31805. CATANIA-ADISTA. Hermine Niess (ma in Italia tutti la chiamano Marina), è una donna austriaca di 61 anni. Dal 1972 è sposata con Concetto Bonaccorso, che oggi ha 57 anni. Dal loro matrimonio sono nati tre figli: Raffaella, Elisabetta ed Alfredo. Concetto e Marina per 15 anni sono stati nel Cammino neocatecumenale: hanno perciò avuto modo di conoscerlo in profondità, arrivando anche a diventare catechisti del movimento. Poi, dopo un periodo di sofferto travaglio, hanno deciso di chiudere quell'esperienza, rileggendo criticamente le loro scelte e le enormi contraddizioni che sembrano attraversare questa discussa esperienza di vita cristiana, che ha ricevuto solo pochi mesi fa (era il 29 giugno 2002) l'approvazione pontificia. Hanno recentemente scritto un dettagliato racconto dei loro anni trascorsi nel Cammino, pubblicato sull'ultimo numero de "Il cristiano fedele", foglio settimanale della parrocchia Beata Vergine Maria del Monte Carmelo, la parrocchia dove è parroco don Elio Marighetto, sacerdote che da anni studia il movimento fondato da Kiko Argüello e Carmen Hernandez. Li abbiamo intervistati, chiedendo loro di raccontarci il Cammino visto "dal di dentro".
M:
Innanzitutto voglio premettere che con la mia testimonianza voglio rendere un
servizio alla Chiesa, non denigrarla. Io amo la Chiesa. La mia intenzione è
solo quella di fare luce su una realtà che tradisce gli ideali evangelici.
Ritengo che sul Cammino neocatecumenale sia necessario fare opera di verità. Da
quando ne sono uscita, poi, la mia vita è diventata più serena. Vorrei che la
stessa cosa potesse avvenire anche per altre persone, che magari si trovano
ancora, tra mille conflitti, all'interno di questa esperienza. Tanti vivono
infatti situazioni di dubbio, di conflitto o di rassegnazione all'interno del
movimento, in uno stato di sudditanza senza speranza di riscatto.
Quanto tempo siete stati nel Cammino?
M: Siamo entrati nel Cammino nel 1984 e ne siamo usciti nel 1999. Ho
conosciuto il Cammino neocatecumenale grazie alla mia professione di
fisioterapista. Fu la madre d'una bambina che avevo in cura a farci conoscere
questa realtà. Volevo da tempo provare a fare un'esperienza coinvolgente a
livello umano e religioso; così accolsi il suo invito a partecipare agli
incontri.
Che ruolo avevate all'interno del Cammino?
M: Siamo arrivati ad essere nominati catechisti, anche se non abbiamo mai
effettivamente esercitato questa funzione. All'interno del Cammino c'è una
rigida gerarchia per cui le persone che hanno cariche inferiori devono sempre
rendere conto di ciò che fanno e di ciò che succede nei loro gruppi alle
persone di grado superiore, fino a Kiko e Carmen che sono al vertice di questa
piramide. Ci sono "capi catechisti" in ogni diocesi, che riferiscono
direttamente a Kiko. Le decisioni prese in quella sede vengono trasmesse,
attraverso la Convivenza di Riporto, ai catechisti regionali. Questi, le
comunicano ai catechisti provinciali e a quelli delle singole comunità.
Dove stava la vostra comunità?
M: Nella parrocchia di Crocifisso dei Miracoli, a Catania. La nostra
comunità inizialmente era formata da trenta-quaranta persone. Però adesso non
c'è più quasi nessuno di quel gruppo: sono tutti usciti o in crisi. Quando le
comunità diventano troppo piccole spesso viene fatta una fusione con un'altra
comunità che si trovi nella stessa tappa del cammino: così è accaduto anche
alla nostra. Queste fusioni creano spesso grandissime tensioni, perché ciascuna
comunità è abituata a vivere in maniera separata, con dinamiche
particolarissime. Quando più comunità vengono a contatto la cosa non è
facile.
Qual è la ragione per cui voi siete usciti?
M: La ragione fondamentale è che ci siamo accorti che c'era una
pressione incredibile esercitata dall'esterno sulla nostra vita personale,
intima, che era esposta davanti a tutti. La mia vita matrimoniale, la mia
situazione economica, tutto era sottoposto al giudizio. Spesso ci veniva chiesto
conto del fatto che non pagavamo regolarmente la decima su tutto ciò che
guadagnavamo, oppure che i soldi raccolti non erano sufficienti alla
sopravvivenza della comunità.
