DOC-1409. ROMA-ADISTA. La lettura attenta della bozza del nuovo
Statuto dell'Azione Cattolica "suscita in noi alcune perplessità",
legate al fatto che nel testo presentato "compaiono modifiche statutarie
collegate a scelte che vanno ben al di là della ristrutturazione organizzativa
dell'associazione, toccando da vicino il tema dell'identità e del ruolo che
essa potrà assumere nel futuro della Chiesa e del Paese". Con queste
motivazioni, un gruppo di iscritti all'Azione Cattolica, molti dei quali ex
dirigenti diocesani e nazionali dell'associazione, alcuni giorni prima
dell'Assemblea Nazionale Straordinaria del 12-14 settembre scorso (v. notizie
sul numero blu allegato) hanno inviato una lettera aperta alla Presidenza
Nazionale, al Consiglio Nazionale ed ai Presidenti Diocesani dell'Ac nel
tentativo di aprire un dibattito su alcune scelte di fondo cui, a loro parere, i
laici di Azione Cattolica dovrebbe essere chiamati e che non sono invece
contenute nel nuovo testo statutario.
Le riflessioni raccolte nella lettera spaziano su molti temi. Anzitutto, la
necessità di ribadire il valore originario della "scelta religiosa"
compiuta dall'Ac trent'anni fa come impegno responsabile e autonomo di cristiani
laici nella società italiana (la presidente dell'Ac Paola Bignardi nella
sua relazione ha invece piuttosto messo l'accento sulla dimensione missionaria
della scelta religiosa, esaltandone dunque l'ecclesialità); poi, il pericolo
che si estenda nella gerarchia ecclesiastica un'idea di
"pianificazione" dall'alto, piuttosto che di
"coordinamento", dell'impegno dei laici cattolici nella Chiesa, che
trasformi l'Ac unicamente in un bacino di manovalanza per realizzare progetti
decisi negli uffici delle Curie e sui quali non si ha più alcuna capacità di
interlocuzione. Chi ha sottoscritto la lettera ritiene inoltre che, una volta
avallata l'impronta fortemente "federalista" contenuta nel nuovo
Statuto, l'associazione, frammentata nei suoi particolarismi, possa divenire
"assai meno rilevante sul piano nazionale, a fronte della già debole voce
del laicato italiano". Infine, sostengono i firmatari, non giova alla
ricchezza del dibattito interno ed alla pluralità delle voci un certo
verticismo che "l'enfasi attribuita ai ruoli di presidente" contenuta
nello Statuto porta con sé.
Pubblichiamo qui di seguito il testo integrale della lettera, accompagnato
dall'intervista ad una delle sue promotrici, Daniela Storani, della
diocesi di Jesi, vicepresidente nazionale dell'Ac per il settore giovani dal '95
al '98, tutt'ora iscritta all'associazione.
MA È UNO STATUTO CHE CI RENDE ESECUTORI DEL VESCOVO
Alla Presidenza Nazionale dell'Azione Cattolica
Italiana
Al Consiglio Nazionale dell'Azione Cattolica Italiana
Ai Presidenti Diocesani
Carissimi,
in vista dell'ormai prossima assemblea nazionale straordinaria, accomunati
dall'aver sperimentato la bellezza e la fatica del fare associazione ai diversi
livelli di responsabilità, desideriamo condividere con tutti voi alcune
considerazioni riguardanti la fase di rinnovamento che sta interessando la
nostra associazione e, più in generale, il contesto ecclesiale e culturale in
cui viviamo.
Da anni ed in particolare dalla X e XI assemblea, condividiamo la speranza di
un'AC rinnovata nella sua capacità di testimonianza e di servizio alla vita
della Chiesa e del Paese e in noi è ben chiara questa necessità per il bene e
il futuro dell'associazione.
Ciò nonostante la lettura attenta della bozza di statuto che sarà sottoposta
per l'approvazione all'assemblea nazionale suscita in noi alcune perplessità.
