31874. ROMA-ADISTA.
Una storia di successi, quella della Comunità di Sant'Egidio, di tanti e
prestigiosi riconoscimenti internazionali per il suo impegno a favore della pace
e dei poveri: 40.000 membri, sedi in tutta Italia ed in 60 paesi del mondo. Ma
le cose sembra che non vadano altrettanto bene al suo interno. È quanto emerge
da un memoriale (pubblicato in forma di stralci dal sito Internet del
settimanale "L'espresso") scritto da un suo ex-membro, Giuliano
Fiorese, 47 anni, professore di scienze naturali ad un liceo romano, per 25
anni membro della comunità. Fiorese ha consegnato il suo 'diario' al tribunale
diocesano di Roma, come prova per la richiesta dell'annullamento del suo
matrimonio, contratto con una donna anch'essa membro di Sant'Egidio. La
motivazione per la nullità addotta da Fiorese è la "costrizione", ma
non da parte della partner o dei familiari, ma dei suoi stessi ex compagni di
comunità. Quel matrimonio forzato sarebbe il frutto del 'sistema autoritario'
che governerebbe l'intera comunità di Sant'Egidio, come descritto con
abbondanza di particolari nel memoriale.
Una sola è la vostra famiglia
La famiglia è il primo ostacolo per chi voglia diventare a 'tempo pieno' un
membro di Sant'Egidio, nota Fiorese: si finisce per avere poco tempo per gli
affetti familiari e alla fine vengono citate per conferma le parole del Vangelo:
"Sono venuto a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre… e i
veri nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa". Dunque, un richiamo
divino all'obbligo di tagliare tutti i ponti.
La comunità diventa tutto, è "la vera madre": "tutti si
considerano tra loro fratelli e sorelle. Ma tra questi vi sono i maggiori e i
minori. Fratello o sorella maggiore è chi è da più anni nella comunità e
soprattutto ha più autorità nel rispettivo gruppo, in quanto gode
dell'apprezzamento dei capi. Ognuno ha un fratello o una sorella a cui fa
riferimento, si confida, confessa i propri peccati, racconta i segreti più
intimi della propria vita: una sorta di padre o madre spirituale".
Il capo è sempre il capo
La figura del fondatore ed attuale capo indiscusso di Sant'Egidio, Andrea
Riccardi, appare come quella del tipico leader carismatico: adulato,
osannato, vero 'profeta', tant'è che "ogni predicazione, ogni suo discorso
viene registrato in un video spedito nelle varie comunità sparse per l'Italia e
nel mondo". "Dai discorsi del fondatore derivano le omelie che i vari
preti tengono nelle liturgie di quartiere, o i responsabili locali nelle
preghiere serali. Quando poi i vari gruppi di cui si compone la comunità si
riuniscono, le parole del fondatore vengono di nuovo lette e applicate. Alla
luce di esse ognuno confessa davanti agli altri ciò che nella propria vita vede
di oscuro e di sbagliato, convinto che il peccato che ha confessato sarà
perdonato".
Virtù, sante virtù
La pratica delle virtù, a Sant'Egidio, è fondamentale: tra le virtù
raccomandate ci sono l'umiltà, l'obbedienza, la disponibilità, la fedeltà, la
generosità. Si chiede di essere umili tanto da risultare sempre come
"figli della comunità, bambini bisognosi delle cure di una madre, mai
adulti indipendenti né orgogliosi, poiché ogni azione e parola che viene fatta
o detta è per il bene di ciascuno e di tutti". L'obbedienza alla comunità
e a chi la rappresenta ai massimi livelli diventa automaticamente
"obbedienza al Vangelo, a Dio e a chi parla in suo nome e lo annuncia, cioè
ai capi e ai fratelli maggiori".
