DOC-1308. MADRID-ADISTA.
Senza dubbio devono averci pensato bene: ci hanno messo circa tre anni, pare,
per arrivare alla conclusione che il libro del teologo spagnolo Juan José
Tamayo, "Dios y Jesús", contiene eresie. In particolare l'eresia
di Ario: negazione della divinità di Cristo e della sua resurrezione. E poi,
benedett'uomo, non fa che scrivere e scrivere, e non solo libri o su riviste
specializzate, ma sulla stampa più diffusa (Tamayo è anche collaboratore del
quotidiano "El País"), attentando in questo modo alla sana dottrina e
seminando a man bassa dubbi fra i fedeli che incorrano in quelle letture.
Corrucciati, gli esperti della Congregazione per la Dottrina della Fede, devono
aver consegnato il loro verdetto di condanna al prefetto card. Joseph
Ratzinger, che, letto e approvato, lo ha passato al presidente
dell'episcopato spagnolo che a sua volta lo ha trasferito all'attenzione della
Commissione episcopale per la Dottrina della Fede. Ci ha passato sopra sei mesi,
dicono, la Commissione, chissà quanto corrucciata, per uscirsene poi con una
breve nota di sintesi del lavoro della Congregazione romana. La quale nota,
datata 7 gennaio 2003, è infine giunta nelle mani di Tamayo. Sorpreso come
poche volte, il teologo deve aver disteso il suo volto fino ad un soddisfatto
sorriso. Soddisfatto, a quanto dice nell'articolo con cui commenta l'accaduto su
"El País", perché non pensava certo di essere degno di cotanta
attenzione. E doppiamente sorpreso, perché in tre anni, nessuno, ma proprio
nessuno gli aveva detto niente. Che per mantenere il segreto, gli esperti della
CdF non li batte nessuno. Tamayo, insomma, non sembra darsene pensiero: è un
laico e non insegna in nessun istituto cattolico, pontificio o no. E in tutta
coscienza di cattolico credente - di porzione di Chiesa-popolo di Dio - ritiene
suo diritto, e perché no dovere, rendere partecipe i suoi fratelli di fede e di
religione - il "resto" della Chiesa - dei suoi approfondimenti, dei
risultati della sua ricerca di e su Dio. Non concorda su questo la CdF, che
lascia trasparire il suo pensiero un tantino preconciliare: la Chiesa siamo noi,
noi gerarchia, solo noi possiamo dire chi e come è Dio, cosa pensa e cosa
vuole.
Affianco ad un moto di sorpresa, ci risulta però che nell'animo di Tamayo si
sia fatta strada anche l'indignazione. Per due motivi: innanzitutto, i vescovi
spagnoli si sono rifiutati di consegnargli il rapporto che la Congregazione di
Ratzinger ha stilato sul suo libro, talché egli non può prendere visione
dell'atto di accusa; in secondo luogo, gli hanno allegato alla Nota resa
pubblica una sintesi di quel rapporto. In tale sintesi (che non è stata
distribuita alla stampa) egli ha potuto constatare che le accuse si fondano su
letterali travisamenti delle frasi del suo libro. Tamayo sta preparando una
risposta dettagliata.
D'altronde il lavoro teologico del nostro è sempre stato stimato dalle istanze
ecclesiali le quali vantano suoi libri nei cataloghi delle loro case editrici.
Non solo in Spagna, dove, ad esempio, è uscito nel 2001, per i tipi dell'Editorial
Verbo Divino dei Padri Verbiti "Sullo stato della teologia", una
raccolta di riflessioni di 34 teologi con l'introduzione di Tamayo e di Juan
Bosch; o in Italia ("Per questo lo hanno ucciso", edito dalla
Cittadella nel 2002 come anche "10 parole chiave su Gesù di Nazaret"),
ma proprio in Vaticano: la Libreria Editrice Vaticana, ha pubblicato nel 1999 il
"Dizionario sintetico di pastorale" a firma di Juan José Tamayo e Casiano
Floristán.
