Preti omosessuali: perché condannare una categoria quando la maggior parte di essi è composta da ottime persone?
QUESTO ARTICOLO, COMPARSO SUL PERIODICO INFORMATICO SPAGNOLO "RELIGIÓN DIGITAL" (16/12/02), È FIRMATO DA XABIER PIKAZA, DOCENTE DI TEODICEA E STORIA DELLE RELIGIONI ALLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ DI SALAMANCA. TITOLO ORIGINALE: "A FAVOR DE LOS HOMOSEXUALES EN LA IGLESIA"
Con immensa pena
leggo, quasi ogni giorno, notizie sul tema dell’omosessualità nella Chiesa
cattolica, quasi sempre messe in relazione con possibili condotte delittuose del
clero, come se questo fosse, insieme al denaro, l’argomento base del
cristianesimo. A partire da questo, in modo personale, quasi in forma di
confessione, mi arrischio ad esprimere ad alta voce i miei pensieri, senza
nessun’altra autorità che quella che mi concedono il mio amore per la Chiesa
e i lunghi anni da religioso e da presbitero, in tempi di profondo cambiamento
sociale e religioso. A partire da questo, considerando la mia stessa esperienza
e il mio amore per la vita, voglio esprimere ad alta voce alcuni dei miei
pensieri al riguardo.
All’interno della Chiesa cattolica, l’omo-sessualità, tanto maschile quanto
femminile, è un dato di fatto, così come fuori di essa. Non è né buona né
cattiva. Semplicemente è: la vita ci ha fatto così, e così dobbiamo
accettarla, come un elemento della nostra complessa e affascinante esistenza.
Perciò inizio ringraziando Dio per gli omosessuali cristiani (e non cristiani),
soprattutto per quelli che ho conosciuto e amato. Lo ringrazio perché, in mezzo
a grandi difficoltà, molti di loro sono potuti uscire dall’armadio in cui
erano rinchiusi fino a poco tempo fa, soprattutto in Spagna, per vivere
finalmente, come persone, con i loro valori e i loro problemi. Se un cristiano
si vergogna degli omosessuali, si vergogna di Dio stesso, bestemmia la vita
complessa e meravigliosa che questo Dio ha creato.
Tutti sanno che nel clero (e nella vita religiosa) la percentuale degli
omosessuali è più alta che nel resto della società, forse proprio per il tipo
di vita celibe dei suoi membri e anche per una forma speciale di filantropia e
di sensibilità riguardo alla vita che loro mostrano. Non possiedo percentuali
affidabili della Chiesa spagnola, però li possiedo di quella americana, grazie
al libro di D.B. Cozzens, The Changing face of the Priesthood, (Liturgical
Press, Collegeville MN 2000), che è stato uno dei responsabili della formazione
dei presbiteri cattolici in Usa, nella migliore tradizione gerarchica di quella
Chiesa. Cozzens mostra e ammette, senza alcun problema, che la metà dei
seminaristi e dei presbiteri Usa sono omosessuali. Questo non è né un bene né
un male, è un fatto, e continuo a ringraziare Dio o la vita per esso. Ad ogni
modo mi piacerebbe che le percentuali fossero quelle normali all’interno del
contesto sociale, ossia, tra un 10 e un 15%, ma nelle attuali circostanze di
reclutamento clericale è impossibile: finché il clero continua ad essere
quello che è, avrà una media di omosessuali più alta del resto della società.
La maggior parte dei presbiteri e dei religiosi omosessuali hanno condotto e
conducono una vita degna, lavorano per gli altri con onestà, sono buoni
presbiteri della Chiesa, professionisti attenti e al servizio del Vangelo. È
evidente che hanno i loro problemi affettivi, come gli eterosessuali, e che,
spesso, le loro difficoltà di integrazione sociale sono maggiori. Ma sono
soliti essere maggiori anche i loro apporti di tipo affettivo, sociale e
spirituale. Ringrazio Dio e voglio ringraziare loro, soprattutto quelli che ho
conosciuto e che conosco, ai quali devo una parte considerevole della mia
esperienza cristiana.
Alcuni omosessuali, che sono minoranza, hanno messo in atto pratiche che
risultano delittuose, seducendo minori, soprattutto là dove il contesto sociale
è più chiuso o asfissiante: nei seminari, nei convitti e nei gruppi giovanili.
Ma questo lo sanno tutti e succede anche in altri contesti (dentro e fuori le
famiglie). Gran parte di questi casi si risolvono senza ulteriori problemi, con
il tempo, a volte con l’aiuto di persone più esperte o amiche, come tutti noi
che viviamo nel mondo abbiamo sperimentato nelle famiglie o nei gruppi a noi
vicini. Però per alcuni di essi la seduzione è stata più intensa o continua,
cosicché possono e devono finire nei tribunali. Quando succede, colpevoli o no,
i preti implicati (presbiteri e vescovi, o anche religiosi o religiose) devono
abbandonare la funzione pubblica e rispondere alla società come il resto dei
cittadini.
Il numero di preti che ha sedotto minori mi sembra "normale" secondo
le statistiche (lo stesso che fuori del clero). In alcuni casi, questa seduzione
risulta più dolorosa, perché si fa utilizzando il prestigio sacerdotale o
religioso. Conosco alcuni casi in cui si è giunti al tentato suicidio (e in un
caso al suicidio vero e proprio) tra le persone implicate e ho provato (e provo)
una rabbia immensa per questo. Questo è stato, e forse continua ad essere, un
vero e proprio delitto.Si presume che la loro stessa scelta evangelica dovrebbe
aver trasformato i preti o aspiranti tali, rendendoli uomini e donne di gratuità.
