DOC-1240. MILANO-ADISTA. Uno storico che, a proposito del discusso
atteggiamento di Pio XII sullo sterminio nazista degli ebrei,
"Avvenire" situerebbe fra quelli che "non contribuiscono
all'esatta comprensione dei fenomeni storici" (v. notizia precedente), è
evidentemente Marco Aurelio Rivelli, di cui è da poco uscito, per i tipi
della Kaos Edizioni, il volume ""Dio è con noi!" - La Chiesa di
Pio XII complice del nazifascismo". Il libro documenta non solo i
"silenzi" di papa Pacelli sulla Shoah, ma anche il sostegno, anzi il
contributo dato da Pio XII - prima come nunzio apostolico a Berlino, poi come
segretario di Stato - all'ascesa e al successo del partito di Hitler. E, ormai
papa, non gli vanno addebitati solo i "silenzi", ma anche, nel
dopo-guerra, la sottrazione alla giustizia dei vari gerarchi nazisti che il
Vaticano aiutò a fuggire in Sudamerica attraverso quella che fu definita
"la via dei topi".
Di seguito riportiamo parte della "Premessa" del libro e un'intervista
a Rivelli, che fra le sue opere annovera "L'arcivescovo del genocidio.
Monsignor Stepinac, il Vaticano e la dittatura ustascia in Croazia,
1941-1945", Kaos Edizioni (v. Adista n. 28/1999).
DA ""DIO È CON
NOI!" - LA CHIESA DI PIO XII COMPLICE DEL NAZIFASCISMO"
di Marco Aurelio Rivelli
Premessa
(...) Precluso dalla Santa
Sede l'accesso agli archivi vaticani, l'operato di Pio XII e il ruolo della
Chiesa di Roma durante gli anni del nazifascismo sono rimasti affidati alle
valutazioni di numerose e contrastanti pubblicazioni. Alcune di esse hanno
evidenziato come la chiara condanna papale del nazismo fosse stata pronunciata
solo nel maggio 1945, cioè quando il Terzo Reich era ormai vinto: solo allora
Pio XII condannò in modo esplicito la barbarie hitleriana, denunciandone la
dottrina "dalle applicazioni devastatrici e inesorabili".
Gli estimatori di Pio XII hanno tentato di liquidare la questione ricorrendo a
varie argomentazioni. Anzitutto, sostenendo che il Vaticano aveva scarsa
conoscenza di quanto accadeva nei lager tedeschi e nei territori occupati dalle
armate hitleriane, e che dunque papa Pacelli fosse ignaro delle reali dimensioni
della barbarie nazista. Ma gli stessi Adss (Atti e documenti della Santa
Sede relativi alla Seconda guerra mondiale, ndr) hanno confermato la totale
infondatezza di questa argomentazione. Il Vaticano sapeva tutto.
Come è poi emerso dagli archivi del servizio segreto militare americano (Oss),
e dagli stessi documenti raccolti negli Adss, Pio XII - al pari dei
leader delle potenze Alleate - era perfettamente a conoscenza delle modalità e
delle dimensioni degli stermini hitleriani. Tanto più che personalità del
mondo ebraico, di quello serbo-ortodosso e esponenti del clero cattolico nei
Paesi occupati dai nazisti, avevano rivolto al Vaticano, negli anni, continue e
drammatiche suppliche perché il pontefice levasse la voce della Chiesa di Roma
contro gli aguzzini.
Alcuni agiografi hanno affermato che papa Pacelli condannò apertamente e
pubblicamente il nazismo, e a sostegno della loro tesi hanno citato in
particolare il messaggio papale diffuso dalla Radio Vaticana in occasione del
Natale 1942. Proprio quell'episodio testimonia di come Pio XII fosse a
conoscenza della situazione; ma nel merito, il radiomessaggio papale del Natale
1942 fu così generico, elusivo e permeato di ambiguità che lo stesso Benito
Mussolini lo definì "un discorso di luoghi comuni, che potrebbe essere
fatto anche dal parroco di Predappio".