La solidarietà intorno al teologo è stata incontenibile: gli sono giunti
centinaia di messaggi, fra i quali segnaliamo quelli di mons. Pedro Casaldáliga,
vescovo della diocesi brasiliana di São Felix do Araguaia, di mons. Gaillot,
un tempo vescovo della diocesi francese di Evreux, poi "declassato" a
vescovo titolare dell'inesistente Partenia e di circa 35 teologi. Vari fra
questi ultimi gli hanno chiesto la riservatezza - come anche alcuni vescovi - in
quanto sono docenti in Facoltà di Teologia e preferiscono non esporsi.
Di seguito pubblichiamo, in una nostra traduzione dallo spagnolo, la
documentazione finora disponibile di questa vicenda: la Nota dell'episcopato
spagnolo, l'articolo di Tamayo sul quotidiano madrileno, le prese di posizione
dell'Associazione teologica di Madrid Giovanni XXIII, dell'Università Carlos
III dove il teologo insegna, i commenti dei teologi Gonzales Ruiz e Juan
Antonio Estrada.
La Congregazione per la Dottrina
della Fede mi ha fatto l'onore di occuparsi del mio lavoro teologico per tre
anni, come in precedenza ha fatto con quello dei miei amici Hans Küng e
Leonardo Boff. La Commissione per la Dottrina della Fede della Conferenza
episcopale spagnola ha fatto suoi i risultati dello studio. Mai avrei immaginato
che il Vaticano e i vescovi spagnoli dessero tanta importanza alle mie ricerche.
Di sicuro è stato un lavoro coscienzioso e intenso, data l'ampiezza della mia
opera: due tesi dottorali, circa 1.000 articoli apparsi sulla stampa, più di
2.000 recensioni di libri di filosofia, teologia e scienze sociali, 500 studi su
riviste specializzate e più di 30 libri. L'ultimo è in uscita per i tipi della
Trotta con il titolo Nuevo paradigma teológico. Certo, continuerà a dar
lavoro, per quest'anno, ai detective del Vaticano e del nostro
episcopato.
La mia prima reazione di fronte alle critiche alla mia teologia non può essere
altra che quella del gradimento. A quanti colleghi piacerebbe che Roma si
occupasse dei loro libri, anche fosse solo per prendere una piccola tirata
d'orecchie e avere l'opportunità di sottomettersi umilmente al verdetto
vaticano, e non l'ottengono! E io, che sono un teologo libero per scelta e
convinzione fin dagli anni giovanili, che non appartengo al clero né dipendo da
vescovo alcuno, né insegno nei santuari della dogmatica cattolica, mi ritrovo
con la sorpresa di essere studiato da parte delle più alte istanze teologiche
romana e spagnola. Sicché, mille grazie! E non è un complimento, men che meno
un'ironia, sebbene qualcosa di ironico abbia il fatto che mi si consideri un
teologo eterodosso, quando io sono il primo a riconoscerlo, seguendo l'invito di
san Paolo - "È bene che ci siano eterodossi" - e mettendo in pratica
l'affermazione di Ernst Bloch: "Il meglio della religione è che fa
eterodossi".
Ma il mio gradimento si accompagna alla sorpresa per il fatto di essere stato
indagato senza che sia stato consultato e che mi si comunichi l'esistenza di una
Nota e di un Rapporto che discreditano le mie idee a indagine
conclusa. E questo malgrado sarebbe stato facile mantenere un dialogo fra
colleghi, anche se non fossimo giunti ad un accordo. Habermas ci ha insegnato
che la ragione è dialogica, non autoritaria. Purtroppo il mio lavoro è stato
studiato per condannarmi senza ascoltarmi e non per dar vita ad un dibattito
approfondito sulle grandi questioni discusse oggi in teologia. Lo avrei
accettato con piacere, ma non nelle stanze del vecchio Sant'Uffizio, ma in
Accademia e alla luce del sole.