C: Dovevamo dare il denaro. Se qualcuno non dava tutti i soldi richiesti
era considerato un avido, un vigliacco, uno legato agli idoli. Dovevamo mettere
i soldi in un sacco nero. Quindi teoricamente non c'era controllo sui soldi che
ciascuno donava. Però si sapeva che tipo di reddito poteva avere ciascuno di
noi. Quindi, a fine raccolta, i catechisti sapevano quanto, più o meno, doveva
esserci nel sacco. Se la cifra non corrispondeva a questi calcoli, venivamo
rimproverati aspramente.
Da che momento del Cammino cominciavano a richiedere la decima?
C: Dal momento della preghiera, che corrisponde al secondo passaggio,
dopo 3-4 anni circa.
Come e quando si svolgono gli scrutini?
C: Sono i catechisti a decidere quando la comunità è pronta a passare
ad una fase successiva del cammino. Solo allora i membri della comunità vengono
interrogati dai catechisti, che fanno domande riguardanti la vita personale, per
saggiare il livello di conversione alla fede di ciascuno. Gli scrutini si
svolgono all'interno di saloni parrocchiali o in qualche salone degli alberghi
dove si svolgono le convivenze. Di solito si svolgono la sera, dopo le 21 (e si
protraggono, a volte, fino all'1.30). Ogni membro della comunità viene a turno
fatto sedere avanti al crocifisso e di fronte all'équipe di catechisti e
l'interrogatorio avviene davanti a tutti gli altri fratelli. La croce serve per
far vedere, come prescrive Kiko, che i candidati si trovano davanti a Cristo,
per cui in nessun modo si può mentire o essere reticenti. Le domande sono a
tutto campo, e i catechisti non hanno riguardo per alcun tipo di privacy. Non
fanno mai domande di carattere trascendente, ma si soffermano sempre a chiedere
dei nostri rapporti coniugali, familiari, sessuali, sociali, lavorativi, ecc.
Da chi è composta l'équipe che compie lo scrutinio?
C: Interamente da laici, ad eccezione d'un membro che è il presbitero.
Il suo ruolo però è del tutto marginale: i nostri scrutini erano sempre
guidati dai laici. Se il sacerdote interviene è sempre per confermare quanto
detto dai catechisti. Finito lo scrutinio, i catechisti si ritiravano per
decidere tra loro se il candidato era o meno idoneo ad essere ammesso alla tappa
successiva.
Spesso i contenuti dell'interrogatorio erano drammatici e succedeva che la gente
si mettesse a piangere disperata. Alla presenza dei propri figli, genitori,
consorti, si venivano a sapere particolari intimi, come le infedeltà coniugali.
Ricordo che una coppia, davanti a tutti, apprese dalla figlia che aveva rapporti
prematrimoniali col fidanzato. In un'altra occasione una donna raccontò i
desideri sessuali del marito nei suoi confronti, per difendersi dalle accuse dei
catechisti che ritenevano la coppia "chiusa alla vita".
Che vuol dire "chiusi alla vita"?
C: I neocatecumenali sostengono che nella Chiesa non è ammesso alcun
metodo contraccettivo, neanche quelli naturali. Così chiunque aveva rapporti
sessuali doveva evitare qualunque forma di controllo, fosse anche quello
semplicissimo del calcolo dei giorni di maggiore o minore fertilità. Noi
assistevamo attoniti agli interrogatori degli scrutini; però spesso questo tipo
di situazioni creavano anche pettegolezzi e maldicenze tra di noi, specie su
quelle persone che, prima di crollare di fronte ai catechisti, avevano sempre
conservato ai nostri occhi un'aurea di santità. Ad ascoltare queste cose si
diventa progressivamente cinici, insensibili alle sofferenza altrui. Ma
l'intromissione nella vita privata delle persone non avviene solo durante gli
scrutini. Se c'era ad esempio qualcuno che nella comunità non era ancora
sposato, veniva preso di mira: gli dicevano "ma tu cosa cerchi?",
"perché non ti sposi", "se sei ancora celibe vuol dire che ti
masturbi, che non vivi in maniera casta", ecc. Insomma, per loro ad una
certa età bisognava per forza o sposarsi o intraprendere la vita religiosa,
altrimenti si era nel peccato. Assurdo. Per quanto riguarda la vita religiosa
femminile, poi, per i neocatecumenali esistono solo le suore di clausura. Le
altre suore per loro non servono.
Eravate sempre costretti o confessavate le vostre colpe anche in assenza di
una sollecitazione esplicita?