Infatti, accanto a significativi passaggi che segnano l'opportuno adeguamento
dello statuto all'esperienza maturata dall'AC nel periodo post-conciliare,
compaiono modifiche statutarie collegate a scelte che vanno ben al di là della
ristrutturazione organizzativa dell'associazione, toccando da vicino il tema
dell'identità e del ruolo che essa potrà assumere nel futuro della Chiesa e
del Paese.
Per questo desideriamo condividere con tutti, ma soprattutto con gli organismi
nazionali, il Consiglio e la Presidenza, il contenuto delle nostre riflessioni
per contribuire in maniera costruttiva al delicato passaggio associativo. Siamo,
infatti, convinti che l'AC del futuro possa trovare solide radici solo in un
autentico e libero confronto, oltre che in una sapiente e vigile lettura dei
tempi in cui è chiamata ad essere strumento vivo per la costruzione della
Chiesa e testimone profetica del vangelo di Cristo.
A questo proposito possiamo osservare che:
A) sul piano socio-culturale e civile, la secolarizzazione in atto, la
perdita di punti di riferimento politici certi per il mondo cattolico,
l'indebolimento della cultura democratica con la relativa crisi della
partecipazione dei laici alla vita sociale e civile nel nostro Paese, il venir
meno di una certa tensione culturale sono solo alcuni dei processi in atto nel
nostro Paese; processi con i quali l'AC deve sapersi misurare, costituendosi
come luogo e strumento privilegiato di formazione e discernimento e come
palestra di partecipazione democratica.
Se trent'anni fa la scelta religiosa costituiva una chiara presa di posizione di
fronte ad un contesto diverso ma altrettanto problematico, l'attualità del
nostro Paese presenta tutti i presupposti e le condizioni perché essa continui
ad essere la scelta fondamentale e distintiva dell'Ac. Per questo chiediamo che
l'assemblea nazionale ribadisca esplicitamente e con lo stesso coraggio
quell'opzione tra le scelte che caratterizzano il rinnovamento associativo
affinché la via della mediazione culturale, tanto necessaria oggi quanto poco
conosciuta e percorsa, sia riscoperta e riproposta ai cristiani di questo tempo.
B) sul piano ecclesiale, se da una parte pare quanto mai evidente la
crisi di progettualità in cui versa la pastorale, pure a fronte della ribadita
urgenza di un processo di "nuova evangelizzazione", dall'altra
sorprende - al di là dei validi pronunciamenti - l'assenza di analisi concrete
e realistiche su questo problema, così come la tendenza a favorire un
"ordine" interno che tutto riporti al controllo e alla gestione
intraecclesiale, più che allo slancio missionario e alla responsabilizzazione
dei laici.
Lo si desume principalmente dal moltiplicarsi, in questi ultimi anni, degli
uffici e dei servizi diocesani da cui nasce una pastorale degli ambiti per lo più
frammentata, rispondente all'idea della "pianificazione" più che a
quella del "coordinamento", cui ha fatto da sfondo la scarsa
promozione del laicato (e del laicato associato) come ministero complementare e
corresponsabile per l'unità della Chiesa e per una evangelizzazione
significativa e nuova del mondo.
In questo contesto, se appare un segnale positivo e di stimolo la rinnovata
attenzione con cui i Vescovi guardano all'Azione Cattolica, viene da chiedersi
se il disegno associativo che emerge dalla bozza del nuovo statuto
1. Sia più funzionale al superamento delle attuali difficoltà
attraverso un rilancio della pastorale in termini di progettualità condivisa e
di comunione profetica tra pastori e laici,
2. o se sia piuttosto una risposta contingente, strumentale alla
avvertita necessità di una risorsa organizzata e capillare, che riplasmata
attraverso una discutibile interpretazione dei valori dell'unità, della
diocesanità, della collaborazione con i pastori è in grado più di altre di
prestarsi a divenire "bacino recettivo" e strumento di attuazione di
piani pastorali, piuttosto che interlocutore privilegiato in quanto dotato di
originalità e autonomia sul piano dell'elaborazione e della mediazione
culturale.
