TERRORISMI E PERCORSI DI LIBERAZIONE. PERCHÉ UN MONDO NUOVO È POSSIBILE

DOC-1158. SÃO FELIX DO ARAGUAIA-ADISTA. "Bisogna spremere dalla fede tutto il suo succo politico" e "impegnarsi profeticamente contro il dio neoliberista della morte e dell'esclusione e a favore del Dio del Regno della Liberazione e della Vita", perché il "mondo, vittima della menzogna e della corruzione, chiede verità e trasparenza"; bisogna "convivere affettuosamente", "accogliere sempre, gratuitamente", non dimenticando che "è più facile celebrare un'eucarestia rituale che impegnarsi nel lavare i piedi". È in sintesi il percorso politico-ecclesiale che mons. Pedro Casaldáliga, vescovo di São Felix do Araguaia, in Brasile, suggerisce per affrontare il "cambiamento epocale" che stiamo vivendo e che è contrassegnato dal terrorismo: non solo quello delle "torri gemelle dell'11 settembre", ma anche il "terrorismo del Sistema neoliberista che rappresenta il terrore economico e sociale per la maggior parte dell'umanità". Di seguito, il testo integrale della "Lettera circolare 2002", da qualche anno "appuntamento" abituale del vescovo di São Felix, in una nostra traduzione dallo spagnolo.


IL MONDO COMINCIA DI NUOVO
"Lettera circolare 2002" di monsignor Pedro Casaldáliga


Nei mezzi di comunicazione i commenti - prudenti o apocalittici o preveggenti - sulla congiuntura attuale proliferano. Non ripeterò "l'ovvio urlato". Il problema è nel saper leggere la congiuntura alla luce dei segni dei tempi, scoprendo cause, interessi, "effetti collaterali", giochi di vita e di morte per la famiglia umana.


I terrorismi, al plurale

Credo, tuttavia, che tocchi a tutta l'umanità, e concretamente alla Chiesa, prender nota urgentemente delle sfide di questa ora e farsene carico responsabilmente.
È cominciato un nuovo millennio, un tempo nuovo, che chiamano di "cambiamento epocale". Non tanto o non precisamente per le torri gemelle dell'11 settembre; ché ci sono molti altri giorni, molte torri e molti terrorismi prima e dopo l'11 settembre.
Ci sono senza dubbio quattro terrorismi da distinguere per intendere e giudicare correttamente gli atti terroristici e le guerre del terrore, i terrorismi impazziti e le sistematiche guerre imperialiste.
C'è un terrorismo individuale, commesso da un qualunque assalitore in un angolo o un marciapiede qualsiasi; un terrorismo di gruppo, perpetrato da una qualche fazione; il terrorismo di Stato, che è a volte dello Stato dello stesso Paese o di prepotenti Stati imperialisti e colonizzatori, soprattutto del più terrorista fra tutti nel corso degli ultimi secoli; e il terrorismo del Sistema, oggi il capitalismo neoliberista, che rappresenta il terrore economico e sociale per la maggior parte dell'umanità, sottoposta a fame, emarginazione e disperazione.