C: Spesso le persone erano così soggiogate da queste dinamiche che
confessavano cose intime anche quando non era esplicitamente richiesto. Questo
ad esempio avveniva quando qualcuno di noi offriva una "testimonianza"
del proprio cammino nella fede: in una assemblea regionale, un membro di
un'altra comunità disse davanti a circa 300 persone di essersi unito a sua
moglie durante la giornata trascorsa in albergo. A volte si confessavano colpe
inventate o ingigantite, per non correre il rischio di essere chiamati davanti a
tutti falsi o ambigui. Far vedere a tutti d'essere peccatori era quasi un motivo
d'orgoglio, perché chi non aveva nulla da raccontare era visto da noi come un
fariseo.
Se uno si rifiuta di raccontare?
C: Non era in comunione con la comunità e con Dio.
E il passaggio lo faceva lo stesso?
C: No, veniva respinto.
Succedeva?
C: A volte sì.
Chi conduceva gli scrutini della vostra comunità?
C: I catechisti della parrocchia di S. Leone Vescovo, a Catania; ma da
dove venissero i nostri catechisti conta poco: gli scrutini li fanno nello
stesso modo in tutto il mondo.
Non avevate catechisti interni alla vostra comunità parrocchiale?
C: I primi tempi avevamo catechisti del crocifisso dei Miracoli, la
nostra parrocchia; dopo lo Shemà (una tappa del Cammino) abbiamo fatto la
fusione con un'altra comunità che aveva catechisti di livello più alto, che
venivano dalla I comunità di S. Leone, che è qui a Catania la parrocchia di
riferimento per i neocatecumenali di tutta la città; un po' come lo è quella
dei Martiri Canadesi a Roma.
Durante la Redditio la confessione viene resa non solo di fronte alla
comunità neocatecumenale, ma di fronte a tutta l'assemblea riunita in Chiesa.
È vero?
M: Questo è stato un altro motivo per cui sono uscita. Avevo fatto
testimonianze davanti a mille, duemila persone. Ero stufa… La Redditio
è la prima volta nel Cammino in cui recitiamo il credo. Prima di recitarlo, con
la mano appoggiata alla croce, raccontiamo come era la nostra vita e come è
diventata dopo aver conosciuto il Cammino. Per questa trasformazione avvenuta
nella nostra vita affermiamo: "Credo in Dio Padre onnipotente,
ecc…". Per l'occasione ci chiedono di invitare in chiesa amici,
conoscenti, vicini di casa. E noi raccontiamo tutto, senza essere reticenti su
nessun aspetto, anche il più intimo, della nostra vita.
Se qualcuno di voi dissentiva sul modo in cui i catechisti gestivano la
comunità o sui contenuti delle catechesi?
C: Eravamo sempre d'accordo. Quando c'era qualche problema ci dicevano
che loro erano gli annunciatori del kerigma, gli angeli inviati in nostro
aiuto, le persone scelte da Dio per guidarci, che dovevamo rimanere al nostro
posto. Se perseveravamo nella contestazione, voleva dire che eravamo presi dal
demonio.
M: In principio qualcuno, anche mio marito, voleva esprimere dei dubbi, a
volte polemizzare con alcune scelte: gli veniva detto che doveva limitarsi ad
ascoltare, quasi non fosse in grado di intendere e di volere, e che potevamo
solo essere guidati. Un giorno un catechista ci ha detto che tra di noi non ci
sarebbe mai stata amicizia.
Cosa intendeva?
M: Che il loro compito era quello di farci da guide, non di esserci
amici. Ricordo che durante le convivenze i catechisti mangiavano separati dagli
altri membri della comunità, e non rivolgevano mai qualche battuta amichevole
nei confronti degli altri. Erano staccati da noi, quasi fossimo sudditi verso i
quali un gesto di convivialità poteva diminuire la loro autorità. Quando,
nell'ultima Convivenza alla quale presi parte, durante la Penitenziale, quando
ormai ero già piena di dubbi laceranti, dovuti anche alla lettura di un libro
sul Cammino, parlai di queste cose con un prete, lui mi rispose che dovevo
rimanere nel Cammino e, con tono risoluto, mi ordinò di bruciare quel libro.
D'altra parte i catechisti dicevano di fare tutto in nome della Chiesa, per cui
in qualche modo noi ci fidavamo ciecamente, tacitando i nostri dubbi e le nostre
ritrosie. Quando poi parlavano i catechisti noi, io per prima, eravamo
letteralmente terrorizzati. Io a volte per l'emozione sentivo di dovere andare
in bagno.
Sono ricchi i catechisti?