Il rinnovamento statutario che stiamo discutendo rischia di andare proprio in
questa seconda direzione; in tal senso i punti che ci preoccupano sono i
seguenti:
a) la forte autonomia attribuita alle associazioni diocesane, che
potranno auto-regolamentarsi - attraverso atti normativi con forza di statuto -
rispetto all'associazione nazionale. Si delinea una Aci assai meno rilevante sul
piano nazionale, a fronte della già debole voce del laicato italiano, che non
potrà essere certo compensata dalle flebili manifestazioni in ambito diocesano.
Il rischio di una frantumazione e di una irrilevanza dell'associazionismo
laicale è quanto mai evidente, ed ancor più grave in un paese come l'Italia,
indebolito nelle sue istituzioni ed in bilico tra prospettiva europea ed egoismi
localistici;
b) la forza con cui la proposta di statuto pone l'associazione diocesana
a servizio del piano pastorale della Diocesi senza ribadirne la funzione
propositiva e di collaborazione corresponsabile che finora le derivava anche dal
partecipare alla costruzione di un' Aci nazionale organicamente intesa (ben
diversa da una semplice 'federazione' di associazioni locali) e che ha fatto
della diocesanità un punto cardine del suo servizio, ma che non si è
appiattita su di essa proprio per servirla meglio;
c) l'indebolirsi della dinamica democratica interna all'Aci,
con la trasformazione degli incarichi di responsabilità, considerati in
termine di "funzione" più che di rappresentanza,
con l'enfasi attribuita ai ruoli di "presidente" che sganciano
questa figura dalla collegialità tipica della sana tradizione associativa;
con la perdita di importanza del consiglio nazionale e diocesano;
.il ridimensionamento della funzione dei settori, specie
nell'organizzazione del centro nazionale.
d) tale indebolimento rischia di ridurre ulteriormente gli spazi di
autonomia e responsabilità laicale - peraltro sanciti dal Concilio (AA.n.20) -
che costituiscono una ricchezza nella dinamica della vita della Chiesa (e non
certo una contrapposizione alla gerarchia);
e) la norma di rinvio all'art. 40 in cui si dice: "per quanto non
contemplato nel presente statuto si applicano le norme canoniche e civili in
materia di associazioni". Il rimando al Codice di Diritto Canonico, oltre a
ad aprire la porta a difficoltà interpretative per la sovrapposizione con il
rimando al Diritto Civile, trasformerebbe di fatto l'Aci da associazione
unicamente civilistica (cioè sottoposta alle norme del Codice Civile) in
"associazione di fedeli" sottoposta alle normative del Codice di
Diritto Canonico, e questo in sostanziale rottura con l'intera storia
associativa pregnata di autonomia laicale.
Proprio in questo tempo di 'nuova evangelizzazione' riteniamo importante che l'Ac
continui ad essere fattore di accelerazione ecclesiale e civile, sviluppando
quella sensibilità che già in passato ha dato tanti buoni frutti: mantenere il
legame di contemporaneità con la storia in cui vive, manifestando capacità di
ascolto e testimonianza, proprio in virtù del saper laicalmente interpretare e
'rimasticare' domande di senso, ricerca, inquietudine, aspirazioni delle persone
di oggi e quell'anelito della Chiesa a farsi strumento nella storia per
l'annuncio del vangelo.
Tutto ciò non è altro dalla fedeltà all'identità associativa e
all'ispirazione conciliare, vale a dire fedeltà a quella Tradizione che
sospinge e non frena il futuro di rinnovamento, memoria che sa ancora
farsi profezia senza snaturare ciò che siamo e che, per scelta vogliamo
essere, come persone, come soci, come Ac. Senza snaturarci e senza divenire,
anche involontariamente, altro da ciò per cui abbiamo liberamente aderito,
profuso impegno, dedizione e coraggiosa ricerca.