Le sfide di questa ora

Tre sfide, concretamente, deve assumere con coraggio profetico e libertà evangelica la Chiesa di Cristo per essere credibile ed evangelizzatrice oggi: il decentramento mondializzato; la partecipazione corresponsabile; il dialogo solidale.
La mondializzazione, per grazia di Dio e per l'umano procedere della storia, è "inevitabile". E questa mondializzazione esige il riconoscimento di vari mondi - popoli, culture, religioni - all'interno dell'unico mondo umano, senza Primo o Terzo o Quarto. Questo riconoscimento, perché sia reale e non solo sulla carta, esige il decentramento delle istanze di programmazione e di decisione. E deve essere reclamato presso l'Onu e presso gli altri organismi mondiali come la Santa Sede e le curie ecclesiastiche. Solo questo decentramento renderà possibile la partecipazione corresponsabile ed effettiva dei vari popoli ed entità statali. Chi concretamente chiede solo la democratizzazione della Chiesa chiede molto poco. Alla Chiesa bisogna chiedere, e nella Chiesa dobbiamo dare, più che la democrazia: vita fraterna-sororale, cogestione adulta, ministeralità plurale, libertà evangelica.
L'apprezzato teologo Juan Antonio Estrada afferma lucidamente: "Oggi il cattolicesimo è zavorrato da una istituzionalizzazione che non corrisponde più alle necessità attuali, né alle esigenze ecumeniche, né alla sensibilità dei fedeli. Tanto meno può contare sul consenso globale della teologia, giacché abbondano sempre più correnti e scuole che impugnano il modello vigente e propongono cambiamenti a partire da una rinnovata conoscenza della Scrittura e della Tradizione".
A proposito della partecipazione adulta nella Chiesa, si è appena concluso il Sinodo dedicato al ministero episcopale. Un sinodo che si supponeva a coronamento di tutta una serie di sinodi per temi e per continenti. La verità è che questo ultimo sinodo ha confermato la delusione che lo strumento-sinodo provoca praticamente dalla sua applicazione perché non è deliberativo. Mi permetto di contestare fraternamente la soddisfazione che il cardinale Joseph Ratzinger ha manifestato sullo svolgimento dei dibattiti in questo ultimo sinodo: "Si poteva temere - dice il porporato tedesco - che il sinodo si bloccasse sulle relazioni fra la curia romana e i vescovi, sui poteri dell'assemblea sinodale o sulla struttura delle conferenze episcopali continentali e nazionali, strangolando in questo modo la vita della Chiesa". Quello che strangola la vita della Chiesa è precisamente, signor cardinale, la mancanza di revisioni profonde delle relazioni tra la curia romana e i vescovi, il modo di eleggere i medesimi, la ristretta ministerialità, la mancata inculturazione, l'intera problematica della collegialità e della corresponsabilità. Il fatto che siano state tanto pacifiche e concordi le sessioni sinodali è forse dovuto al sistematico diniego di spazi ufficiali e alla omissione rassegnata dei partecipanti. Più per "nostra colpa" che per un "Te Deum" di rendimento di grazie.
Fortunatamente, lo Spirito e la Chiesa continuano il loro cammino; e le basi si muovono. La coscienza e la prassi di "Noi siamo Chiesa" non è solo un movimento, è una mobilitazione in lungo e in largo in tutta la Chiesa di Gesù, cioè le varie Chiese che professano il suo nome e annunciano il Regno. Mai come oggi, nella pratica, anche forzando barriere, vari settori della Chiesa, e concretamente il laicato - maschile e femminile - sono stati tanto liberi e creativi, tanto adulti e corresponsabili nella lettura biblica, nel pensiero teologico, nella liturgia, nei ministeri, nelle pastorali, nell'azione sociale…
Stanno crescendo nel mondo il grido e l'azione sul vero processo conciliare perché si continui e si attualizzi e si amplii il Vaticano II e perché si risponda alle grandi urgenze ecclesiali e alle grandi aspettative dell'umanità, figlia di Dio.
Questa mobilitazione alla base avviene anche, e su scala maggiore, nella società come fosse un tutt'uno. Sono sempre di più i movimenti e le azioni civili di cooperazione e solidarietà; i vari forum liberi e alternativi all'economia, al pensiero e alla politica neoliberisti, che sono passati dalla semplice contestazione alla proposta, dall'impotenza alla convocazione efficace.
In questo momento, kairós di mondializzazione e di maturazione della coscienza - che è, insieme, un'ora nefasta di nuove prepotenze, di macrodittature, di fondamentalismi e di radicalizzazioni - ci si impone, come un dono e come una conquista, il dialogo interpersonale, interculturale, ecumenico e macroecumenico. Un dialogo di pensieri, di parole e di cuori. Non la mera tolleranza, che somiglia parecchio alla guerra fredda, ma la convivenza calda, l'accoglimento, la complementarietà.
La caduta delle torri dovrebbe essere anche la caduta di alcune squame che ricoprono gli occhi dell'Occidente cristiano di fronte al mondo arabo e musulmano. Da quell'11 settembre, considerato come se fosse il maggiore atto terroristico della storia, l'Occidente, cristiano o no, è necessariamente obbligato a riconoscere che il mondo arabo e l'islam esistono, e che l'islam raggiunge più di un miliardo di fedeli, di diversi popoli e culture. Per molti secoli la società occidentale e la Chiesa - sempre troppo occidentale - sono stati pregiudizio, ostilità e guerra contro l'Oriente musulmano.
La nostra Agenda Latinoamericana-Mondiale del 2002 propone, precisamente, come grande tema attuale, "le culture in dialogo", e l'Agenda 2003 proporrà, concretizzando questo tema, il dialogo interreligioso: "le religioni in pace al loro interno e fra di loro, per la pace del mondo"; e l'Agenda 2004, se Dio ci concede ancora tempo, sarà dedicata, con spirito di conversione, ai "nostri rispettivi fondamentalismi".
La Campagna contro la Banca Mondiale, realizzata a Barcellona nel passato mese di giugno, si strutturava in sette linee di dibattito e di azione che abbracciano ampiamente le maggiori sfide e prospettive di questo momento: democrazia; partecipazione e repressione; diritti sociali e del lavoro; migrazioni; diritti ecologici, diritti ambientali, modello agro-alimentare; globalizzazione e militarismo; donne e globaliz-zazione; globalizzazione e sviluppo.