Altra argomentazione accampata in difesa di Pio XII, l'azione umanitaria svolta
dal Vaticano per sottrarre molte vittime alla persecuzione hitleriana. Secondo
questa tesi, l'azione misericordiosa della Santa Sede guidata da papa Pacelli
avrebbe salvato decine di migliaia di vittime predestinate. Effettivamente
parecchi religiosi, negli anni fra il 1941 e il 1945, si prodigarono per aiutare
e salvare i perseguitati: in numerosi conventi nascosero e protessero molte
vittime predestinate; e fra le stesse mura vaticane trovarono rifugio oppositori
del nazifascismo. Ma si trattò di episodicità umanitarie contingenti, perlopiù
dovute a autonome iniziative di singoli, avulse da una qualche strategia
vaticana; tanto è vero che altri esponenti del clero si comportarono in maniera
opposta, ma non vennero mai colpiti da alcuna sanzione da parte della Curia
romana.
Altri biografi di Pio XII hanno sostenuto che "i silenzi" del Vaticano
furono un prudente tatticismo di papa Pacelli per non esporre i cattolici
tedeschi e la stessa Chiesa alle rappresaglie hitleriane: realpolitik,
volta a evitare il peggio, dovuta alla formazione più diplomatica che pastorale
di Pio XII. Una tesi, questa, che ha accomunato critici e estimatori del
controverso pontefice, ma che un'ampia documentazione storica ha contraddetto.
Infatti, il papa-diplomatico non fu mai né prudente né silente, né mosso
dalle cautele della realpolitik verso il "comunismo ateo" da
lui ritenuto - a differenza del nazifascismo - un pericolo letale per la Chiesa.
Nel 1936, da segretario di Stato, incurante di prudenze tattiche e dei
contraccolpi sulla Chiesa locale, Pacelli si spinse a plaudire e sostenere la
insurrezione golpista del generale Francisco Franco in Spagna contro la
legittima Repubblica democraticamente voluta dagli spagnoli, alimentando una
guerra civile costata un milione di morti (molti dei quali cattolici). E da
pontefice era poi arrivato a colpire con la scomunica tutti i cattolici italiani
che "liberamente e consapevolmente" avessero aderito e sostenuto il
comunismo, un anatema che Pio XII non aveva mai rivolto né al cattolico Hitler
né a Benito Mussolini.
Secondo lo storico Carlo Falconi, malgrado le dettagliate notizie che
costantemente riceveva (in primo luogo dal clero cattolico), Pio XII non si erse
mai contro il nazismo, neppure durante l'Olocausto. E i suoi silenzi si estesero
a tutti gli scritti, i discorsi e i documenti papali:
"Questo genocidio organizzato e scientifico, circondato da ignominie di
ogni genere e cresciuto a proporzioni gigantesche, che ha fatto impallidire
tutte le barbarie del passato, non ha avuto alcuna eco, se non frammentaria e
generica, nei documenti pontifici. Non un solo documento si è occupato
esplicitamente ed esclusivamente di esso, e tutti i rarissimi e limitatissimi
cenni non solo sono stati fatti con sommarie allusioni, ma, anziché impennare
il linguaggio in un fiero sdegno, sono stati coperti da uno stile uniforme e
freddamente giuridico... Si cercherebbe invano, fra le centinaia di pagine di
allocuzioni, messaggi e scritti di Pio XII, il marchio di fuoco destinato a
bollare per sempre ignominie così raccapriccianti".
Ma quello dei "silenzi" di papa Pacelli di fronte alla barbarie
nazista non è il merito del problema, bensì la logica conseguenza. Il merito
della questione è che, da segretario di Stato, il cardinale Pacelli fornì un
contributo decisivo all'avvento di Hitler al potere, e da pontefice fu silente
complice politico del nazifascismo che insanguinò l'Europa. La conferma di
questo è nei documenti degli archivi vaticani che la Santa Sede continua
infatti a mantenere segreti (l'espediente è patetico, poiché quanto è stato
storiograficamente accertato ed è oggi noto lo attesta già con sufficiente
chiarezza).