Il rischio che vediamo è, dunque, in sintesi, quello di un rinnovamento
"debole", in quanto, nei fatti, tentato da un'idea di Chiesa ripiegata
su se stessa e centrata sul clero, e di conseguenza esposto al rischio di
appiattire il ruolo di un'associazione che della laicità credente, autonoma,
affiancata ad una fedeltà adulta, ha fatto il significato ultimo del suo
"essere per esserci", dove la vita si snoda e pone interrogativi, che
una Chiesa conciliare non può che accogliere e fare suoi.
Alla luce di quanto sopra, consapevoli dello sforzo e dell'impegno che ha
caratterizzato il lavoro della Presidenza e del Consiglio Nazionale, Vi
chiediamo di tener conto delle nostre riflessioni nel preparare e portare a buon
fine la prossima assemblea straordinaria, ma soprattutto nel guidare
l'associazione verso il futuro.
Con l'augurio che cresca in noi tutti il desiderio di essere sempre più una
cosa sola con Colui che solo è capace di rinnovare i cuori e di far nuove tutte
le cose.
Daniela Storani (già vicepresidente nazionale per il SG)
Vittorio Rapetti (già consigliere nazionale unitario)
Ugo Giberti (già consigliere nazionale per il SA)
Roberta Russo (già collaboratrice del Centro Nazionale)
Vito Pongolini (già segretario e consigliere naz. ACR)
Berardino Guarino (già vicepresidente naz. per il SG)
Giovanni Puggioni (già segretario e consigliere naz. SA)
Stella Morra (già consigliere nazionale SA)
Rosario Iaccarino (già collaboratore centrale SG)
Giovanni Colombo (già vice presidente diocesano per il SG)
Angelo Bertani (già presidente nazionale MEIC)
Paola Tessarolo (già vicepresidente nazionale per il SA)
Marco Raengo (già segretario e consigliere naz. SG)
Vito Epifania (già segretario nazionale MSAC)
Franca Satta Marchi (già consigliere nazionale)
Pinella Vignola (già consigliere nazionale)
Lucio Turra (già vice adulti diocesano)
Giancarlo Grano (già delegato regionale)
Marco Peisino (già vicepresidente diocesano SA)
Massimo Liffredo (già collaboratore del CN per il SG)
Ignazio Guggino (già consigliere nazionale SG)
Riccarda Zanin (già incaricata naz. per i giovanissimi)
Luano Fattorini (già presidente diocesano)
Roberto Pini (già presidente diocesano)
Caterina Pozzato (già vicepresidente diocesana adulti)
Beppe Bordello (già responsabile diocesano SG)
Cristina Bordello (già responsabile diocesano SG)
Giovanni Faraboli (già incaricato naz. GA)
Roma Battini (già segr. naz. ACR e resp. Naz Uf. Rapporti)
Carlo Barolo (già collaboratore centrale SA)
Maria Paola Longo (già collaboratore centrale SA)
Luciano Vietti (già presidente diocesano)
Paola Moreschini (già consigliere nazionale per il SG)
Franco Porcelli (vicepresidente diocesano per il SA)
Maria Calvi (vicepresidente diocesano per il SA)
Luisa Orsi (responsabile diocesano ACR)
Domenico Raimondi (responsabile diocesano ACR)
Cinzia Tonin (resposabile diocesano ACR)
Luigi Dentis (consigliere diocesano per il SG)
Ivo Bavutti (consigliere diocesano SA)
Rosa Sforza (resp. parrocchiale adulti)
Donato Ladisa (socio)
Cristina Bianco (socia)
Anna Paoletti (presidente diocesano)
Luigi Guidotti (vicepresidente diocesano per il SA)
Enzo Picardi (responsabile diocesano ACR)
Roberto Leoni (socio)
Anna Biagini (consigliere diocesana SA)
Alessandro Sola (incaricato diocesano A/G)
Sandra Sola (socia)
Paolo Garuti (presidente parrocchiale)
Lolli Claudio (socio)
Gaiani Lucia (socia)
Maria Ausilia Mancini (già segretaria diocesana)
Paolina Valeriano (già vicepresidente diocesana per il SA)
RIPENSIAMO IL
RUOLO DEI LAICI PIÙ CHE LO STATUTO
Intervista a Daniela Storani, promotrice della lettera all'Ac
In assemblea non si è discusso della vostra
lettera...