Mistica per il cammino

Questi processi di cambiamento, che sono sogno e missione, reclamano da tutti noi, cristiani o no, una forte spiritualità, una mistica di vita. Ognuno la vivrà secondo la propria fede, ma senza questa spiritualità non ci sarà cammino. Pensando a questo - per il ritiro spirituale che celebra ogni anno l'équipe pastorale della Prelatura, sulle rive dell'Ara-guaia, in quel colle accogliente di Santa Terezinha - io riassumevo così questa spiritualità, tanto nuova e tanto antica, come spiritualità di:


Contemplazione fiduciosa, aprendosi più gratuitamente al Dio Abbà che è, per autodefinizione, suprema misericordia, amore. Una contemplazione più necessaria che mai in questi tempi di grande efficienza e di visibilità. Fiduciosa, aggiungo, perché ho l'impressione che torni - o forse non è mai scomparsa - la religione della paura, del castigo, della prosperità o del fallimento, a seconda di come ci si rapporta a Dio. Ci manca, forse, la fiducia filiale, l'infanzia evangelica, la rilassante libertà dei piccoli del Regno.


Coerenza testimoniante. Si è ripetuto fino alla sazietà che viviamo nella civiltà dell'immagine; che il mondo vuole "vedere". La testimonianza è sempre stata una specie di definizione dell'essere cristiano: "siate miei testimoni", diceva Lui per tutta raccomandazione, per tutto testamento. E questa testimonianza, oggi più che mai, quando tutto si vede e tutto si sa, deve essere coerente, senza crepe, nella vita personale e nella gestione strutturale della Chiesa (che potrà essere una Chiesa cattolica o evangelica, il Vaticano, una diocesi, una congregazione religiosa, una comunità). Il mondo, così vittima della menzogna e della corruzione, chiede verità e trasparenza.


Convivenza fraterno-sororale. A questo si riduce il nuovo comandamento. Questa è la maggiore sfida, la più quotidiana per le persone, per le comunità, per i popoli. Convivere, non solo coesistere, convivere affettuosamente in fraternità e sororità, non solo in tolleranza reciproca. Aiutare a rendere la vita gradevole. Essere sale della terra deve significare anche questo.


Accoglienza gratuita e servizievole. Capacità di incontro e di diaconia. Non solo scendere da cavallo e assistere chi è caduto quando casualmente lo si incontra per strada, ma farglisi incontro. Accogliere, a volte, solo con una parola o un sorriso, ma accogliere sempre, gratuitamente. Fare di ogni ministero e di ogni professione quel servizio disinteressato e generoso che ci ha proposto il Signore che è venuto a servire e non ad essere servito. È più facile celebrare un'eucarestia rituale che impegnarsi nel lavare i piedi.


Impegno profetico. Continua ad essere il momento, e forse lo è più che mai, di impegnarsi profeticamente contro il dio neoliberista della morte e dell'esclusione e a favore del Dio del Regno della Vita e della Liberazione. Bisogna spremere dalla fede tutto il suo succo politico. Bisogna viverla con militanza, con impegno di trasformazione. Fare della profezia una specie di abito connaturale - frutto specifico del battesimo per i cristiani e le cristiane - di denuncia, di annuncio, di consolazione. La carità sociopolitica è la forma di carità più strutturale. Va alle cause, non solo agli effetti. Protegge la Vita. Trasforma la Storia. Fa il Regno.


Speranza pasquale. Dopo la "morte di Dio" e la "morte dell'umanità", in questa postmodernità senza senso e già "alla fine della storia", sembra che la speranza non abbia molto da fare. Oggi più che mai c'è bisogno di speranza! È la virtù del "dopo di". "Contro ogni speranza" (produttivista, consumista, efficientista, passiva), speriamo. Dobbiamo proclamare umilmente ma senza complessi la nostra speranza pasquale ed escatologica. E dobbiamo renderla credibile qui e ora. Poiché speriamo, agiamo. Il tempo e la storia sono lo spazio sacramentale della speranza.


