Chi ha paura dei
cattolici no global?
Vecchia storia La guerra
è servita ancora a contrastare il grande movimento contro la globalizzazione.
Molti cercano di dividerlo per nutrirsi delle sue spoglie
Nuove manovre Chi propone una organizzazione autonoma dei cattolici per la pace
finisce col favorire Opus dei, Cielle e i loro continui richiami alla gerarchia
ENZO MAZZI
La storia è malata. Se c'è un fatto nuovo nella storia
della specie non è certo la vecchia signora guerra, sempre più grinzosa e
arcigna, né tutte le sue mummificate razionalizzazioni ma è l'esplosione del
movimento contro la guerra: nuovo dal punto di vista qualitativo per livello di
consapevolezza, di unità e di trasversalità, nuovo dal punto di vista
quantitativo per la sua estensione mondiale. Eppure è già sparito dalla
cronaca e gli scribi della storia si preparano già a cancellarlo dagli annali.
Stando così le cose i giovani che fra cento anni, se ci sarà ancora vita sulla
terra, studieranno la storia degli inizi del terzo millennio faranno
indigestioni dei nomi dei politici schierati sugli opposti fronti, delle loro
strategie e dei loro interessi. Ma non sapranno niente o quasi niente della vera
novità storica e forse antropologica. Scopro l'acqua calda? E' vero, lo
sappiamo bene che i movimenti dal basso non hanno mai avuto storia. Le formiche
non contano. Eppure facciamo ben poco per contrastare questa maledizione che
agisce come moltiplicatrice di violenza. La continuità della storia è
assicurata dal potere. E' il potere, ci dice la doxa dominante, la stoffa della
storia e della vita e perfino dell'ordine cosmico. I movimenti dal basso sono
appena increspature di superficie che non lasciano segni. Eppure noi sappiamo
che invece i movimenti dal basso sono loro l'anima profonda della storia. Ed è
proprio contro questa vitalità creativa che hanno intrigato i poteri di tutti i
tempi, poteri che dai profeti sono stati definiti «alleati della morte».
Che credete? Che questa guerra non abbia a che fare con la necessità di
contrastare il grande movimento mondiale contro la globalizzazione liberista? Il
dominio mondiale, quello senza volto e quello espresso dalle maschere arcigne o
sorridenti dei potenti di turno, si è impaurito di fronte alle esplosioni di
consapevolezza, di determinazione e di trasversalità, da Seattle alle centinaia
di milioni che hanno invaso le strade del mondo per la pace. Una bella guerra,
oltre a realizzare corposi interessi materiali, sopisce ogni fregola di
creatività dal basso. Annulla le speranze e le lotte per «un nuovo mondo
possibile». Sgretola l'unità intorno all'amore per la vita e impone l'unità
intorno alla morte.
Ecco, questo obbiettivo di sgretolare l'unità o meglio la trasversalità del
movimento è forse il più ambito. Un movimento diviso si affloscia in breve. E
non c'è solo la guerra per disunire, disarticolare, devitalizzare. Un altro
metodo praticato da sempre è quello di creare dall'alto movimenti paralleli in
competizione col movimento spontaneo che sale dalla vita. E' una specie di
vaccino che neutralizza il virus. La vaccinazione può venire da molte parti:
partiti, logge segrete, poteri occulti, mondo della cultura e dell'informazione.
Molti settori della società hanno interesse a dividere il movimento e a
nutrirsi delle spoglie. Cose già viste ad esempio in relazione al 68. Un
pericolo di vaccinazione contro il «virus» dei movimenti dal basso può
venire, ancora una volta, da settori integralisti del mondo cattolico. Che sono
potentissimi. E' un pericolo assai grave perché i cattolici costituiscono un
elemento fondamentale dell'attuale movimento No global e contro la guerra. Se
dovessero essere staccati dall'unitarietà e indirizzati verso una aggregazione
parallela sarebbe un disastro.