No, però so che molti ne conoscevano l'esistenza, e mi hanno riferito di alcuni
interventi che riprendevano in qualche modo le idee in essa contenute. D'altra
parte il fine della lettera era quello di contribuire al dibattito e alla
riflessione pre-assembleare esprimendo il richiamo ad alcuni principi o valori
generali, non quello di discuterne in assemblea che è il luogo delle decisioni.
Inizialmente, c'era stata l'idea di indirizzarla direttamente ai delegati per
portarli a conoscenza di un punto di vista maturato da un certo numero di
persone che nel tempo e in diverso modo avevano vissuto l'esperienza della
responsabilità associativa in Ac. Ma, poi, ci siamo resi conto del rischio di
essere fraintesi e di poter richiamare, seppure lontanamente e senza alcun
possibile riferimento o paragone concreto, un gesto accaduto nell'assemblea
dell''86 (quando alcuni delegati critici sulla linea del presidente uscirono
dalla sala e distribuirono uno stampato che conteneva le loro obiezioni), un
gesto che poteva rimanere lì come qualcosa che disturba, lacera e non porta
frutto. Non era il nostro obiettivo: volevamo far maturare nelle diocesi e in
chi era chiamato a votare una coscienza maggiore rispetto alle varie
problematiche contenute nel testo dello Statuto che stavano per approvare. Per
questo, la scelta della fase pre-assembleare.
In ogni caso, anche gli interventi critici fatti in Assemblea si sono
concentrati su pochi articoli…
Non avendo partecipato ai lavori assembleari non ho ascoltato direttamente
questi interventi. Tuttavia, anche nella lettera, oltre a richiamare
l'attenzione sul rischio concreto di arrivare ad abbassare la guardia su alcune
scelte fondamentali dell'Ac, si esprimeva preoccupazione solo per alcuni punti
più critici dello Statuto: una maggiore autonomia data al livello diocesano,
l'emergere di un ruolo più esecutivo che corresponsabile dell'Ac
nell'individuazione delle linee pastorali diocesane, l'indebolimento della
dinamica democratica in certi organismi, il rinvio al Codice di Diritto
Canonico. Punti che più di altri ci sembra possano mettere in crisi quella
autonomia laicale che l'Associazione ha attinto direttamente dal Concilio.
Concentrarsi solo su alcuni aspetti per noi significava scegliere di essere
costruttivi e di partecipare ad un processo comune. Ciò non toglie che, a mio
parere, ci siano altri aspetti "deboli".
Cos'è che non ti convince?
Dello Statuto, in particolare, non condivido l'impostazione, lo stile. Ma questo
può derivare dalla mia formazione giuridica che mi porta a trovare quel testo
ridondante, appesantito com'è da indicazioni organizzative più connaturali ad
un regolamento e da altre che avrei inserito in un bel progetto formativo.
