Pedofilia, l'alibi
del Vaticano
La pedofilia è un
crimine, tanto più se agita da preti. Ma la «tolleranza zero» non servirà,
se non si interviene sulla «pastorale del disprezzo» per il corpo e la
sessualità, che include il celibato dei sacerdoti. Una teologia sacrificale che
disumanizza, che innaturalmente separa il sacro dall'umano
ENZO MAZZI
«Tolleranza zero: è inquietante questa assunzione da parte
del potere ecclesiastico del linguaggio aggressivo tipico della destra a livello
mondiale. Ed è ancor più inquietante che nessuna voce, per quanto mi risulti,
si sia levata né dentro né fuori dalla Chiesa per denunciare una tale
aberrazione. La pedofilia è un crimine e quella dei preti lo è a un livello di
gravità e pericolosità smisurata. Ed è certamente irresponsabile chi l'ha
coperta col silenzio. Ma la «tolleranza zero» va ben oltre i normali strumenti
che la società ha approntato per sanzionare tale crimine. Esula dalla
razionalità che s'interroga sui fenomeni e sulle cause per individuare
strategie efficaci. E' un messaggio che ha il sapore della prepotenza globale. I
preti pedofili sono per lo più il frutto di una educazione e di una condizione
di vita repressiva e autoritaria che ha impedito lo sviluppo equilibrato della
loro personalità e li mantiene in condizione di nevrosi di vario tipo. La
psicoanalisi ha consentito di studiare sistematicamente un tale fenomeno che
fino a qualche decina di anni fa era affidato al fiuto della saggezza popolare,
consegnato a motti, fiabe, racconti, o alla riflessione di filosofi e
romanzieri. Oggi esistono studi di rilievo come quello ponderoso del teologo e
psicanalista tedesco Eugen Drewermann Funzionari di Dio (Raetia, Bolzano,
1995). In molti preti l'educazione repressiva, la condizione di vita, la
identificazione totale col ruolo, i sensi di colpa producono sofferenze,
squilibri, ossessioni, che normalmente vengono superate, se così si può dire,
in chiave ascetico-sacrificale. Quanti eroismi di dedizione totale sono il
frutto di tali macerazioni psichiche! E questo è il bene, a volte il bene
ammirevole, che viene dal male; è il positivo che scaturisce dalle mutilazioni
dell'anima e del corpo.
In alcuni preti invece tutto ciò induce a comportamenti distruttivi al limite
del suicidio e alla pedofilia. Tale fenomeno, la pedofilia del clero, non è
affatto limitato al Nord America ed è ovunque molto più vasto di quanto
emerga: affermano ciò persone che conoscono bene il mondo ecclesiastico. Non è
un prodotto del lassismo moderno, come si vuol far credere. Anzi forse una
maggiore libertà del clero anche in campo sessuale ha contribuito a contenerlo.
E' un fenomeno antico, come del resto la pedofilia intra-familiare. Se oggi
emerge e fa scandalo non è perché si sia aggravato ma perché le vittime e i
loro genitori hanno il coraggio di denunciare gli abusi e perché il potere del
clero è meno assoluto ed è bilanciato da altri poteri fra cui quelli della
magistratura. La quale incomincia ad osare in campi minati come l'autonomia
delle religioni e la vischiosità dell'etica. Ripeto: il fenomeno della
pedofilia del clero nelle sacrestie, nei seminari, negli istituti, nelle scuole
è vasto. Ma anche se fosse molto contenuto è un frutto e un segno della
distorsione sia nel campo del reclutamento del clero sia in quello della sua
formazione e della sua condizione di vita.
Ai preti viene inculcato il disprezzo per il corpo, in particolare per la
sessualità, e la fobia della donna. E sono inviati in mezzo alla gente come
ministri anzi come segni personali del disprezzo per la carne. Esagerazioni?