L'atteggiamento pacelliano nei riguardi del nazifascismo - indulgente fino alla
connivenza - affondava le radici nella indole e nella formazione di Pio XII. Un
pontefice più capo di Stato che pastore, radicalmente ostile al liberalismo,
alla democrazia, alla "modernità", e intenzionato a preservare -
perpetuandolo - il potere temporale e il primato della Chiesa cattolica su
società e istituzioni statuali. Un papa dalle forti propensioni antigiudaiche,
fiero avversatore del "dèmone comunista" e ossessionato dallo spettro
di una minaccia ebraico-bolscevica capace di distruggere la cristianità. Un
papa pronto a subordinare gli imperativi morali e spirituali della religione al
pragmatismo e ai tatticismi della politica, pur di salvaguardare gli interessi
della Chiesa. Un capo di Stato-sovrano pontefice risoluto a sostenere tutti i
possibili baluardi contro il comunismo e le "libertà moderne",
nazifascismo compreso.
IL FEZ SOTTO LA MITRA.
INTERVISTA A MARCO AURELIO RIVELLI
La "Premessa"
del suo ultimo libro su Pio XII termina con l'annuncio del "contributo
decisivo" di papa Pacelli all'avvento di Hitler al potere. È una
"promessa" che lei mantiene con il lettore nella prima parte del
libro. Può ripercorrerla brevemente per i nostri lettori?
La mia ricerca parte
da quando Pacelli viene mandato in Germania nel 1917 a fare il nunzio
apostolico, cioè l'ambasciatore vaticano. Si trova lì quando l'impero tedesco
viene travolto ed egli relaziona pressoché quotidianamente in modo pignolo e
dettagliato (in qualità di nunzio descriveva le più minute cose) al Vaticano.
Quello che emerge da questi rapporti (che intanto testimoniano di una prassi che
riversava in Vaticano una enorme quantità di informazioni, a smentita di quanti
affermano che Pio XII non sapeva) è il suo antisemitismo conclamato che emerge
in ogni sua relazione. Per esempio: parlando dei bolscevichi che sono andati al
potere in Baviera per pochi giorni (gli "spartachisti"), oltre a
definirli "comunisti", e lo si comprende, li chiama anche
"ebrei", ed è una costante. Ha il terrore del bolscevismo, che
identifica senza mezzi termini nell'ebraismo. Ogni volta che parla dei
bolscevichi aggiunge "ebrei", "ebrei"… Questo
atteggiamento, palese nelle sue relazioni, non muterà neanche quando diventerà
papa. Non è che di colpo vorrà bene agli ebrei. Naturalmente, neanche a dirlo,
non è che lui abbia mai vagheggiato lo sterminio. Forse lo ha un po'
sottovalutato, ma anche ciò è difficile da inquadrare, perché sappiamo che i
nunzii inviavano relazioni dettagliate, durante la guerra, che riportavano tutto
ciò che stava accadendo. E non solo i nunzii. Per esempio, il primate della
Polonia nelle sue relazioni descrive dettagliatamente gli avvenimenti; oppure
l'arcivescovo di Berlino arriva ad affermare che i cattolici tedeschi sono
esasperati, non credono più nella Santa Sede perché permette che accada la
tragedia della Shoah!
Tutto questo ancora
riguarda i "silenzi" che vengono rimproverati a Pio XII. Ma quali
fatti corroborano la tesi che l'hanno spinta a definire la Chiesa di papa
Pacelli "complice" del nazifascismo?
Da nunzio
apostolico, Pacelli assiste all'espansione, a partire dal 1922, del partito
nazista. Il nunzio praticamente l'appoggia in funzione antibolscevica, facendo sì
che il sostegno del Zentrum - il partito che raccoglie il voto dei
cattolici, guidato da un monsignore, mons. Kaas, e con molti sacerdoti ai
posti-chiave - non venga meno al partito nazista. Nel 1929, Pio XI chiama
Pacelli a Roma, lo nomina cardinale e lo fa segretario di Stato. Pacelli diventa
dunque capo della diplomazia vaticana. Lascia il Zentrum nelle mani del
fidato Kaas. 1930: il partito di Hitler si rafforza sempre più.