Tuttavia, quello Statuto è stato prodotto con il contributo di tutti e votato
dall'associazione, quindi ritengo che sia il miglior testo possibile in questo
momento. Il fatto è che non basta rinnovare lo Statuto per rinnovare
l'associazione. Oggi abbiamo un nuovo strumento, importante quanto si voglia e
che ha richiesto un impiego di energie notevolissimo, ma non abbiamo una nuova
Ac. Voglio dire che quello di cui si avvertiva di più la necessità e
l'urgenza, dal mio punto di vista, era il mettere mano ad una nuova prassi
formativa, all'elaborazione di nuove idee che potessero sostenere il difficile
districarsi della vita laicale nel contesto odierno, così come un rinnovato e
più chiaro rapporto con la pastorale. Un'esigenza cui l'Ac aveva iniziato a
rispondere nello scorso triennio, ad esempio con le sperimentazioni che hanno
portato delle associazioni diocesane, come ad esempio la mia, a riacquistare
vitalità e significatività offrendo percorsi formativi nuovi, pensati sulle
esigenze dei laici cristiani. Tuttavia, questo percorso è stato in parte
interrotto dalla "vicenda statutaria". Ed oggi molti si chiedono,
senza trovare grandi risposte, che cosa è cambiato concretamente nella vita
delle nostre parrocchie e che cosa potrà cambiare.
Perché, allora, ci si è concentrati sullo Statuto?
Secondo me, ci sono state una serie di circostanze: da una parte il fatto di
leggere la crisi di questi anni come conseguenza della eccessiva pesantezza e
burocratizzazione della struttura associativa. Il percepire certi percorsi
decisionali o democratici come poco adatti alla velocità con cui occorre spesso
operare. Su questo si è concentrata molto l'attenzione della presidenza. Si è
pensato perciò che la strada privilegiata per rinnovarla fosse quella di
alleggerirla, renderla più flessibile, apportando dei ritocchi allo Statuto. E
in effetti si trattava di un'esigenza condivisa. Da tempo infatti si parlava di
rinnovare l'organizzazione senza arrivare a individuare delle proposte concrete.
È per questo che già nel triennio scorso si era messo mano allo Statuto del
'69 per correggerne gli aspetti organizzativi mantenendo ferma l'impostazione e
la coerenza generale. Tuttavia, gran parte delle proposte di modifica, non
furono approvate dai delegati della scorsa Assemblea, perciò si ricorse ad una
mozione che in cui si dava mandato al Consiglio nazionale di stilare una nuova
proposta di Statuto. Insomma, da quello che doveva essere un ritocco si è
passati nella sostanza ad un nuovo testo. Innescato questo processo, non è
stato possibile fermarlo. Sinceramente mi chiedo se quella mozione fosse proprio
necessaria…
Forse si è voluto rendere l'associazione più flessibile alla gerarchia?
No, io credo che questo processo sia nato da buone intenzioni, come quella di
dotare l'associazione di nuovi strumenti. Ciò non toglie che ci possono essere
state spinte o volontà diverse. Per esempio, il fatto che sia avvenuto in un
tempo particolare, in un contesto ecclesiale in cui, come si dice anche nella
lettera, si sente la fatica di promuovere il laicato come ministero
complementare e corresponsabile è inevitabile lo possa aver esposto ad un certo
tipo di "strette". Questo lo si è avvertito anche alla base, ad
esempio con certi richiami dei vescovi alla prudenza, o alla "fedeltà",
quando in discussione non sono le verità di fede ma solo certe dinamiche
pastorali di cui dovremmo farci carico. Ma con ciò non credo di parlare di un
fatto nuovo almeno per chi conosce la storia associativa e, più in generale, la
storia del laicato associato in Italia. È su questo che credo ci sia la
necessità di vigilare chiedendo anche i nostri vescovi ad un dialogo franco e
continuo.
E a livello nazionale?
Credo che ciò che ho detto possa valere per tutta l'Ac che per sua natura vive
ed opera in rapporto diretto con la gerarchia. La bellezza e la fatica della
collaborazione con gli assistenti e con i vescovi è proporzionale all'impegno
che si mette nel fare Ac e al livello di responsabilità a cui si opera. È
ovvio che a livello nazionale, con la presenza degli assistenti e la vicinanza
alla Cei, certi "controlli" si avvertono di più è più direttamente.
Ad esempio, in questi anni si è avvertita una certa prevenzione a lasciare che
si affrontassero autonomamente tematiche vicine alla politica, seppure intese in
senso formativo e seppure si trattasse di un compito proprio dell'Ac.
Quali articoli del nuovo testo trovi più negativi?
