NOGARO:
IN IRAQ GLI ITALIANI SONO IN GUERRA
Antonio
Pastore
Sotto
il segno di "via dall'Iraq", ora e subito. Per i diritti della gente
che soffre, per i poveri del Terzo Mondo e per il Terzo Mondo che abbiamo in
casa. Caserta si avvia alla nona marcia per la pace, domenica ore 15 dalla
stazione ferroviaria. Dopo gli echi velenosi alle sue dichiarazioni sui morti di
Nassiriya, Nogaro torna a parlare di guerra e pace, e a denunciare lo "sciacallaggio
economico mascherato da missione umanitaria". Militari italiani a casa,
unica strada per spezzare la spirale d'odio e rancore, via gli eserciti
stranieri dall'Iraq, come chiede solennemente da Roma il patriarca (cattolico)
di Bagdad. Aderiscono alla marcia sindacati e associazioni, sindaci (del
centrosinistra) e assessori. Il primo cittadino di Caserta dice di sì, ma solo
perché il comitato è presieduto da Renato Coppola, "persona estranea a
ogni discorso politico" (in ogni caso il Comune sarà rappresentato dal
vice, Enzo Ferraro); Mario Landolfi, portavoce di An, non ci sarà, ma giura che
non è un gesto polemico. Intanto domani mattina scendono in piazza gli
immigrati e i centri sociali: chiedono la velocizzazione delle pratiche di
regolarizzazione giacenti negli uffici, l'estensione del diritto d'asilo a tutti
i richiedenti, una interpretazione del voto amministrativo non restrittiva,
l'apertura verso gli stranieri che vivono di lavoro autonomo.
Duro, "radicale" e appassionato. Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta e
portabandiera dei diritti degli immigrati e del pacifismo italiano, non arretra
di un millimetro a un mese da quei morti e dalle polemiche che seguirono alle
sue dichiarazioni sia nella Chiesa che nel mondo politico (vedi l'indignazione
di Pisanu, Landolfi e altri). Domenica diocesi e associazioni scenderanno in
piazza a Caserta per la "marcia della pace" e Nogaro ripete il suo no
alla guerra e "allo sciacallaggio economico mascherato da missione
umanitaria".
Monsignore, ma quei ragazzi italiani a Nassiriya e in Iraq, che cosa sono?
Portatori di pace o soldati in guerra?
"Comunque tentiamo di giustificarla e da qualsiasi punto di vista la si
guardi, quella dell'Italia in Iraq è un'azione di guerra. Una guerra che,
indipendentemente dalla volontà del singolo, l'Italia combatte a fianco degli
Stati Uniti e di sicuro non per nobili ideali".
Il governo dice che siamo andati lì per portare la democrazia e per
pacificare il Paese...
"La pace non si porta con le armi, non si è mai visto da nessuna parte. La
violenza è tutta da condannare, sia che si tratti della guerra che del
terrorismo o di altre forme di resistenza armata. E poi, come si fa a negare che
l'esercito italiano e quello americano siano impegnati in una situazione di
guerra? La verità è che siamo andati in Iraq in qualità di alleati
privilegiati dell'America per difendere gli interessi occidentali".
E allora, come si esce dalla palude irachena?
"Semplicemente ritirando i nostri ragazzi. Non esistono soluzioni diverse
dal ritiro immediato e incondizionato, sarebbe un segno forte nella giusta
direzione per spezzare la spirale dell'odio".
Non ha paura che il ritiro venga interpretato come una fuga, un segno di
cedimento, invece?
"Guardi, in questi giorni è in visita a Roma il patriarca di Baghdad -
patriarca cattolico, badi bene - che sulla sua pelle ha subìto e patito il
regime di Saddam. Ecco, nemmeno lui è favorevole alla permanenza degli eserciti
stranieri in Iraq e lo ha motivato con ragioni che devono far riflettere".
E cioè?
"Il patriarca ha ricordato anzitutto che le nazioni dell'Occidente non
hanno alcun diritto di venire nel suo Paese a imporre regole e leggi che sono
estranee alla sua cultura e che, buone o meno buone che siano, comunque gli
iracheni mostrano di non gradire affatto. Con quali effetti, per giunta. Certo,
ha spiegato il patriarca, sotto Saddam si viveva male, c'erano indigenza e
ingiustizie. Ma adesso, ecco adesso la nazione pare trasformata in un enorme
giungla, dove regnano caos e disperazione. All'America il patriarca chiede di
ritirare le sue truppe: gli iracheni, magari con terribili sforzi, sono capaci
di venir fuori da soli da questo tunnel".
Ma se si ritirassero Bush e Blair, e scendesse veramente in campo l'Onu, lei
sarebbe favorevole all'invio o alla permanenza del contingente italiano sotto
l'ombrello delle Nazioni Unite?
"Certo cambierebbe il senso completo di tutta l'operazione, e a questo
punto bisognerebbe capire, valutare. Ci sono state situazioni, nell'ex
Jugoslavia e altrove, dove in effetti è stato possibile intervenire senza dare
all'intervento il significato di un'occupazione. In Iraq, però, per il momento
non è così".
Qual è la partita in gioco?
"È molto più di una vittoria o di una sconfitta politica. Qui è in gioco
la speranza dell'umanità, la sua salvezza o la sua perdizione".
Il Mattino 12 dicembre 2003