Qui, in casa

In casa, nella prelatura di São Felix do Araguaia, 2002 significa un anno di "transizione". Ufficialmente l'ultimo anno di "mandato" (speriamo sia stato di servizio) del primo vescovo di questa prelatura (quando è stata eretta la prelatura territoriale di São Felix, Casaldáliga ne è stato eletto vescovo, ndt). La qual cosa ci invita ad un esame e anche ad affermare, modestamente ma coscientemente, le linee fondamentali della nostra pastorale. Dopo vari anni di sperimentazione, abbiamo approvato il "Manuale della Prelatura di São Felix do Araguaia - obiettivo, atteggiamenti, norme". Una specie di direttorio spirituale e pastorale, breve ma denso, che raccoglie l'obiettivo della nostra Chiesa, i principali atteggiamenti che dobbiamo coltivare e una serie di norme che configurano la struttura e l'azione di questa Chiesa particolare di São Felix do Araguaia.
A partire da questo, ci siamo soffermati a ricordare che il vescovo va e viene, ma la Chiesa rimane. Sogniamo allora la continuità, libera e creativa. Lo stesso Popolo, lo stesso Vangelo, lo stesso Brasile di America Latina. La stessa Chiesa di Gesù, che per noi è anche quella di Medellín (il riferimento è alla Seconda Conferenza dell'episcopato latinaomericano, 1968, ndt) …
E quella dei martiri. Nel luglio del 2001, nei giorni 14 e 15, abbiamo celebrato nel Santuario dei Martiri della Caminhada Latinoamericana, a Ribeirão Cascalheira, la grande romería, anniversario dei 25 anni del martirio di p. João Bosco Penido Burnier. Con il motto che riassume questi sogni cristiani della nostra piccola Chiesa e di questo vescovo abbattuto, "Vite per il Regno". Il mantra che ha musicato Zé Vicente e che si canta in tutto il Brasile, esprime significativamente quello che, con il motto, vogliamo dire:
"Vite per la Vita / vite per il Regno / tutte le nostre vite / come le loro vite / come la vita di Lui, / il martire Gesù".
Nella regione della prelatura, come in tutto il Brasile, vivremo un anno di elezioni: del presidente, dei governatori, dei senatori e deputati, dei federali e degli "statali". Nomi e dadi sono nell'aria, e gli interessi e gli intrighi anche. Le forze della destra, le eterne oligarchie, l'élite privilegiata e per ciò stesso conservatrice, si coalizzano, apparentemente divise ma sempre pronte a confluire quando si tratta di assicurarsi il potere. Le destre, per i loro interessi, hanno il dono dell'unione; le sinistre, per le loro tendenze, hanno il nefasto carisma della divisione. Malgrado ciò, credo che sia cresciuta la coscienza politica del nostro popolo e la voglia di cambiamento. La cruda realtà quotidiana, di disoccupazione, carestia, corruzione e violenza, grida. Cresce il movimento popolare e la sua espressione e le pastorali sociali sono radicate e attive nel Paese, sebbene sia necessario ammettere che, al momento di votare per un cambiamento più o meno radicale, i piccoli non possono, e i grandi hanno il potere del denaro e dei loro media. Però, riesca o no il popolo ad eleggere un presidente popolare, votare è indispensabile, e il popolo può scegliere deputati e senatori. Cercare di trasformare le assemblee legislative e il congresso nazionale è una delle maggiori urgenze politiche in Brasile.


Verso una "Terra senza mali"

La Campagna di Fraternità di questo 2002 è un'avvin-cente convocazione alla lotta e alla speranza. "Fraternità e Popoli indigeni" è il tema, unito al motto del mito fondamentale del popolo guaraní: "Per una terra senza mali". È volere molto, ma è quello che vuole Dio e quello di cui abbiamo bisogno. Come ricordavamo nell'ultima Assemblea Nazionale del Cimi (Consiglio indigenista missionario), la "Terra senza mali" deve tradursi soprattutto in un'"econo-mia senza mali", in una democrazia senza i mali del privilegio e dell'esclusione, in una società partecipativa, solidale, libera e fraterna. In un mondo nuovo, che è possibile ed è necessario.
Dire che "il mondo comincia di nuovo" potrà suonare come un'utopia. E lo è. Ma è anche ben fondata: "Sappiamo in Chi confidare". Il Centro Ecumenico di Studi Biblici (Cebi) adotta e adatta, nei suoi ultimi auguri natalizi, la parola del prepotente pentito, Riobaldo, per cantare "al bambino nato da Maria che riempia di speranza il cuore di tutti e ci rende pronti a esclamare: Mia Signora! Un bambino è nato, il mondo può cominciare di nuovo!". In questo, Riobaldo, il Cebi e questa lettera circolare sono in linea con la promessa di Dio: "Ecco, faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5).