Quelli che abbiamo richiamato nella lettera. Il 40 anzitutto, che apre la porta
ad un eventuale riconoscimento dell'Ac come un'associazione pubblica di fedeli e
potrebbe essere fonte di equivoci giuridici e di conseguenza sostanziali
attraverso il contemporaneo richiamo al diritto civile; la particolare
attenzione che si rivolge al presidente con un articolo dedicato che prima non
c'era. Conferisce un maggiore verticismo all'associazione. Inoltre, l'articolo
che riconosce alle diocesi la possibilità di dotarsi di un "atto
normativo". Lo si poteva indicare come "regolamento" privandolo
di un'ambiguità del termine che potrebbe portare a leggere la pur necessaria
autonomia del livello diocesano come indebolimento del livello nazionale. Se poi
lo si lega al fatto che si pone l'associazione diocesana a servizio diretto del
piano pastorale, il più delle volte elaborato senza il suo contributo, ne
emerge un'associazione che rischia di essere schiacciata sul particolare. In
questa fase storica mi sembra una scelta non proprio adeguata, in una società,
tra l'altro, che sta progressivamente perdendo la capacità di avere un
approccio globale, e non particolaristico, dei problemi del nostro tempo. A
fronte di tutto ciò va comunque detto che il Consiglio Nazionale del 31 agosto
ha preso in considerazione e recepito questo tipo di osservazioni, attenuando la
portata o migliorando il testo di alcuni di questi articoli o di altri come ad
esempio, quello sulla programmazione. L'articolo che, inizialmente, legava la
programmazione associativa alla pastorale diocesana è stato rivisto nel senso
di una maggiore autonomia dell'Ac in questo campo. Personalmente non avrei
inserito un articolo del genere in uno Statuto, perché mi sembra ovvio che se
un'associazione si prefigge di fare delle cose, debba per forza programmarle,
tuttavia il testo approvato è buono.
Resta il fatto che molti delegati hanno preferito non esprimere i loro dubbi
e votare a favore dei singoli articoli e poi anche il testo nella sua interezza.
Altri si sono esposti maggiormente, ma con interventi dai toni assai generici.
Perché il livello del dibattito dentro l'Ac si è così appiattito?
Non ho assistito ai lavori dell'Assemblea, quindi non so dare una valutazione
della qualità di quel dibattito. In generale, posso dire che possono aver
influito varie cause. Prima tra tutti la volontà di arrivare alla fine di
questo processo di approvazione dello Statuto per poi fare altro. Siamo calati
di numero, siamo inglobati nelle pastorali diocesane, per lo più in questi anni
ci siamo trovati davanti vescovi che non ci consideravano o che ci mettevano
sullo stesso piano dei movimenti, quando non li preferivano. Molti quindi
considerano che qualsiasi strada che possa portare ad un cambiamento dello stato
attuale e ad un rilancio dell'associazione, vale la pena di essere percorsa.
Bisogna poi considerare che l'Ac in questi anni si è molto rinnovata nei propri
iscritti. Io ho visto che durante l'Assemblea straordinaria c'erano molti
delegati giovani. E i giovani, questo è anche colpa nostra, la storia la
conoscono poco, non hanno vissuto certi travagli e a volte sono meno reattivi.
D'altra parte l'Ac non è scissa dal proprio tempo. Se ci guardiamo intorno ci
si accorge immediatamente di un abbassamento del livello culturale e critico su
tanti aspetti della vita del Paese. Ad esempio, sulle dinamiche democratiche, o
sulla difesa dei valori costituzionali. Ma questo è un dato dei nostri tempi e
se da una parte bisogna anche dare la possibilità alle nuove generazioni di
scegliere e di fare le proprie esperienze, di arrivare da sola a certe
convinzioni. Dall'altra, chi come me, è cresciuto in un certo humus ha
il dovere di continuare a richiamare l'attenzione su certe cose
ADISTA N°68 - 27.9.2003