SEI
UN GAY NASCOSTO? SARAI UN PRETE PERFETTO
di
Gianni Geraci*
Dopo aver visto il cardinale
Ratzinger mentre presentava il documento emanato dalla Congregazione per la
Dottrina della Fede sulle unioni omosessuali, un amico mi ha chiesto: "Ma
perché ce l'hanno su così tanto con noi?". Gli ho spiegato che, leggendo
con attenzione il documento, la vera ostilità del Vaticano non ha tanto come
obiettivo tutti gli omosessuali in generale, ma quanti, fra costoro, riescono
finalmente a vivere la loro omosessualità serenamente, senza atteggiamenti
schizofrenici, senza ipocrisie e senza strazianti sensi di colpa.
Un'omosessualità che diventa una scelta rispettabile e si integra, alla luce
del sole, in un progetto di vita capace di portare la persona verso una sua
specifica pienezza, mette in crisi un intero sistema basato sulla repressione
della sessualità e sulla sublimazione delle pulsioni omosessuali come quello da
cui la Chiesa Cattolica trae tante energie. Come spiega molto bene il teologo
Eugen Drewermann, autore di un poderoso saggio dedicato al clero cattolico e
alle sue nevrosi (cfr. "Funzionari di Dio", Raetia, Bolzano, 1996), si
può parlare di una vera e propria "omosessualità clericale" che si
alimenta, durante la pubertà, di quel sistema di prescrizioni e di divieti che
tendono a reprimere il contatto del giovane adolescente con le donne. In questo
sistema il giovane omosessuale riconosce una risposta al suo scarso interesse
per il mondo femminile, qualcosa che lo giustifica e lo tranquillizza nel
momento in cui si accorge di essere "diverso" dai suoi coetanei
eterosessuali. D'altra parte, al di là delle analisi di Drewermann, è questa
la mia esperienza personale: l'invito che ci veniva rivolto dai preti a non
"bruciare i tempi" e a non buttare via la nostra "purezza"
mi aiutava a vivere con un certo orgoglio il disagio che provavo quando i miei
amici parlavano delle ragazze e di quello che avrebbero volentieri fatto con
loro.
Non a caso, mentre loro, negli anni dell'adolescenza, si sono allontanati da una
chiesa troppo rigida e incapace di comprendere il loro desiderio di intimità
con le donne, io restavo l'unico giovane che si impegnava nella parrocchia e che
cercava di vivere fino in fondo le indicazioni che la chiesa stessa dava in
materia di sessualità. Proprio per seguire fino in fondo queste indicazioni ho
pensato che ci fosse in me una vocazione specifica alla vita consacrata,
confortato in ciò anche dal mio confessore, che vedeva in questa mia vocazione
una possibile soluzione dei conflitti che nascevano da un'omosessualità di cui
acquistavo progressivamente consapevolezza. Solo più tardi, incontrando
centinaia di omosessuali credenti, tra cui molte persone consacrate, mi sono
accorto che il mio percorso non era per nulla originale ed era lo stesso che
ciascuno di loro aveva seguito nel maturare una vocazione che, se da un lato
sembrava rispondere pienamente al rifiuto del mondo femminile, dall'altro non
risolveva certo il problema della solitudine affettiva e della riconciliazione
con la propria omosessualità. Non a caso lo stesso Drewermann illustra con
grande lucidità le tappe di questo percorso quando afferma che la Chiesa:
"Farà l'impossibile per proteggere e corteggiare l'omosessualità latente
e caratteriale", tranquillizzando i seminaristi che si spaventano per le
loro fan-tasie omosessuali e proteggendo, in ogni modo, quanti, tra i membri del
clero, pur vivendo in maniera attiva la propria omosessualità, lo fanno in modo
discreto, che non desta "scandalo". È facile capire che a una chiesa
del genere nulla può dare più fastidio di un'omosessualità vissuta alla luce
del sole, senza vergogna e con dignità: migliaia di percorsi vocazionali
costruiti sul rifiuto del mondo femminile e sulla rimozione di pulsioni
inconfessabili, andrebbero in frantumi e costringerebbero la chiesa stessa a
fare finalmente i conti con un messaggio evangelico in cui non c'è posto per
l'ipocrisia e la menzogna.
*portavoce del Coordinamento Gruppi di Omosessuali Cristiani in Italia
l'Unità 7 agosto.2003