I paragrafi più salienti della sua allocuzione, in
cui si riferisce a questo tema, furono i seguenti:
"(…) Questo ventesimo secolo che finisce si proietta nel prossimo futuro
come il secolo delle maggiori stragi tra gli uomini. La storia testimonia
guerre, genocidi, stermini, terrorismo, oppressioni, persino lo sfruttamento dei
bambini, crimini di ogni tipo, che sono andati coprendo l'intera geografia del
pianeta, abbracciando i più diversi popoli, gruppi e livelli di umanità.
Però è giunto al colmo con gli aperti, promossi e pianificati attentati contro
la vita innocente e indifesa. A partire da una mentalità materialista, non si
esita a promuovere pratiche contro la natalità e per l'eutanasia, fino a
soffocare violentemente le fonti della vita. Di più! Ad eliminare senza alcuno
scrupolo la vita concepita, così come la vita al tramonto; ossia a eliminare
l'uomo. Ucciderlo. E questo è giunto fino a noi, inserendosi fra noi.
La campagna internazionale organizzata sotto gli eufemismi (che gergo!) di
"genere, salute riproduttiva, diritti della donna, pianificazione
familiare" - che nasconde e alimenta la pratica dell'aborto - è già
riuscita ad irrompere nell'ordinamento giuridico argentino, violando quanto
stabilito nella Costituzione nazionale.
Così si dà il via al genocidio senza limiti, il peggiore di quelli conosciuti.
Perché molti che si stracciano le vesti di fronte ai crimini di Hitler o di
Stalin, sono invischiati nella stessa mostruosa linea di pensiero e azione. Con
una arroganza nelle loro affermazioni pseudoscientifiche e nelle falsità
statistiche, e un'immoralità nelle loro strategie operative che ripugna a
qualsiasi coscienza elementarmente formata.
Questi crimini diventano più gravi perché le loro prime vittime sono le
persone innocenti e indifese. E perché si commettono invocando diritti, pretesi
diritti, che calpestano tutti gli autentici diritti umani, perché negano il
primo e fondamentale: il diritto alla vita. Senza di cui non c'è soggetto
alcuno di qualsiasi altro diritto.
Addolora anche questo traviamento fatale, perché con la legalizzazione di
simili pratiche, si snatura il potere e si attacca il popolo al cui servizio
stanno le funzioni pubbliche.
Talvolta, i suoi autori si appellano alla democrazia, mentre vanno direttamente
contro di essa, andando contro il popolo, perché lo sviliscono e lo
distruggono; portando a zero la natalità; provocando - intenzionalmente e nei
fatti - la promiscuità sessuale, il vizio degradante, senza alcun limite,
neppure quello dell'età.
L'inganno è totale quando si pretende di fare di ogni legittima opposizione a
tal mostruosità una questione di religione, rimettendola - come ricorso
indebito - al piano della fede, quando la questione è posta dalla stessa
ragione a partire dalla verità, data la natura umana anteriore all'uomo stesso,
e come esigenza della morale naturale che grida dal profondo della coscienza:
'non ucciderai!'".
Cosa spinge tanti argentini e soprattutto tanti rappresentanti del popolo a
farsi complici di tali crimini? Non solo le ideologie totalitarie o il
pansessualismo imperante. Anche, e di più, le esigenze di un impero economico
che impone le sue leggi, a salvaguardia del benessere delle società ricche ed
edoniste, e il lucro di imprese e laboratori, a costo dell'eliminazione delle
classi dei Paesi poveri. I poveri danno fastidio, possono rivoltarsi. Abbasso i
poveri. Così condizionano i prestiti usurai alle nazioni impoverite facendo dei
rispettivi Stati i loro agenti servili. Questi, invece di servire l'uomo, si
convertono in Stati prosseneti del vizio degradante. (…) Si richiede
un'educazione per il vero amore tra uomo e donna e una trasmissione onesta e
generosa della vita. Pertanto, un'educazione che parta da un'antropologia
integrale, dalla verità totale dell'uomo, mai ridotto alla genitalità, mai
coincidente con l'egoismo sterile". (…)
Quando le vittime diventano carnefici
La complicità del Potere Giudiziario di Santa Fé con l'autorità della Chiesa
locale è stata così tacita ed accettata che nei primi giorni di dicembre del
2000 l'ufficio legale del programma Diritti del bambino dell'Unicef ha ricevuto
una lettera di denuncia al riguardo. Firmata da Stella Dalla Costa, Alejandra
Ocaño e Oscar Oliva, la prima madre adottiva di Ramón Pucheta, di 15 anni, e
gli altri due, genitori di Gabriel Oliva, di 5 anni. Entrambi i ragazzini erano
alunni del collegio Concezionista San Cayetano, e riferirono di essere stati
abusati dal prete Carlos Vece, dell'arcidiocesi di Storni, discepolo e
"intimo amico" dell'arcivescovo, secondo tutte le fonti consultate.
(…)
Le denunce giornalistiche contro il religioso e il personale del Collegio sono
state formalizzate al Tribunale dei minori di Santa Fé (…).
La causa fu portata davanti al Tribunale Penale, al dottor Dardo Rociani,
catalogata come Pucheta s/denunce.
Questo spinse alla reazione i genitori di altri bambini che erano stati vittime
o testimoni di fatti dello stesso tenore; tutte queste denunce furono presentate
al dottor Rociani, ma fino ad ora non si sono concretizzate in nulla, non si
sono prese misure preventive, di fronte al dubbio, allo scopo di cautelare
l'integrità dei minori fra i 5 e i 17 anni che vivono attualmente
nell'edificio. (…)
Vale la pena aggiungere che alla fine del 2000, il sacerdote in questione,
Carlos Vece, è morto senza che la giustizia che reclamavano i genitori degli
alunni vittime dei suoi abusi lo lambisse nemmeno. (…).
Storni approfittò della sua carica per abusare sessualmente - secondo tutte le
testimonianze raccolte e l'indagine aperta per ordine del Vaticano e a cui ebbi
esclusivo accesso - dei giovani pieni di fede che frequentavano il seminario e
che dopo questi episodi furono traumatizzati per sempre o accettarono con
sottomissione i perversi ordini del Principe in cambio delle promesse di una
"buona destinazione" pastorale, come è stato il caso di p. Carlos
Vece. Che ha ripetuto con i suoi stessi alunni gli abusi a cui lui è stato
sottomesso quando stava con Storni.