La
mia speranza
di don Franco Barbero
Mentre sono colpito da un provvedimento che ritengo invalido e di cui non terrò conto alcuno, aggiungo due annotazioni.
1) Non è ridicolo il linguaggio con cui il cardinale
Ratzinger mi notifica il decreto papale?
Una decisione "suprema, inappellabile e non soggetta a nessun
ricorso" è un linguaggio tra il delirante e l'umoristico, per chi
abbia qualche idea della democrazia o di una comunità ecclesiale che dovrebbe
essere "ancor più di una democrazia".
2) In questi giorni ho pensato tanto anche a questa chiesa che continuo ad amare. Voglio riportare ciò che scrissi alcuni anni fa (Il dono dello smarrimento, Viottoli, pagg. 105-109) e che anche oggi continua ad alimentare la mia speranza e la mia preghiera:
"Cara mia chiesa,
voglio dirti che ti amo tanto. Benedico ogni giorno Dio di avermi chiamato alla
fede e spesso anche di avermi collocato in questa chiesa. In te ho conosciuto
tantissime donne e molti uomini pieni di fede. Da loro ho ricevuto un sacco di
bene e forti testimonianze.
In questa chiesa ho ricevuto il dono meraviglioso del ministero che, dopo ben 37
anni, mi appassiona come il primo giorno. In te ho incontrato le Scritture e me
ne sono innamorato… senza, in verità, che la cosa ti facesse tanto piacere.
Anzi…
Ma, come ogni amore sano e adulto, la relazione con te è sempre stata un amore
difficile, profondo e sincero, ma contrastato. So che questa esperienza è
comune a milioni di donne e di uomini. Ora voglio parlarti a cuore aperto.
Ho l'impressione - anzi, molto di più, la constatazione -
che col passare dei secoli tu ti sei progettata e strutturata come la torre di
Babele: "Faremo una torre alta fino al cielo… Così diventeremo famosi
e non saremo dispersi nel mondo" (Genesi 11).
Hai imboccato, cara mia chiesa, una direzione pericolosa in cui prevale
l'interesse a rendere la torre sempre più alta, a tenerla insieme solida e
compatta, a sorvegliare tutto e tutti dall'alto, a cingerla di mura, a chiudere
le finestre e sbarrare le porte. Ma, a guardarla troppo dall'alto, la realtà
appare diversa. Non arrivano più alla sommità le voci calde e commosse delle
donne e degli uomini, non si sentono più il rumore dei loro passi, il chiasso
delle strade, le canzoni d'amore, le grida di dolore e i palpiti dei cuori. Di
lassù si perde il più e il meglio della vita. Là ci si occupa della stabilità
della torre, di illuminarla, di rafforzare e ringiovanire le sue pareti, di
renderla sempre più grande, alta, visibile, stupefacente.
Si pretende di farne il trono di Dio, l'arca della salvezza, il luogo della
verità, la casa di Dio sulla terra.
Mia cara chiesa,
il mito di Babele finisce bene: Dio prima sorride di questa
torre e dei suoi costruttori illusi e vanesii, poi scende e riapre i cancelli…
verso la mappa delle nazioni, le terre dei popoli e così si interrompe la
costruzione della torre…
Vedo per te questo sogno di Dio: non una torre che s'innalza, ma uomini e
donne sparsi nel mondo a parlare e testimoniare il Suo amore.
L'isolamento più pericoloso è quello che noi cristiani possiamo costruirci da
soli quando, malati di narcisismo, vogliamo ad ogni costo difendere il nostro
vecchio palazzo, il nostro vetusto castello e non sappiamo vedere il
"paesaggio più spazioso" che Dio ha costruito e sta costruendo per le
Sue creature. Quando si ha una cura ossessiva del palazzo le persone reali
passano in second'ordine… fino a scomparire. Resta solo il palazzo e chi gli
gira attorno riverente ed ossequioso.
Per questo motivo io temo che anche questo Giubileo del 2000 ti esponga alla
tentazione di ubriacarti di te. Le tue gerarchie sono prese dall'enfasi, sono
sbronze di gloria, fanno sfoggio di potenza e ricevono l'omaggio e i
finanziamenti dei grandi di questo mondo.
Mia cara chiesa,
quanto saresti più bella, più viva se, anziché piangere
per ogni pezzo della torre che si rompe e difendere con i denti ogni mattone, tu
sapessi vedere il Dio della vita che apre spazi più ampi e demolisce le torri
in cui ci imprigioniamo per orientarci verso case più umane ed abitabili.