Democraticamente alle elezioni ottiene il 18,3%. Sarà via via un crescendo. I
vescovi, che in un primo tempo avevano avversato il partito nazista,
incominciano ad appoggiarlo. Qui c'è la mano di Kaas, c'è la mano di Pacelli
che ordina anche al clero di appoggiare il partito nazista. Nel 1931 il partito
del Zentrum si avvicina politicamente e ufficialmente al partito nazista
fino a votare insieme ad esso nel Parlamento. Nel 1932 Hitler, diventato
Cancelliere, raggiunge il 37% dei consensi. Ha l'appoggio anche del nunzio
apostolico a Berlino, mons. Orsenigo. Il 27 febbraio del '33 il Reichstag,
il Parlamento tedesco, viene dato alle fiamme. Hitler ne approfitta per
scatenare una feroce persecuzione contro tutti gli oppositori. Un mese dopo, il
23 marzo, il Zentrum vota - e il suo voto fu determinante - i pieni
poteri al Cancelliere. Da quel momento Hitler non deve più rendere conto a
nessuno, non ha bisogno del Parlamento, viene in un certo senso
"proclamato" dittatore. Il 28 marzo, l'episcopato tedesco, riunito a
Fulda, passa da quello che inizialmente era stato un atteggiamento contrario al
nazismo e diventato poi un atteggiamento 'attendista', al plauso convinto. Il 17
aprile del '33 vengono promulgate le prime leggi razziali, che vietano agli
ebrei il lavoro in qualsiasi impiego statale. Il 2 maggio Hitler mette fuori
legge tutte le organizzazioni sindacali. Il 6 maggio Kaas viene convocato a Roma
da Pacelli e fra l'altro fa da mediatore fra Vaticano e partito nazista per il
Concordato, che viene firmato nel luglio del '33. Il giorno dopo Kaas si dimette
dal Zentrum, scioglie il partito e lo fa confluire nel partito nazista.
Kaas rimarrà a Roma per sempre, non tornerà più in Germania e farà parte
dello staff vaticano, con Pacelli allora segretario di Stato e poi pontefice.
Nel contempo Hitler dichiara illegali tutti i partiti.
Nel '39 Pacelli diventa
papa. Cominciano i "silenzi"? Lei documenta anche questo nel suo
libro?
Nella seconda parte
del libro affronto l'atteggiamento della Chiesa cattolica, e di riflesso di Pio
XII, in tutti i vari Paesi occupati dalle forze naziste: in Austria, in Francia,
in Slovacchia, dove il dittatore è un monsignore che verrà impiccato dagli
americani quando lo cattureranno…
Un monsignore?!
Sì, ed era uno che perseguitava gli ebrei in tutti i modi.
Il Vaticano non è mai intervenuto su questo personaggio?
Non solo non è intervenuto, ma dirò di più: nel 1953, l'Enciclopedia
cattolica, parlando di questo monsignore e dittatore, lo addita come un martire.
Fu invece una figura davvero inquietante.
Torniamo alle Chiese dei Paesi sotto occupazione nazista…
Dicevo che nel libro documento l'atteggiamento delle Chiese in tutti i vari
Paesi occupati dalle forze tedesche: risulta che i vescovi del luogo mandavano a
Roma relazioni e suppliche, chiedendo che il Vaticano si interessasse della
tragica situazione che si stava vivendo. Un'ultima parte del mio lavoro riguarda
il dopoguerra: nel periodo tra la fine degli anni '40 e l'inizio degli anni '50,
si registra il fenomeno della cosiddetta "via dei topi", ovvero la
fuga in America Latina o verso altri Paesi - facilitata dal Vaticano - dei
nazisti e degli ustascia messi così "al riparo" dalla giustizia e da
eventuali rappresaglie. E c'è anche la questione dell'oro degli ebrei che era
stato portato in Vaticano…