Ma tutti sanno che la vita è difficile e che in certi ambienti di reclusione
affettiva sono solite prodursi reazioni violente. Conosco anche tentativi di
suicidio in ambienti non clericali per questo stesso motivo e tentativi di
omicidio contro i pretesi seduttori. Sia come sia, questi casi non devono
portare alla condanna del clero nella sua interezza, né di tutti gli
omosessuali che ne fanno parte.
Non mi sembra consigliabile che i preti omosessuali "escano
dall’armadio" accompagnati da un rullo di tamburi. In questi casi, come
nella vita affettiva in generale, la cosa migliore continua ad essere la
discrezione benevola, senza menzogne, ma senza pompa magna. Per questo non mi
piace neanche che alcuni mezzi di comunicazione insistano in modo monotematico
su questi problemi, invece di mettere in rilievo altri aspetti personali e
sociali, culturali e artistici più importanti. Ad ogni modo, quello che invece
deve uscire dall’armadio, fin da subito, è la struttura clericale, se non
vuole perdere la propria credibilità: non deve diffondere ai quattro venti i
suoi problemi interni, ma neanche nasconderli. Il prete, in quanto uomo pubblico
nella Chiesa, deve essere disposto ad accettare che la sua vita sia nota. Una
struttura ecclesiastica centrata sulla difesa di se stessa, sulla protezione del
suo potere e del suo segreto, è degna di essere condannata e di finire, senza
ulteriori ritardi, per il bene del Vangelo e, soprattutto, della società.
Considero aberrante, se fosse vera, la notizia diffusa da alcuni mezzi di
comunicazione, in cui si dice che alte istanze del Vaticano, dirette da un
cardinale che ha presieduto il Dicastero del Clero, vogliono proibire agli
omosessuali l’accesso ai seminari e alle funzioni ministeriali di presbitero e
vescovo. Come riusciranno a distinguere gli uni e gli altri? Che faranno con le
migliaia di presbiteri e di vescovi omosessuali che esercitano con pieno
rispetto il loro ministero? Il problema non è che i ministri siano o no
omosessuali, ma che esercitino bene il loro compito evangelico, secondo la
parola di Gesù e la vita delle loro comunità, in libertà gioiosa e nel
servizio all’uomo.
Quello che mi preoccupa non sono gli omosessuali, ma la forma di vita della
Chiesa. Sono convinto che, almeno in Occidente, è finita una fase clericale del
cristianesimo. Il celibato dei preti, che in altri tempi ha avuto una funzione
sociale, ora non l’ha più: quello che importa non è che il presbitero sia
celibe o no, ma se è fedele all’amore e alla vita, se è persona di gioia e
di annuncio. In questa direzione la Chiesa sta perdendo e deve perdere la
propria struttura ministeriale gerarchica, per convertirsi in federazione di
comunità autonome, che siano capaci di eleggere i propri ministri, per tutta la
vita o per un certo tempo, uomini o donne, celibi o sposati, omosessuali o
eterosessuali, cercando solo la fedeltà al Vangelo e all’annuncio di Dio,
ossia, gioia di vita. Il celibato sarà opzionale, per coloro che volessero
viverlo come carisma o come risultato di cammini particolari, restando vincolato
in modo speciale con le diverse forme di comunità religiose. Quasi tutti i
"cacciatori di omosessuali" che conosco sono omosessuali che non
ammettono la loro identità sessuale e umana, scaricando il proprio risentimento
contro altri compagni più sfortunati o più onesti. Gesù non si comportò così.
Il Vangelo lo presenta come amico dei pubblicani e delle prostitute, uomo che è
capace di citare come esempio gli "eunuchi" biologici o sessuali,
uomini e donne con difficoltà in questo campo (Mt 19,12). Lo stesso Vangelo lo
presenta come "guaritore" dell’amante omosessuale del Centurione di
Cafarnao (Mt 8,5-13: non è certo necessario ricordare che a quel tempo gli
accampamenti erano luoghi di abituale omosessualità, perché i legionari non si
sposavano prima di congedarsi, già col grado di maggiore!).
Con un certo rossore voglio aggiungere che sono eterosessuale: questa è una
delle poche cose chiare della mia vita! Non mi vergogno né mi sento orgoglioso
per questo. Ho alcuni valori, se fossi omosessuale ne avrei altri. Non mi è
costato troppo essere quello che sono, sebbene nella mia vita in seminario e
dopo (quanto è normale in questi casi!) ho dovuto superare alcune
"tentazioni" di compagni e colleghi che, per lo più, nel complesso,
si sono comportati con me in modo splendido. Per questo ringrazio Dio e, in modo
speciale l’istituzione ecclesiale, che mi ha accolto come persona. Ad ogni
modo, ora, leggendo giorno dopo giorno i problemi che presenta certa stampa
(evidentemente con una certa ragione!) mi piacerebbe che la Chiesa istituzionale
si trasformasse in sequela della verità e del Vangelo. Nel frattempo termino,
come ho iniziato, ringraziando i tanti omosessuali cristiani e preti per il loro
difficile compito, molte volte disprezzato, al servizio del Vangelo.
da ADISTA del 11.1.2003