Accogli il plurale voluto da Dio, l'arcobaleno delle lingue, delle pelli, delle
razze, delle religioni, delle teologie.
Lasciati smantellare la torre, lasciati aprire gli occhi come fu per Agar.
Mia cara chiesa,
ricordi Abramo?
Vattene, emigra, esci dal "paese" conosciuto della tua cultura,
dalla "patria" delle tue sicurezze e delle tue potenti alleanze, dalla
"casa" e dal castello delle tue tradizioni che rischiano di annullare
e soffocare la Parola di Dio. E non fare come il faraone che si buttò
nell'inseguimento per acciuffare quelli che cercavano le sponde della libertà.
Ormai non ti chiediamo più il permesso di partire quando intravvediamo nuovi
cammini al di là dei recinti ecclesiastici.
Vattene, staccati dall'illusione di essere il centro del mondo; staccati
dall'illusione che i tuoi dogmi siano la fotografia della verità, dalla
presunzione di possedere sempre l'ultima parola su ogni questione. Abbiamo
imparato a distinguere accuratamente tra le parole umane che passano e la Parola
di Dio che resta.
Vattene dalle menzogne che continui a raccontare secondo le quali Gesù
avrebbe vietato il ministero alle donne; prendi congedo dall'altra solenne
menzogna per cui ministero e celibato sarebbero inseparabilmente congiunti dalla
volontà di Gesù; vattene dalle tue leggi disumane presentate come la volontà
di Dio.
Vattene dall'idolatria del diritto canonico, delle leggi che tu hai
codificato nei secoli; vattene dall'accerchiamento e dal cattivo uso delle tue
tradizioni, luoghi di esperienze storicamente situate e non mummie da
trasportare intangibili da un millennio all'altro.
Vattene dalla moda delle confessioni spettacolari di alcuni tuoi peccati
del passato; vattene da questi pentimenti che non conducono a conversione e
lasciano il fondato sospetto che si tratti di comportamenti diplomatici e di
operazioni di facciata.
Vattene dall'ossessione sessuale, dalle tue sessuofobie… per cui
continui a temere il piacere, ad aver paura delle donne, a guardare con
diffidenza e a offendere con i linguaggi pelosi della comprensione omosessuali,
lesbiche, separati/e, divorziati/e e conviventi anziché benedire Dio che dona
all'umanità mille forme d'amore e può far rifiorire questo amore là dove esso
si era spento.
Vattene dalle miriadi di ambigue apparizioni mariane, dalle preziose
teche della sindone e dal sangue di san Gennaro, dai mille luoghi in cui si
alimentano superstizione e spirito idolatrico.
Vattene da una struttura di potere come il papato, per riscoprire un
ministero che sia davvero servizio; vattene dal balbettio dei potenti in cui fai
sempre la prima donna; vattene dalla prigionia dei tuoi comportamenti imperiali
e abbraccia il sogno di Dio.
Vattene dall'occupazione di tutti i video del mondo; vattene dalla
retorica pauperistica che ti dispensa dal diventare chiesa povera; vattene dalla
mania di sentenziare e impara ad ascoltare.
Mia cara chiesa,
vattene da questo giubileo di troppe vane parole. Hai organizzato, soprattutto con il finanziamento dei potenti, tanti pellegrinaggi, ma tu non sei più la chiesa pellegrina verso il regno perché sei troppo appesantita dai concordati, dal mercato del tempio, dalle tue sicurezze. Il tuo tesoro terreno ti ha rapito il cuore e ha bloccato molti tuoi passi.
Mia cara chiesa,
prendi la strada di Abramo e Dio camminerà davanti a te,
sarà il tuo compagno di viaggio.
Io non ho nulla da insegnarti, ma ho soltanto voluto dirti quale eco trovano nel
mio cuore le parole bibliche rivolte ad Abramo, per la mia e la tua conversione.
Penso, oggi più che mai, che il dialogo e la preghiera siano le grandi strade
per la mia conversione.
Mia cara chiesa,
che cosa posso sperare per te? Che cosa posso augurarti di più fecondo e salutare del "dono dello smarrimento"? Quello sarà il giorno in cui, libera dai lacci del potere e dai tarli della presunzione, ti butterai tra le braccia di Dio, unica salvezza.
Pinerolo, 13 marzo 2003