Certo non sono più attuali gli eccessi preconciliari. Il celibato non è più
considerato, come avveniva fino alla riforma conciliare, una condizione di vita
superiore. La veste talare capace di nascondere il corpo e di rendere incerta la
identità la portano ormai in pochi. I seminaristi non sono più costretti a
spogliarsi solo dopo essere entrati nel proprio letto e a rivestirsi prima di
uscirne al mattino e non sono più chiusi a chiave dall'esterno nella loro
cameretta durante tutta la notte. Quella rozzezza medioevale è stata sostituita
da metodi più sottili ma ugualmente repressivi. E soprattutto resta la
sostanza. Che senso ha il celibato obbligatorio del prete, sottolineo
l'aggettivo «obbligatorio», se non quello di porre una separazione netta fra
sacro e sesso? Il prete in quanto essere «consacrato» e quindi «separato»
deve astenersi dai rapporti che investano la sfera sessuale. Al di là delle
consapevolezze e della buona fede dei singoli, non è questo il segno, incarnato
da una persona, dell'esaltazione del sacro e del disprezzo per ciò che non è
considerato in sé sacro, il corpo e il sesso appunto? E non è forse vero che
il peccato per antonomasia continua ad essere identificato nell'uso in qualsiasi
modo della sessualità al di fuori del matrimonio? Ogni pur minima trasgressione
del sesto comandamento non è tutt'ora considerata un peccato sempre grave
contro Dio, peccato che solo il prete può cancellare con l'assoluzione? Questo
«non poter vivere senza il prete che ti assolve» sembra che generi attrazione
verso il sacerdozio, cioè verso il possesso del potere di sciogliere e di
legare, proprio nelle personalità più fragili nel campo della gestione del
proprio corpo e nella consapevolezza della propria identità.
Il matrimonio dei preti potrebbe attenuare il fenomeno della pedofilia
ecclesiastica ma non risolverebbe fino in fondo il problema dogmatico e
simbolico relativo al discredito del corpo e della sessualità. Perché mai c'è
bisogno del prete per contrarre matrimonio? Perché la gestione del corpo viene
sottratta alla responsabilità personale, alle dinamiche delle relazioni
interpersonali e al laico ordinamento della società e alle sue regole? Se la
liceità morale dell'uso della propria sessualità è sottoposta alla
legittimazione di una superiore ed esterna autorità sacra allora vuol che la
sessualità in sé è peccaminosa. Una sessualità che ha bisogno di essere
purificata e per così dire «lavata» col sacramento del matrimonio vuol dire
che è sporca. Anche il prete la cui sessualità fosse stata «lavata» e resa
pura col sacramento, cioè il prete sposato, in chiesa resterebbe pur sempre
sacerdote, essere sacro dotato a sua volta del potere di «lavare» la sessualità
degli altri e quindi continuerebbe ad essere segno di una sacralità repressiva,
di una sacralità del disprezzo.
E' in queste profondità esistenziali e teologiche che si annida il cancro della
disumanizzazione. Da lì, anche da lì, nasce l'inclinazione alla pedofilia. La
tolleranza zero contro i preti pedofili si presta ad essere considerata solo un
alibi per non uscire dal medioevo ecclesiastico. Il potere ecclesiastico sembra
ancora convinto che per la salvezza del mondo non esiste nessun'altra dimensione
della fede se non quella della colpa, del sacrificio e del perdono calato
dall'alto. Sarà anche un perdono paterno e pieno di misericordia quello
concesso dal potere divino di sciogliere e di legare ma è certo fonte di
angoscia perché marca e riproduce il senso di colpa e crea dipendenza totale
proprio nelle persone più fragili per le quali se venisse a mancare quel
perdono il giudizio divino di condanna resterebbe senza appello per tutta
l'eternità.
L'anello del peccato e del perdono incatena alla dipendenza dal potere di
sciogliere e di legare della Chiesa. Chi si trova nelle sue maglie è portato a
sentirsi come un bambino bisognoso della mamma, la Chiesa appunto, per
sopravvivere in senso etico, esistenziale e morale. La confessione rigidamente
individuale ora ribadita da un nuovo documento pontificio può essere vista
proprio come la saldatura di una tale dipendenza infantile. Il perdono, di cui
tutti abbiamo bisogno, è sottratto alla rete delle relazioni e posto sotto il
dominio e il ricatto di un potere sacro, come avviene per la sessualità,
l'amore e la vita.