E con la sorpresa, un rimprovero: che, quando il Vaticano si dedica a indagare
teologi e teologhe, si preoccupa dell'ortodossia più che dell'ortoprassi. Il
cardinal Ratzinger sa che per un teologo cristiano il Vangelo viene prima del
dogma, la sequela di Gesù di Nazaret prima dell'obbedienza al papa, il Sermone
della Montagna prima del Codice di diritto canonico e la costruzione del Regno
di Dio più importante dell'edificazione della Chiesa.
Mi sono sempre sentito solidale e in sintonia con i teologi
"maledetti" e i riformatori che ci sono stati nel corso della storia
del cristianesimo. Però a maggior ragione lo sono ora. Farò memoria sovversiva
di alcuni di loro. Il primo è Gesù di Nazaret, ebreo riformatore, critico
verso la sua religione e iniziatore di un nuovo movimento liberatore: il
cristianesimo. Ricordo Ario (256-336), sacerdote devoto, che collocava Gesù
nella massima vicinanza a Dio, ma non lo riconosceva come Dio per salvare il
monoteismo cristiano. Fu condannato nell'anno 325 nel Concilio di Nicea,
convocato dall'imperatore Costantino nel suo palazzo estivo per assicurare
l'unità della Chiesa. Non dimentico Nestorio (morto nel 451), patriarca di
Costantinopoli, che non riconosceva Maria come madre di Dio, ma come madre
dell'uomo Gesù di Nazaret. Fu condannato dal Concilio di Efeso (431), privato
di ogni dignità ecclesiastica ed espulso dalla Chiesa. È morto esiliato nel
deserto egiziano. Un altro eterodosso fu Priscilliano (350-384), vescovo di
Avila, che praticava una vita ascetica rigorosa. Accusato di condotta immorale e
di magia, fu il primo eretico cui si applicò la pena capitale.
In pieno Medio Evo troviamo Gioacchino da Fiore (morto verso il 1203), eremita
della Calabria e visionario apocalittico che annunciò l'utopia dell'èra dello
Spirito. Malgrado il papa Gregorio IX intervenne a suo favore, la sua opera fu
considerata sovversiva e condannata. Il Maestro Eckhart (1260-c.a. 1327) fu uno
dei vertici della mistica di tutti i tempi. Il papa Giovanni XXII condannò
parte della sua opera come eretica dopo la morte del maestro.
Non sono mancate donne accusate di eresia. La mistica beghina (beghina:
religiosa cattolica dei Paesi Bassi, ndt) Margarita Porete (morta nel
1310) cadde nelle mani dell'Inquisizione e fu incarcerata. Il suo libro Espejo
de las almas simples anonadadas ebbe l'approvazione di tre chierici, ma fu
proibito sotto pena di scomunica e bruciato nella piazza pubblica per ordine di
Guido II, vescovo di Cambrai. Dichiarata eretica e recidiva dall'Inquisizione,
fu consegnata al braccio secolare che la bruciò viva nel 1310 nella piazza
parigina di Grève alla presenza delle autorità ecclesiastiche e civili.
Guglielma di Boemia (morta nel 1281), maestra di vita spirituale alla ricerca di
Dio, cui uomini e donne chiedevano consiglio e consolazione, poté contare
sull'appoggio dei cistercensi, che la seppellirono nella loro abbazia di
Chiaravalle, dove i milanesi la veneravano come santa. L'Inquisizione,
nondimeno, ordinò di dissotterrarne il cadavere e di bruciarlo in pubblico.
Giovanni Hus (1369-1415), rettore dell'Università di Praga, persona animata da
fervore, inattaccabile da un punto di vista morale, criticò con durezza il
clero e i vescovi ricchi e mise in discussione le forme di pietà superficiale.
Difese una immagine di Chiesa svincolata dal potere temporale. Assistette al
Concilio di Costanza dopo una promessa di immunità che non venne mantenuta: il
Concilio di Costanza lo condannò come eretico e lo consegnò all'imperatore
Sigismondo che lo fece morire soffocato dal fumo della pece.
