TEOLOGIA
Gesù è Dio?

Carlo Molari    (da "ROCCA" 15/12/1999)

I modelli oggi prevalenti in ambito cristologico sono due: quello neocalcedonese e quello epifanico. Con il termine neocalcedonismo si indica la progressiva trasformazione della dottrina del Concilio di Calcedonia (451) per raggiungere un compromesso con i gruppi di tendenza monofisita e quindi per annullare la contestazione al concilio. Alois Grillmeier; il noto storico della cristologia creato Cardinale (26 nov. 1994) poco prima della morte, scrive in merito " fra una teologia calcedonese rigorosa e una teologia cirillico/monofisita stretta si trova… il "neocalcedonismo"… una teologia di mediazione che ha preso forma… prima del 519" (Le Christ dans la tradition chretiennè, Paris 1990 pp.  30- 32). Simonetti , Professore alla Sapienza di Roma, lo definisce: "L'impostazione cristologica che integra la formula calcedonese (due nature unite in un ipostasi) con l'Unus de Trinitate  passus est (uno della Trinità ha sofferto) dei monaci sciiti e con i 12 anatematismi cirilliani, per rendere più pregnante l'unità delle due nature nel tentativo di smorzare l'ostilità dei monofisiti" (in Diz. Patristico e di antichità cristiane, Marietti, Genova 1983 c. 23-54). La formula" uno della Trinità ha sofferto" intesa in senso proprio sarebbe monofisita, ma interpretata in senso traslato può essere utilizzata in senso ortodosso. I 12 anatemismi, con cui S.Cirillo, scrivendo a Nestorio riprovava ogni forma di dualismo in Cristo, non sembra siano stati assunti dal Concilio di Efeso, ma esercitarono un influsso notevole nei secoli successivi (cfr. Denz.Hu. p. 141 e nn. 252 ss.)