La confessione
Il padre spirituale, figura centrale del cammino dei membri, "diventa
portatore di un'autorità sacra e incontestabile, proiezione di quella del
fondatore". Un ruolo particolare Fiorese lo attribuisce a don Vincenzo
Paglia, assistente spirituale della comunità e diventato vescovo nel 2000:
"a chi si confessava da lui, prima dell'assoluzione raccomandava due cose;
la prima era di formulare una preghiera pubblica durante la messa, la seconda di
confidare le cose dette in confessione al fratello maggiore responsabile della
sua vita. Ma di fatto, nella comunità, il colloquio con il fratello non si
aggiunge alla confessione, semplicemente ne prende il posto. È noto che nella
comunità di Sant'Egidio la confessione sacramentale è poco praticata".
Tutto sotto controllo
Giuliano Fiorese, negli oltre 25 anni della sua vita in Sant'Egidio, ha avuto
quattro padri spirituali: ad essi raccontava tutta la sua vita, "senza mai
sapere nulla di loro". Anzi, uno di essi gli consigliò di cambiare facoltà
ed imitarlo, iscrivendosi a biologia, abbandonando medicina; a questi 'consigli'
molti erano sottoposti. Anche il lavoro ovviamente era oggetto di 'indicazioni':
"Spesso un lavoro veniva abbandonato in cambio di professioni che
impegnassero solo una parte della giornata: perché l'altra parte del tempo
doveva essere dedicata alle attività della comunità. Un'esponente di rilievo,
Mario Marazziti, definì la comunità un insieme di uomini e donne che
rinunciano alla propria carriera per la fedeltà al Vangelo e per servire i
poveri".
La vita sentimentale nella comunità
I fidanzamenti sono anch'essi anch'essi sotto controllo: racconta Fiorese che in
comunità tutte le scelte, comprese quelle matrimoniali, vengono sottoposte ai
fratelli e sorelle maggiori che a loro volta riferiscono ad un coordinatore.
Fiorese conobbe la sua futura moglie proprio in comunità. "Fu lei a
invitarmi a cena e a farmi capire che le interessavo. Seppi poi che lei aveva
parlato di me alla nostra comune madre spirituale, Valeria Martano, dalla quale
era stata incoraggiata a prendere l'iniziativa. Per un breve periodo provai a
stare insieme a lei, ma presto la lasciai perché non mi piaceva", e quel
rifiuto scatenò la reazione furiosa della madre spirituale. Anche in comunità
la cosa ebbe un doloroso strascico: fu rimproverato in assemblea, i suoi amici
lo evitavano, fino a quando Fiorese dovette ravvedersi e continuare la
relazione.
Il tutto si concluse con il matrimonio, causa anche una gravidanza non prevista.
Nessuno però chiese loro se erano felici di sposarsi: il giorno del matrimonio,
ricorda, erano assenti gran parte dei fondatori, il prete che li sposò -
l'attuale rettore dell'Università Urbaniana, mons. Antonio Spreafico -
"né ci preparò al sacramento né ci confessò"; "non ricordo un
giorno più imbaraz-zante, stavo sposando una donna che non amavo",
"avevo paura".
I problemi nel matrimonio insorsero subito, la figlia inoltre dovette prendere
un nome "concordato con i nostri fratelli maggiori"; poi, nonostante
la bimba da accudire, la comunità chiese alla neo-coppia di ospitare vari
membri per periodi più o meno lunghi: "tirando le somme, nei primi sei
anni del nostro matrimonio siamo stati da soli per meno di sei mesi".
Vita da fuoriusciti
Le vie di uscita dalla comunità, poi, sono irte di difficoltà: chi gettava la
spugna era duramente riprovato, "in un primo momento si cercava di
riportarlo sulla retta via, ma se l'operazione falliva era messo al bando".
Per poterli controllare meglio, si decise di creare una comunità degli 'ex',
chiamati 'amici', nella quale far confluire i dissidenti, "tenendoli in
qualche modo vicini".
da ADISTA 31.5.2003