M: Io non ho avuto la possibilità di verificarlo personalmente. Certo,
come condizione economica quasi tutti i catechisti sono agiati: medici,
professionisti… Però quando c'erano le convivenze loro non pagavano mai
l'albergo, erano "i fratelli" a pagare per loro. Questo lo so con
certezza perché, essendo stata nominata catechista, in una convivenza di
ascolto sono stata esentata dal pagare.
Oltre la decima che altre richieste di denaro venivano fatte?
M: Per i seminari Redemptoris Mater, per i viaggi dei catechisti
missionari… Quando c'era qualche passaggio che richiedeva la loro presenza,
loro dovevano tornare, fosse pure per tre giorni, nelle loro città. Le spese
dei loro viaggi le sostenevano le comunità più anziane della loro parrocchia
di provenienza. Poi c'erano le raccolte per il Monte delle Beatitudini, in Terra
Santa, dove si trova il centro di spiritualità neocatecumenale, le spese per
pagare le baby sitter che le sere in cui ci sono le riunioni tengono i bambini
piccoli dei membri della comunità.
Le racconto un fatto emblematico: le raccolte vengono fatte con un sacco nero,
all'interno del quale ognuno deposita la sua offerta. Così ciascuno è libero
di mettere quello che si sente. Anzi, ci veniva detto che dal sacco noi, se ne
avevamo bisogno, potevamo anche prelevare liberamente dei soldi. Ma i sacchi per
le raccolte erano di dimensioni enormi, sicché i soldi si trovavano sempre in
fondo e per raccoglierli bisognava immergere il braccio in profondità. Così,
se qualcuno voleva prendere e non versare denaro, se ne accorgevano tutti!
A parte i soldi vi chiedevano anche altri regali?
M: Non ci chiedevano mai espressamente dei regali a titolo personale ma
di rinunciare all'attaccamento materiale. Durante lo Shemà (una particolare
catechesi per scrutare il proprio attaccamento agli idoli, in preparazione al II
passaggio), i catechisti chiedono ai candidati di staccarsi dai loro idoli, da
mammona. Ci dicevano che eravamo idolàtri. Per testimoniare il nostro ripudio
dei beni materiali ci chiedevano atti concreti, donazioni anche consistenti.
Qualcuno è arrivato a donare anche beni immobili come terreni o appartamenti.
In un'occasione ricordo che donai un anello con brillanti che avevo ricevuto da
mio marito. In quella raccolta, che era destinata al finanziamento dei Redemptoris
Mater non era stata raggiunta la cifra in denaro sufficiente; quindi, per
raggiungerla, i catechisti ci dissero che potevamo anche offrire gli oggetti di
valore che possedevamo. Prima di arrivare alla cifra desiderata si facevano
anche tre o quattro giri con il sacco nero. Questa continua richiesta di denaro
è stata una delle ragioni che mi ha fatto decidere di uscire. Spesso tornavo a
casa senza più una lira.
Quante volte all'anno avvenivano queste raccolte?
C: Quando c'era la convivenza generale, una volta all'anno, all'inizio di
autunno, per le convivenze regionali, poi ogni volta che si faceva una
convivenza per il passaggio ad un'altra tappa del Cammino. Dopo il secondo
passaggio veniva richiesta la decima, che si effettuava una volta al mese. Prima
di allora, comunque, ogni settimana venivano fatte raccolte libere, per far
fronte alle spese per la cura della sala dove si riuniva la comunità, per gli
arredi sacri, ecc.
La celebrazione dell'eucarestia la facevate separatamente dal resto della
comunità parrocchiale?
M: Sì, anche se era difficile trovare tanti sacerdoti disponibili il
sabato sera. Perché ogni comunità celebra separatamente dall'altra.
Non vi sembrava strano fare la messa in questo modo?
C: Ora sì, ma allora ci sembrava naturale. Anche perché durante le
celebrazioni, dopo la lettura del vangelo, c'erano le risonanze, ossia chi
voleva poteva liberamente dire ciò che la Parola di Dio aveva comunicato alla
sua vita, in termini molto concreti, quotidiani. Insomma, si creava un problema
di riservatezza, anche nei confronti delle altre comunità; ci sembrava naturale
che non venissero a sapere le nostre cose. Poi, purtroppo, le questioni
personali non rimanevano mai nell'ambito della comunità.
Parliamo della confessione personale con il sacerdote…
M: L'unica persona che aveva un minimo di benevolenza nei nostri
confronti era il sacerdote. Quindi per noi era comunque importante confessarci
da lui, ottenere un poco di conforto. D'altra parte il presbitero era nella
nostra stessa condizione: anche lui era nel Cammino, anche lui doveva fare le
proprie confessioni davanti a noi. A noi era prescritto di non scendere mai ad
un livello troppo personale con lui. Dovevamo limitarci a dirgli i peccati che
avevamo commesso. A lui, allo stesso modo, era consentito solo di ascoltare la
nostra confessione e di darci l'assoluzione. Non poteva in nessun modo farci la
direzione spirituale, darci suggerimenti, incoraggiamenti. Quello era compito
esclusivo dei catechisti. Insomma, del sacramento rimaneva solo l'aspetto più
formale.