Di fatto è verosimile che su questo tema gli interessi spirituali e mondani
della gerarchia cattolica si trovino in sintonia con gli interessi per niente
spirituali ma solo mondani dei poteri laici: ambedue temono che il potere
centralizzato della Chiesa cattolica perda la presa sui fedeli. Il conciliare «Popolo
di Dio» è una realtà sfuggente, difficilmente definibile e soprattutto
incontrollabile senza una sicura e indiscussa guida centrale. Sono temibili, per
tutti i poteri, coscienze di credenti che tengono conto del servizio
ministeriale della gerarchia ma alla fine si autoregolano attraverso una
socializzazione comunitaria sulla base dei valori del Vangelo e dei «segni dei
tempi». Non fa paura ai centri del dominio mondiale la fustigazione del papa
verso l'occidente opulento ed egoista e contro le sue guerre anzi sotto sotto è
ben accetta perché così egli monopolizza lo scontento e può neutralizzarlo.
L'obbedienza ai poteri mondani contestata sul piano politico può recuperare
attraverso l'obbedienza ai poteri sacri. Non fa paura più di tanto il grido di
un prete «l'obbedienza non è più una virtù» purché tale grido si spenga di
fronte al potere che ha in delle chiavi della salvezza eterna. Obbedienza chiama
obbedienza.
Ma se il papa perde la presa sulla sua immensa base senza reagire adeguatamente,
se i fedeli si rendono autonomi e addirittura si mettono in combutta con i
contestatori, come a Seattle, come a Genova, come a Porto Alegre, come al Forum
sociale europeo di Firenze, come contro la guerra, senza che l'autorità
ecclesiastica li controlli, allora la situazione si fa pericolosa.
Qualcosa di simile avvenne alla fine dell'Ottocento. Leone XIII scrisse
l'enciclica Quoad apostolici muneris (1878), pressoché sconosciuta ma
assai illuminante, in cui si condanna aspramente e anche rozzamente il
socialismo che stava esercitando una pericolosa attrazione verso le masse
cattoliche, ma si criticano anche duramente i poteri laici per aver scelto la
democrazia e aver tolto forza al principio di autorità e ai poteri religiosi
che soli possono convincere «i sudditi» a sottomettersi alla legittima autorità
dei sovrani.
Tale enciclica si colloca nel solco della valutazione negativa della storia
moderna che si era andata accentuando nell'Ottocento e nella prima metà del
Novecento. Come data d'inizio «ideale» di tale accentuazione negativa si può
citare l'enciclica Mirari vos (1832) di Gregorio XVI, nella quale la
storia contemporanea veniva letta sotto il segno di una «congiura dei malvagi»
che non permetteva indulgenza e benignità alcuna da parte della chiesa e
imponeva piuttosto di «reprimere col bastone» i vari errori. Questo giudizio
globalmente negativo sulla storia e sulla società occidentale, soprattutto
sulle società democratiche, non fu soltanto ripreso nel magistero di Pio IX
(basti pensare al Sillabo), ma codificato solennemente nel proemio che
apre la Costituzione dogmatica del Vaticano I sulla fede cattolica: la storia
moderna, dopo il Concilio di Trento, viene descritta come la progressiva
corruzione dell'uomo, provocata dalla negazione protestante del principio di
autorità.
Leone XIII viene però gradualmente convinto del fallimento di un tale
arroccamento antimoderno basato sugli anatemi e le repressioni. Dopo una decina
d'anni dall'enciclica citata lo stesso papa emana la più nota Rerum novarum
(1891) in cui delinea la nuova strategia della gerarchia cattolica tesa a
organizzare i cattolici in formazioni sociali alternative al socialismo,
ispirate alla cosiddetta dottrina sociale della Chiesa. Le masse cattoliche
furono così sottratte alla influenza del socialismo, con grande soddisfazione
dei poteri laici, ma avvenne anche il contrario e cioè la sottrazione dal
movimento socialista dell'influenza delle stesse masse cattoliche. Senza questa
separatezza cattolica la storia dell'occidente avrebbe potuto essere assai
diversa.
