Ho
avuto modo di leggere il vostro articolo del 22 febbraio 2003 che riporta i
pareri del senatore Riccardo Pedrizzi e p. Robert Gahl sulla questione
"transessuali e Chiesa". Nell'impossibilità di rispondere
direttamente a loro chiedo alla vostra agenzia di stampa la possibilità di
replica con alcune precisazioni. Nessuno metterebbe mai in dubbio la libertà da
parte di soggetti privati di dotarsi di qualsiasi regola interna (purché
lecita). Saremmo anche noi d'accordo con il Senatore se non fosse che la realtà
di "libera Chiesa in libero Stato" è oggi pura utopia.
La verità è che la Chiesa Cattolica vìola costantemente moltissime direttive
europee riguardanti l'uguaglianza di trattamento tra uomini e donne, il
riconoscimento delle coppie omosessuali, il riconoscimento legale del cambio di
sesso, ma contemporaneamente vuole a tutti i costi mettere la propria
"firma" nella carta costituzionale europea in via di scrittura.
La Chiesa vuole essere libera ma non vuole libero né lo Stato (italiano), né
la Comunità Europea. Non mi pare il caso di ricordare dettagliatamente
l'impegno politico che la Chiesa ha messo in vicende riguardanti lo stato
italiano su tematiche antiche e recenti quali: aborto, divorzio, coppie di
fatto, educazione e scuole cattoliche.
E se si "interviene" a volte anche pesantemente nella politica
nazionale e comunitaria, non si può poi invocare al proprio interno libertà di
azione senza accogliere le critiche altrui. Ma la pratica democratica non è
certamente prassi nello Stato Vaticano, (nè delle antiche origini del partito
del Senatore) una delle poche monarchie assolute che governano uno stato.
Ma al di là di considerazioni di carattere generale, è proprio nello specifico
dell'argomento che le tesi del senatore e del rappresentante dell'Opus Dei sono
contestabili.
Il senatore si lamenta del fatto che la Chiesa dovrebbe avere libertà di
decidere chi è idoneo a fare il prete o la suora (ovviamente in base a criteri
svincolati dal resto della comunità civile che prescrive tutta una serie di
obblighi di pari opportunità). Ma la libertà senza verità è un'altra cosa:
è arbitrio. E non vi è verità né nel documento delle Congregazioni vaticane,
né nelle spiegazioni del senatore, con l'avallo del sacerdote.
Il punto è che in realtà la nota della Congregazione non si è limitata ad
escludere dal sacerdozio le persone transessuali: le ha letteralmente espulse
dalla vita della Chiesa e l'ha fatto con motivazioni ammantate di una
pseudoscientificità davvero superficiale e facilmente smentibile a qualsiasi
livello.
Come già le Associazioni Transessuali italiane hanno avuto modo di spiegare, la
transizione sessuale non è la malattia ma la cura.
Il "Disturbo dell'Identità di Genere" è presente nelle persone
transessuali prima di percorrere la propria transizione sessuale.
Eliminata la causa del disturbo, il disturbo non c'è più! È quindi un falso
dichiarare che le persone ex transessuali (ovvero operate e rettificate
anagraficamente) sono di per sé "disturbate". Anzi la legge italiana
richiede che per concedere l'autorizzazione agli interventi chirurgici che
daranno luogo alla rettificazione sessuale, la persona non soffra di alcuna
patologia psichiatrica significativa.
Di fatto le persone transessuali sono gli unici cittadini a detenere una
(obbligatoria) "patente" di sanità mentale.
Se poco ci riguarda chi la Chiesa decide di fare propri sacerdoti, diverso è il
caso del matrimonio, anch'esso negato tout court alle persone transessuali. La
Chiesa, prima di voler scrivere pezzi della Costituzione europea dovrebbe fare
proprie le direttive europee che in fatto di transessualismo impongono a tutti
gli Stati membri di prevedere la possibilità del cambio di genere sessuale.
Infine p. Gahl dichiara che "l'identità profonda dell'uomo e della
donna", non cambia perché "attaccare un organo al nostro corpo o
toglierne uno che c'è, per dirla brutalmente, non cambia la nostra identità".
A parte la delicatezza dell'osservazione siamo perfettamente d'accordo. La
fissazione del Vaticano verso gli organi genitali (ed il loro uso) ha qualcosa
che suona davvero come pesantemente ossessivo. È vero infatti che non è
quell'intervento che cambia l'identità di una persona. È vero perché
l'identità di una persona transessuale è di gran lunga precedente a
quell'intervento. Essa non sta tra le gambe ma nel cervello. P. Gahl e la Chiesa
Cattolica nel suo insieme, prima di spiegare le proprie scelte con motivazioni
"scientifiche", dovrebbero aggiornarsi.
Sembra infatti ormai appurato che la presenza di un certo dimorfismo sessuale
cerebrale - ormai dimostrato - tra uomini e donne, si confermi anche per le
persone transessuali. Lo studio - pubblicato su "Nature" già nel 1997
- dimostra infatti che alcune parti del cervello delle persone trans
corrispondono per funzionalità e dimensioni a quelle del sesso di arrivo e non
a quello di nascita.
A questo punto cosa risponderebbe p. Gahl? Dove sta l'identità di una persona,
p. Gahl, tra le gambe o nel cervello? E se il nostro cervello è femminile (o
maschile per i transessuali da donna a uomo) perché la Chiesa vuole negare
l'ov-vio? Ovvero che è giusto adeguare il corpo al cervello, alla mente...
Se nasciamo e cresciamo con una sorta di "strabismo" di genere
sessuale perché non correggerlo? O per la Chiesa uno strabico è tale anche
dopo che il "difetto" è stato corretto? Sbaglieremo, non saremo buone
cristiane ma abbiamo sempre pensato che l'anima profonda di una persona, la sua
intima identità risieda più vicina al cervello che all'inguine e che è là
che dovrebbe guardare la Chiesa per capire il mondo e gli esseri umani.
Mirella Izzo
presidente Crisalide AzioneTrans, onlus - Genova
da ADISTA del 8.3.2003