Sviluppo? Sostenibile?

Alex Zanotelli

(da Nigrizia agosto 2002)

 

Dice Wolfgang Sachs nel "Dizionario dello Sviluppo" da lui curato (Edizioni Gruppo Abele, 1998), che gli ultimi cinquant'anni possono essere definiti l'era dello sviluppo; ma questa sta per finire. È tempo di scriverne il necrologio.

 

Lo sviluppo, ideologia di fondo dell’ultimo mezzo secolo, è chiaramente economico – è la "crescita" – e deve essere radicalmente rimesso in discussione perché si è realizzato a spese di tantissima gente. Questo sviluppo può avere un futuro? Può essere reso "sostenibile"? O è una contraddizione in termini?
Questa è la grande domanda.
Se lo sviluppo ha portato in cinquant’anni a un tale macello – gli scienziati ci ricordano che in questo periodo l’umanità attuale, cioè i ricchi, il 20%, ha saccheggiato più di quanto abbia fatto l’intera umanità in un milione, un milione e mezzo di anni – allora non c’è futuro! Nemmeno per uno sviluppo "sostenibile".

Lester Brown, che firma Lo stato del pianeta del World-watch Institute, da un pezzo ci ripete che ci rimangono dai sessanta ai cinquant’anni di tempo per cambiare rotta.
In Africa, dove sono vissuto negli ultimi quattordici anni, a Korogocho, ho visto quello che significa questo sistema per i poveri; una delle cose che mi fa più impressione è che questo sviluppo è essenzialmente occidentale. E cito di nuovo Sachs quando dice che fin dall’origine il programma occulto dello sviluppo non era altro che l’occidentalizzazione del mondo – è la tesi anche di Serge Latouche –, occidentalizzazione che è puro materialismo. È un’imposizione di schemi, di mentalità… di una mercificazione a livello mondiale, che porta a questa occidentalizzazione, quella che chiamiamo la globalizzazione.

Una delle cose che mi fa più male è vedere come in Africa, la culla dell’umanità, venga fatto un massacro di culture, di esperienze religiose. Lì tocchi con mano a che cosa porta lo sviluppo.
L’Africa costituisce il polmone antropologico del mondo. Noi stiamo lottando per fermare l’abbattimento delle foreste in Brasile perché l’Amazzonia ci dà il 18% dell’ossigeno del mondo. È una battaglia gravissima. Ma nessuno ha ancora lanciato un vero grido d’allarme per la distruzione antropologica, religiosa, che sta avvenendo in Africa attraverso il cosiddetto sviluppo.

Non solo. L’ideologia dello sviluppo è oggi più che mai legata alla militarizzazione. Dopo l’11 settembre il complesso industrial-militare statunitense e mondiale sta rilanciando l’economia del cosiddetto sviluppo con un processo di militarizzazione spaventosa. È confermato che gli Stati Uniti quest’anno spenderanno 500 miliardi di dollari in armi; l’Europa, 250. Stiamo arrivando, a livello mondiale, alle stesse spese dei tempi della guerra fredda. Invece che in vita si investe in morte: per concedere al 20% del mondo di andare avanti a vivere come viviamo. Non posso accettare una tale opzione.

Il mio appello è per un cambiamento radicale di mentalità. Per una rivoluzione culturale, anche religiosa, che parta dal basso, che prenda coscienza della gravità del momento che viviamo, che tolga credibilità a questo sistema… Il sistema ha paura soprattutto di questo.
Il mio appello va alla società civile di questo paese, e di tutti i paesi. Cominci a fare un salto di qualità, dev’essere davvero una rivoluzione morale profonda, antropologica – Balducci parlava dell’uomo planetario che deve nascere.
Questa società civile deve diventare il soggetto politico, con la "p" maiuscola (i partiti non ce la fanno più, sono talmente legati al carrozzone del grande capitale che non ci si può aspettare gran cosa), facendo nascere dal basso qualcosa di nuovo. Questa società civile dovrebbe adottare come manifesto uno studio come Italia capace di futuro (Emi, 2000).
È una maniera di riproporre la critica radicale a questo sistema economico, partendo dal basso.

Abbiamo cinquant’anni di tempo: o ce la facciamo, o sarà troppo tardi. Non c’è nessuno sviluppo oggi che sia sostenibile. Come diceva a chiarissime lettere Michel Camdessus a Manila, alla sua ultima conferenza da direttore generale dell’Fmi: la torta economica del mondo non si può più aumentare… non si può.
Possiamo solo cominciare ad imparare a dividercela un po’ più equamente. Ne va dell’ecosistema