Per il giorno d'oggi, una trentina di intellettuali cattolici spalleggiati da
Comunione e Liberazione, dall'Opus Dei, dal movimento per la vitae e da altre
realtà cattoliche hanno già detto qualcosa di simile: i cattolici non devono
intrupparsi dietro a un movimento antiglobalizzazione, che segue parole d'ordine
confuse e prive di aggancio all'Assoluto, che li egemonizza e toglie loro
l'identità cristiana. I cattolici hanno da organizzare la protesta in forma
autonoma e alternativa ai No global, dietro le indicazioni forti della
gerarchia.
E' in un tale clima che si collocano tentativi di raggruppare i cattolici in
forme parallele anche sul tema della pace. E per tanti di loro è una grande
sofferenza perché hanno pochi strumenti per sottrarsi all'abbraccio materno,
soffocante ma amorevole e allettante, del potere ecclesiastico.
Ed è in questa luce che vanno visti i provvedimenti repressivi nei confronti di
preti profondamente inseriti nei nuovi movimenti. Penso in particolare a don
Vitaliano della Sala e a don Franco Barbero. Don Vitaliano, il prete cosiddetto
"no global", è stato rimosso dalla parrocchia di S. Angelo a Scala,
un paesino dell'Irpinia, nel novembre 2002, soprattutto per le sue
frequentazioni «pericolose», «centri e associazioni - si legge nel
decreto vaticano di rimozione- ben noti per la diffusione di idee in contrasto
con la dottrina e l'insegnamento della Chiesa» (Social forum,
disobbedienti, gay pride, centri sociali, operai in lotta, dissenso cattolico,
pastori evangelici...).
Con don Franco Barbero sono stati ancora più duri. Il prete della comunità di
base di Pinerolo è stato di recente ridotto allo stato laicale, cioè
letteralmente «spretato». I motivi adotti dal Vaticano hanno un carattere più
marcatamente teologico, avrebbe negato dogmi di fede, ma i motivi reali sono gli
stessi della rimozione di don Vitaliano: frequentazioni pericolose,
immedesimazione nei movimenti dal basso. Si sono sempre trovate motivazioni
teologiche per accendere i roghi. E anche oggi basta una virgola per accusare
l'eretico di non credere nella Trinità o in qualsiasi altro fondamento della
fede. Si mescoli pure ai ribelli che vogliono scalare il cielo, ma sarà solo.
Non avrà più credibilità e consenso all'interno dell'ovile belante. E'
sconcertante che alcune persone di norma aperte e avvedute si siano lasciate
ingannare dal fumo delle motivazioni teologiche. No, don Vitaliano Della Sala e
don Franco Barbero non sono stati colpiti perché hanno negato la Trinità o la
Resurrezione ma perché si sono «incarnati» nella vitalità dei movimenti dal
basso e hanno rivendicato l'autonomia della loro coscienza e di quella di tutti.
Sono stati separati e isolati dal gregge per decristianizzarli e depotenziarli
in modo da farli così risucchiare totalmente dai movimenti. Mentre essi
vogliono restare nei movimenti come testimoni del Vangelo dei poveri nelle realtà
emarginate e diseredate attuali e come una spina nel fianco di una Chiesa che
rischia di usare la emarginazione per ritagliarsi uno spazio di potere nella
società secolarizzata. Ce la faranno?
Non saranno soli. Sia per don Vitaliano che per don Franco, la traccia segnata
da esperienze di frontiera come ad esempio i cattolici dei «segni dei tempi» e
fra loro le comunità di base, sebbene incerta, fragile e precaria, è una
possibilità aperta. Insomma il vero interrogativo che resta sospeso è: ritorno
alla consueta secolare separatezza o sviluppo della integrazione («incarnazione»
nel linguaggio cristiano) nel rispetto delle specificità? Il dibattito è
aperto e intenso e qualche volta burrascoso. E' in gioco l'unità del movimento
e la sua capacità di segnare la storia.
da "il manifesto" del 24.5.2003