Lutero (1483-1546) criticò la Chiesa simoniaca che vendeva la salvezza a peso
d'oro, e diede inizio alla Riforma protestante centrata sulla soggettività
della fede, lo spirito comunitario e il primato della Bibbia sui dogmi. Un papa
lo scomunicò, Leone X, e quasi cinque secoli dopo un altro papa, Giovanni Paolo
II, ha chiesto perdono per questa condanna.
La Chiesa cattolica è stata inflessibile con l'esordiente scienza moderna e ha
perseguitato alcuni dei suoi principali seguaci. Giordano Bruno (1544 - 1600) fu
catturato dall'Inquisizione e bruciato nel romano Campo de Fiori, Galileo
Galilei (1564-1642) dovette comparire davanti al tribunale dell'Inquisizione,
che nel 1633 condannò la sua teoria scientifica come eretica, e ha trascorso la
sua vecchiaia sotto la vigilanza dell'Inquisizione.
Il mistico Giovanni della Croce (1542-1591) collaborò con Teresa di Gesù alla
riforma della vita religiosa orientata a vivere il Vangelo in tutta la sua
radicalità e in chiave umanista, in un clima fraterno, con semplicità e senza
eccessi rigoristi. Carmelitani calzati, alcuni secolari e gente armata lo
catturarono e lo rinchiusero in una cella del convento di Toledo, dove rimase
per mezzo anno. Riuscì a fuggire, alla fine della sua vita anche i carmelitani
scalzi lo perseguitarono e lo diffamarono. Fu canonizzato nel 1726 e dichiarato
dottore della Chiesa nel 1926.
Il teologo e filosofo Antonio Rosmini (1797 - 1854) mise il dito nelle cinque
piaghe della Chiesa: la divisione tra il clero e il popolo nel culto pubblico,
l'insufficiente educazione del clero, la divisione dei vescovi, la nomina dei
vescovi lasciata al potere secolare e il mantenimento del feudalesimo, che ha
finito per sopprimere la libertà della Chiesa, da dove derivano tutti i suoi
mali. Il libro che segnalava queste piaghe andò a finire nell'Indice dei Libri
proibiti. Un secolo e mezzo dopo ha avuto inizio il suo processo di
beatificazione. Le contraddizioni della vita!
I teologi modernisti che vollero congiungere cristianesimo e modernità, diritti
umani e Chiesa, fallirono nell'inten-to. Uno dei più significativi fu Alfred
Loisy (1857 - 1940), autore di importanti opere esegetiche, fra cui "Il
Vangelo e la Chiesa", dove è possibile leggere questa sentenza lapidaria:
"Gesù predicò il Regno e venne la Chiesa".
Il domenicano Chenu (1895-1990) venne processato per il suo libro "Una
scuola di teologia: Le Saulchoir", che finì nell'Indice dei Libri
Proibiti. Negli anni Sessanta partecipò attivamente al Vaticano II e ispirò la
Gaudium et Spes. Non andò meglio al suo fratello di ordine Congar (1904
- 1995), che dovette subire tre volte il confino, fu privato della sua cattedra
e dovette sopportare la censura dei suoi libri. Giovanni Paolo II lo nominò
cardinale alcuni anni prima che morisse.
Bernhard Häring, uno dei principali rinnovatori della morale cattolica, si
mostrò contrario alla pubblicazione della Humanae Vitae. Da allora venne
controllato da funzionari della Congregazione per la Dottrina della Fede che lo
seguivano dappertutto. Scrisse una lettera al prefetto della Congregazione per
la Dottrina della Fede, in cui gli confessava: "preferirei trovarmi di
nuovo davanti ad un tribunale di Hitler" che comparire davanti alla
Congregazione romana che lo giudicava. Il suo processo, che durò otto anni,
venne definito dallo stesso Häring "autentiche tribolazioni", perché
coincise con il manifestarsi di un cancro alla gola che lo costrinse a
sottoporsi a sette interventi chirurgici, seguiti dalla cobaltoterapia. Non
ottenne compassione!