Se si dovesse parlare di tolleranza zero bisognerebbe rivolgerla a questa
teologia e pratica che non esiterei a definire «pedofilia strutturale». Gli
esseri umani sono oggetto, come bambini appunto, dell'amore materno della Chiesa
in funzione della stabilità della Chiesa stessa perché da tale stabilità
dipende la loro salvezza eterna e la salvezza del mondo. In nome di tale amore
materno si sono accesi i roghi, si sono convertiti a forza gli indigeni, si sono
fatte guerre di religione. In nome di tale amore si continua a educare i bambini
al senso del peccato, del sacrificio, del perdono. Sarebbe esagerato chiamare «pedofilia
strutturale» questo amore spietato per gli uomini-bambini? Per fortuna ci sono
tanti preti che non praticano più una tale pastorale che ho definita «strutturalmente
pedofila» e ci sono tanti teologi che negano il peccato originale e la teologia
sacrificale. Essi affermano che il sesso è in sé sacro, l'amore è in sé
sacro, il matrimonio è in sé sacro. Per loro il sacramento è il gioioso
riconoscimento nel cerchio comunitario del dono divino della sacralità insito
nella creazione e l'assunzione responsabile di tale sacralità. Il sacramento,
ogni sacramento compreso il matrimonio, è fondato sulla eucaristia che vuol
dire proprio «rendimento di grazie». E Gesù è il testimone di tale sacralità
e non invece il suo ricatto. Ma coloro che sostengono questa visione della fede
non sono affatto considerati in linea, sono anzi eretici. Per la maggior parte
vengono ignorati, anche se sono tanti, finché non fanno clamore. Qualcuno più
in vista viene scomunicato o in altri modi condannato esemplarmente in nome
dello splendore della verità.
Si apre qui una contraddizione intrigante: come può essere sacra la realtà
della materia e della vita umana se il sacro è essenzialmente separazione? Se
«sacro» significa proprio «separato»? La contraddizione si scioglie forse
distinguendo il sacro come reificazione violenta del mistero e dell'inesplorato
dal sacro come anima profonda della esistenza. Ogni potere tende a sacralizzarsi
e a costituirsi in mondo a parte. Nascono il «tempio» e il «palazzo».
Nascono le teologie e le ideologie. Nasce il concetto di Dio quale
personificazione dell'alterità, «cifra assoluta dell'aggressività umana»,
come lo definì Ernesto Balducci (Testimonianze 328/1990, citato più
ampiamente nel mio libro in stampa presso Manifestolibri: Ernesto Balducci e
il dissenso creativo). Nasce la casta dei chierici che divide il sacro dal
profano, che istituisce come si è visto il cerchio vincolante
peccato-sacrificio-perdono-purificazione-salvezza. All'opposto, il sacro può
essere visto come miniera profonda e fonte nascosta di inedito che soggiace alla
razionalità, alle provvisorie conquiste umane, alle consapevolezze e alle
identità acquisite o «edite». Questo secondo universo del sacro è sì «separato»
ma non dalla vita di cui invece è l'anima segreta. Allora in che senso è
separato? In quanto è «altro» rispetto alla cultura dominante e come riserva
di criticità rispetto a tutte le sacralizzazioni delle nostre provvisorietà
(ho sviluppato questo tema nel libro La forza dell'esodo, Manifestolibri,
Roma, 2001).
Cari cardinali, è contro la «pedofilia strutturale» della Chiesa che dovreste
rivolgere la «tolleranza zero», contro la sacralizzazione del vostro potere,
contro la vostra teologia e pastorale del disprezzo. E liberate gli uomini e le
donne dai pesi insopportabili che il potere ecclesiastico ha caricato da secoli
sulle loro spalle, già tanto gravate dalla fatica del vivere, pesi che nemmeno
voi riuscite a portare. Forse non sparirà la pedofilia ma certo verrà colpita
a fondo, e non solo quella dei preti.
(da "il manifesto" dell'8-5-02)