Come avveniva la confessione?
C: Ci si siedeva in cerchio per la liturgia penitenziale. Veniva letta la
Parola di Dio, poi i sacerdoti si ponevano in mezzo al cerchio, si confessavano
sottovoce uno con l'altro davanti a noi e dopo, in piedi, attendevano che anche
noi ci confessassimo. Solo che era difficile, visto che l'ambiente non era
parti-colarmente grande, che mentre ci si confessava la gente intorno non udisse
ciò che si diceva. Allora per ovviare a questo durante le confessioni
l'assemblea intonava dei canti, però tra un canto e l'altro c'era silenzio;
allora bisognava stare attenti ad abbassare ulteriormente il tono della voce per
non essere ascoltati.
È vero che dentro il Cammino si incita all'endogamia, cioè a sposarsi con
persone interne al movimento?
M: Verissimo. Ho fatto così anch'io con mia figlia. Lei stava con un
ragazzo che non era nel Cammino. Gli ho detto tante volte di farlo venire alle
catechesi, ma lui non voleva. Io tormentavo mia figlia dicendogli che quel
ragazzo non pensava secondo Cristo, che era lontano dalla Chiesa, la spingevo a
lasciarlo. Nella mia casa sono avvenute litigate furibonde... era una cosa
indescrivibile! Mia figlia alla fine è uscita dal Cammino. D'altra parte i
catechisti ci dicevano sempre che era meglio costruirsi una famiglia vera,
cristiana, con quelli che loro definivano "i figli di Israele": il
paradosso è che "figli di Israele" erano considerati solo gli
appartenenti al Cammino, per cui tra un ateo, un musulmano e un cristiano che
non frequentava le catechesi per loro non c'era poi molta differenza.
Capitolo eucarestia: cosa mi dice?
M: Tremendo: anzitutto il Cammino, per l'eucarestia, usa il pane azzimo
che molto più facilmente lascia briciole. Nessuno poi aveva cura di raccogliere
queste briciole, che cadevano spesso per terra. I neocatecumenali non credono al
sacrificio dell'eucarestia. Il pane consacrato doveva essere consumato tutto
durante la celebrazione. E dopo? Non sono certa che per loro alla fine della
Messa quel Pane fosse ancora il Corpo di Cristo dato che non si curavano
minimamente delle briciole finite inavvertitamente per terra. Un sacerdote del
Cammino che fa il cappellano militare a Livorno, con i parà della Folgore, un
giorno mi disse: ma a che serve il tabernacolo? I primi cristiani non ce
l'avevano!
Come avete accolto a giugno l'approvazione?
M: Per me è stato un dramma. Il cappellano militare a cui ho prima
accennato me l'ha detto il giorno prima che la notizia fosse ufficiale. Ho
pensato: ma dove è il papa? Mi sono sentita tradita dalla mia stessa Chiesa,
quella che amo come una madre.
Voi eravate anche in contatto con l'arcivescovo di Cata-nia, mons. Bommarito…
C: Fu lui a contattarci perché voleva avere da noi una testimonianza. Se
ne servì quando all'inizio del 2002 scrisse la sua lettera ai neocatecumenali.
E il successore di Bommarito, mons. Gristina, che posizione ha assunto?
M: So che a fine gennaio ha celebrato in cattedrale una messa di
ringraziamento per l'approvazione del Cammino. Ma ormai non credo che nessun
vescovo si possa sottrarre a queste celebrazioni ufficiali…
Chi è rimasto dentro, come vi tratta?
M: Siamo stati totalmente emarginati. Alcuni ci guardano con compassione
o disprezzo, altri neanche ci guardano. Kiko stesso dice che nella Chiesa sono
necessari i Giuda. Io sono una di quelli. Se non avessi la fede nella Chiesa, mi
deve credere, sarei disperata. Ci sono stati anche suicidi nel Cammino.
Ci sono stati suicidi?
M: Ho ascoltato testimonianze di persone come me che affermano che
qualche fratello uscito dal movimento è arrivato a suicidarsi per la solitudine
e le sofferenze procurate loro. Io stessa conosco una sorella che, abbandonato
il Cammino, ha tentato di uccidersi.
da ADISTA del
5.4.2003