Hans Küng (1928) venne chiamato, ancora giovanissimo, da Giovanni XXIII per
partecipare come esperto al Concilio Vaticano II. Quindici anni dopo, la
Congregazione per la Dottrina della Fede ha dichiarato: "Nei suoi scritti
si distacca dalla pienezza della verità cattolica e... non può essere
considerato teologo cattolico né insegnare in quanto tale". Quasi la
stessa squalifica che mi è appena stata applicata.
Leonardo Boff venne ridotto al silenzio due volte. La prima volta, per nove
mesi, accettò il silenzio; la seconda, a tempo indefinito, la considerò
un'umiliazione e abbandonò l'Ordine francescano, non lo spirito di san
Francesco. Anche Ivone Gebara è stata sanzionata per alcune dichiarazioni
sull'a-borto prese fuori dal contesto.
Ora il turno della sanzioni tocca ai pionieri del dialogo interreligioso e
interculturale. Uno è stato il teologo dello Sri Lanka Balasuriya, condannato
dal Vaticano per le sue interpretazioni del peccato originale, la divinità di
Cristo e alcuni dogmi su Maria e per il suo tentativo di presentare il messaggio
cristiano in dialogo con le religioni orientali, maggioritarie in Asia. È stato
sospeso a divinis per essersi rifiutato di sottoscrivere una professione
di fede che considerava volontà divina l'esclusione della donna dal sacerdozio.
Tempo dopo, Roma gli ha tolto la sospensione.
Un altro di quelli che sono caduti per amore del dialogo interreligioso è stato
Jacques Dupuis, professore dell'Università Gregoriana di Roma, che ha vissuto e
insegnato in India per circa quarant'anni e ha elaborato una "teologia
cristiana del pluralismo religioso". La Congregazione romana lo ha accusato
di gravi errori contro elementi essenziali della fede divina e cattolica.
Da questo breve excursus sulla storia dell'eterodossia cristiana si
possono trarre alcune lezioni: 1) la maggioranza dei condannati si caratterizza
per un'esperienza religiosa profonda, vita esemplare, impegno con i settori
emarginati e grande coerenza tra pensiero e pratica. 2) Quasi tutti dimostrano
forza di spirito e lucidità di mente, e non si sono lasciati intimorire né
dalle fiamme dei roghi, né dalle scomuniche, né dalle espulsioni dalle loro
cattedre, né dalle minacce di castighi eterni, che esistono solo
nell'immaginazione di coloro che minacciano. 3) Hanno dialogato con la cultura
del loro tempo e hanno fatto progredire la riflessione teologica. 4) Con il
passare del tempo, molti sono stati riabilitati e alcuni canonizzati. Quindi non
posso trovarmi in compagnia migliore.
Mantengo tesa la mano per dialogare. Per iniziare il dialogo mi piacerebbe
ricordare al card. Ratzinger e ai suoi collaboratori il verso di Antonio Machado:
"La tua verità? No. Conservala per te. La verità. Andiamo a cercarla
insieme".
"È per me palese che Roma non
ha mai cercato né cerca che una cosa sola: l'affermazione della sua autorità.
Il resto non le interessa, se non come luogo di esercizio di questa autorità.
Salvo un certo numero di casi, rappresentato da uomini di santità e di
iniziativa, tutta la storia di Roma è rivendicazione e affermazione della sua
autorità, e distruzione di tutto quello che non si conforma alla
sottomissione". Queste dure parole non provengono da un libellista né da
una persona marginale nella Chiesa, ma dal domenicano card. Congar, a proposito
degli interventi del Sant'Uffizio contro di lui e la sua teologia. Il secolo XX
è stato prodigo di teologi che hanno protestato contro i procedimenti del
Sant'Uffizio, ora chiamato Congregazione per la Dottrina della Fede. Il grande
teologo Bernhard Häring, forse il moralista cattolico più importante del
secolo, diceva poco prima di morire che avrebbe preferito trovarsi di nuovo
davanti ai tribunali della Gestapo piuttosto che passare per quelli della
Congregazione della Fede; e il noto Karl Rahner si lamentava prima della morte
di essere stato troppo condiscendente con l'autorità della Chiesa, malgrado
avesse criticato duramente i procedimenti di giudizio dei teologi.