I neocalcedonesi, ispirandosi a S.Cirillo di Alessandria accentuano l'unità di Cristo e interpretano Gesù come l'avventura Del Verbo eterno che, restando persona divina, comincia ad essere e ad agire anche come uomo. Essi perciò "spiegano…il dogma calcedonese partendo dalla teologia di Cirillo di Alessandria: Dio ha sofferto, lo stesso Logos eterno di Dio Ha sperimentato il nostro destino e la nostra morte, così il nostro destino e la nostra morte sono stati salvati e redenti; il Logos stesso del Padre ha assunto su di sé il nostro destino con l'ipoteca del peccato e della morte e l'ha così redento".(Rahner K., Gesù Cristo senso della vita, in Scienza e fede cristiana, Nuovi saggi IX,  Roma 1984, p. 295) In questo senso, a differenza del Papa Leone Magno: "i cirilliani stretti non osano parlare di una dualità in Christo, ma soltanto extra Christum, cioè in rapporto agli effetti della sua attività, insieme divina e umana, Invece Leone parla esplicitamente della dualità delle nature e dei principi di azione (la forma), Ciascuna delle due nature resta fedele alle leggi del suo essere" (Grillmeier A., Gesù il Cristo nella fede della chiesa, Paideia Brescia II, 1982, pp. 945-946).I n  termine tecnico il neocalcedonismo afferma che la natura umana di Gesù è "enipostatica", esiste, cioè, nella "ipostasi" o "persona" del Verbo. Da questa formula la teologia dedusse che la natura umana in Cristo non avesse un'ipostasi o persona propria per cui viene detta "anipostatica". La neoscolastica tomistica spiegherà questa condizione supponendo un unico atto di essere in Cristo, quello del Verbo. Una spiegazione molto logica e avvincente, ma che impone alla dottrina della fede modelli e contenuti di una particolare prospettiva filosofica, non condivisa da tutti.
Un'ulteriore tappa della deformazione della dottrina di Calcedonia è stata compiuta insensibilmente negli ultimi secoli quando il concetto di persona ha acquisito anche un componente nuova ed è stata definita attraverso la consapevolezza e la libertà. Questo slittamento di significati ha introdotto nella dottrina della unità ipostatica un elemento estraneo e ha favorito l'attribuzione a Gesù di una consapevolezza divina. L'attuale concetto di "persona" perciò non traduce più l'ipostasi del passato.
Ne è conseguita una forma di fallacia ipostatica, tipica di molta letteratura cristologica e catechetica degli ultimi secoli. Si pensa cioè a un soggetto unico trascendente che opera alternativamente attraverso la natura umana e la natura divina, e si rischia così di ridurre Gesù a un semplice manichino guidato da un burattinaio invisibile. In tale modo la cristologia dei Vangeli viene inserita in un modello a lei estraneo e di fatto la figura umana di Gesù è completamente falsata
Il modello epifanico
Proprio per superare questa difficoltà molti teologi attuali per interpretare il mistero di Cristo non partono "più dalla questione del rapporto tra le due nature in Gesù Cristo, ma da ciò che dalla testimonianza di tutti i vangeli costituiva il centro della vita di Gesù la sua personale comunicazione con il padre" Kasper W., Per la rifondazione di una cristologia spirituale in prospettiva trinitaria, in AA:VV:; Teologia in discussione, Guida, Napoli 1989, p.75).Gesù ne rivela Dio e ne esprime la forza salvifica non per una aggiunta divina alla sua umanità, bensì perché costituito perfetto nella sua umanità della Parola eterna che alimenta la storia salvifica e perviene a Gesù attraverso la rete dei rapporti storici, per la fedeltà "del piccolo resto d'Israele". Il modello che ne consegue, detto epifanico, consente di evitare gli scogli del dualismo e del monofisismo perché afferma una profonda unità funzionale  tra il Verbo eterno e l'uomo Gesù, mantenendo una netta distinzione tra l'ambito umano e quello divino. Nello stesso tempo esso evita l'eccessiva astrattezza scolastica perché parte dall'esperienza concreta di Gesù come appare dai Vangeli e fa perno sulla presenza dello Spirito di Dio in lui. Le due nature non vengono poste sullo stesso piano, ma sono viste nel loro rapporto dinamico: Gesù è costituito Figlio di Dio, eco della parola eterna del Padre, per l'azione continua dello Spirito che compie la sua opera nella risurrezione. In Gesù, che è il nome dell'uomo, non esistono contemporaneamente una realtà umana e una divina, bensì egli è un concreto individuo che, nell'ascolto continuo della Parola e nella preghiera, accoglie e manifesta la presenza attiva della Parola del Padre, in modo talmente fedele da renderla visibile in forma umana.        (vignetta tratta da "tempi di  fraternità)
Il termine incarnazione in questa prospettiva non descrive, come ha fantasticato lo gnosticismo, la discesa di un essere celeste in terra, ma indica la rivelazione nella carne umana della perfezione di Dio, la risonanza della sua Parola in forme umane. Essa non si realizza in un istante, ma costituisce un processo che abbraccia tutta la storia di Gesù. Per la fede cristiana, Gesù non è un semidio o un essere metastorico. Nella sua realtà umana egli è perfettamente e esclusivamente uomo e non ha alcuna maggiorazione che lo faccia diverso da noi. Gesù, perciò, non ha rivelato Dio perché nella sua natura fosse divino, ma perché era stato reso così umano da diventare traduzione del progetto che Dio ha dell'uomo, era diventato così trasparente alla presenza di Dio da consentirne la piena manifestazione nella carne. "Pertanto Gesù da una parte sta di fronte al Padre in amore e obbedienza a lui, essendo così da lui differente, ma dall'altra è anche immagine che lo rende presente, icona di Dio; egli parla e agisce in nome di Dio" (Kasper W. In o. c.,p.76)E la divinità ?
Alcuni obiettano a questo modello di essere esclusivamente funzionale e non ontologico. Cristo cioè sarebbe una rivelazione storica di Dio solo in quanto uomo. L'attribuzione della divinità sarebbe possibile per un semplice traslato fondato sul rapporto dinamico di Gesù con Dio. Questa difficoltà nasce dall'equivoco di non considerare la natura specifica dell'azione creatrice di Dio. Essa non solo fa agire, bensì costituisce nell'essere ogni realtà con cui entra in rapporto. Ricordava a questo proposito K. Rahner: "Quanto più una persona, per il suo essere e quindi anche per la sua esistenza di creatura è legata a Dio, tanto più intensamente e profondamente ritorna presso di sé, e quanto più uno è in grado di esperire la propria realtà creaturale, tanto più egli è unito a Dio" (K. Rahner, La cristologia fra l'esegesi e la dogmatica, in Nuovi Saggi 4, Paoline, Roma 1973, p.271). In altre parole, Gesù ha accolto l'azione creatrice di Dio in modo così pieno, da essere costituito uomo perfetto, ed è talmente ricco nella sua umanità da essere rivelazione compiuta di Dio in chiave umana. Secondo K. Rahner "ogni formulazione cristologica che permette a Gesù, da una parte, di essere uomo nel pieno senso del termine e allo stesso tempo di essere, nella sua vita e nella sua morte, 'la Parola insuperabile per noi' potrebbe a rigore bastare; affermerebbe infatti, in maniera implicita, ciò che le formule classiche intendono affermare" (K. Rahner, Cristologia oggi, in Teologia dell'esperienza dello Spirito, Nuovi Saggi 6, Paoline, Roma 1978, p438).
In questo senso dire che Gesù è l'ambito attraverso cui l'azione creatrice di Dio ha incominciato a esprimersi nella storia suscitando immagini definitive della sua perfezione, è indicare il cammino della chiesa Egli è il primo di molti fratelli. Come la Vita sulla terra ha potuto esprimersi e svilupparsi in varie forme, come l'Intelligenza e l'Amore hanno assunto volto umano, così con Gesù una modalità inedita della presenza di Dio ha fatto irruzione nella storia e tende ad espandersi. È il Figlio Primigenio

Carlo Molari