Nel secolo XXI non sembra che le cose siano cambiate molto. Tutta la stampa
commenta la dura Nota della Commissione episcopale della Dottrina della Fede che
condanna un libro di Juan José Tamayo, uno dei teologi spagnoli più
conosciuti, per proprio conto e per quello della Congregazione romana. Lo si
accusa di essere eretico, ariano, cioè di negare la divinità di Cristo, di
negare la resurrezione, di condurre un'attività teologica incompatibile con
quella di un teologo cattolico e di essere presidente di un'associazione di
teologi che non possiede l'approvazione canonica e che, pertanto, "non è
un'associazione della Chiesa cattolica".
Si condanna un libro scritto tre anni fa, senza che nel frattempo ci sia stato
alcun dialogo con l'autore riguardo al suo scritto; senza che questi sappia chi
sono i teologi che hanno presieduto la Commissione, né i rapporti concreti che
hanno redatto. Di nuovo la segretezza al servizio di una Commissione in cui le
stesse personalità fanno da avvocati, giudici ed esecutori della sentenza.
Esattamente la lamentela formulata da Rahner 25 anni fa.
Sembra incredibile che questo accada nel secolo XXI, ma non bisogna dimenticare
che il segretario della Commissione della Fede quindici anni fa affermava che i
sacerdoti e i religiosi autolimitavano volontariamente i diritti umani "in
ossequio gioioso ai valori del Regno". Questo ora viene applicato a Tamayo,
sacerdote secolarizzato, dimostrando che le persone alla guida delle Istituzioni
sono cambiate, ma questa rimane come prima, al margine dei diritti umani.
Però il problema va oltre il teologo coinvolto, quando si afferma che
un'associazione di teologi senza approvazione canonica non è un'associazione
della Chiesa cattolica. L'intera dottrina del Concilio Vaticano II si basa
sull'affermare che la Chiesa non è la gerarchia, ma la comunità, e che
l'identificazione tout court della voce gerarchica con quella della
Chiesa è un errore teologico. Qui si ritorna alla "gerarcologia"
criticata da Congar: è cattolico solo quello che ha approvazione gerarchica. E
siccome gli interventi di Tamayo sono critici verso la gerarchia, riflettendo il
malessere di molti - cattolici e non credenti - di fronte ai pronunciamenti e
agli atteggiamenti dei vescovi, lo si accusa di allontanarsi dalla comunione
ecclesiale, che si identifica solo con quella della gerarchia. Che rimane allora
del pluralismo che oggi esiste nella Chiesa? Che spazio si concede alla critica
in materia pastorale e teologica? Non esistono teologi vicini alla gerarchia che
possano discutere con i dissidenti , senza ricorrere alle sanzioni? Non ci sono
risposte, ma viene persino da chiedersi se c'è sensibilità per queste domande.
Il problema sta nel fatto che, nel frattempo, la gerarchia va perdendo
credibilità e plausibilità nella società e nella Chiesa stessa. Aumenta il
numero di persone che non condividono dottrine ufficiali e comportamenti
gerarchici, che a volte si impongono senza offrire argomenti convincenti. I
teologi hanno sempre più paura di pronunciarsi su temi problematici, perché
sanno che saranno castigati. Si instaura così in regime di terrore e di
autorità, che ricorda gli anni conclusivi del pontificato di Pio XII, e si apre
spazio all'ipocrisia dei teologi, e di pochi vescovi che in privato manifestano
la propria non conformità con le linee d'azione ufficiali e in pubblico
rispettano il silenzio o le fanno proprie per evitare conflitti. Non
sappiamo quale sarà il futuro del cristianesimo nelle società moderne del XXI
secolo, ma c'è poco da sperare con questo modo di agire, che non riesce a
convincere né ad imporsi. Al contrario, confermano la constatazione del
Vaticano II che i cristiani e il clero sono stati molte volte colpevoli
dell'ateismo e dell'indifferenza religiosa di molti dei nostri concittadini.
da ADISTA del 25.1.2003