DOC-1553. GENOVA-ADISTA.
Qualche tempo fa, Adista pubblicava l'indignato e sentito appello che don
Dino D'Aloia, sacerdote di Foggia, rivolgeva ai cappellani militari
dell'esercito italiano: "strappatevi le stellette", scriveva don Dino
"o fate carta straccia del Vangelo" (n. 61/04).
A stretto giro di posta, anche don Paolo Farinella, sacerdote e
biblista genovese, ci ha fatto pervenire il suo contributo in merito allo stesso
tema. Il testo, che qui riproduciamo in versione integrale, torna in maniera
circostanziata e alquanto documentata sulla questione già sollevata da D'Aloia,
relativa all'inconciliabilità fra messaggio evangelico e vita militare.
Inconciliabilità tanto più evidente nel caso di una guerra ingiusta e
costruita sulle menzogne come quella che gli Usa e i loro alleati stanno
portando avanti in Iraq oramai da un anno e mezzo. A chi, come il frate
francescano Mariano Asunis, operativo in Iraq al seguito delle truppe
italiane là dislocate, parla dei diciannove ragazzi della Brigata Sassari morti
a Nassiriya come di eroi morti per difendere la patria, don Paolo risponde
facendo valere, contro ogni delirio militarista, la logica del buon senso e lo
spirito del Vangelo: "questi poveri soldati di venturetta, se cristiani,
avevano un solo dovere: disobbedire e dichiararsi obiettori di coscienza".
(I titoletti interni sono redazionali)
Adista sul numero 61/2004
(Anno XXXVIII, n. 5790, Doc. n. 32477, p. 8) pubblica l'appello di don Dino D'Aloia,
giovane sacerdote di San Severo di Foggia, dal titolo "Strappatevi le
stellette, o fate carta straccia del Vangelo. Un sacerdote scrive ai cappellani
militari". Nel ringraziare don Dino per le forti parole che dice,
comunicando un profondo afflato civile ed evangelico, vorrei proseguire la sua
riflessione, prendendo lo spunto da una intervista scioccante di Maurizio
Pagliasotti al cappellano militare della Brigata Sassari, fra' Mariano Asunis,
operativo a Nassiriya e pubblicata sulla rivista "Missioni Consolata"
(Anno 106, n. 3/2004, p. 62), dal titolo "Comandi, don Mariano!".
L'intervista è collocata all'interno di uno splendido articolo (pp. 59-65) di
Renato Sacco sui cappellani militari sul fronte della guerra in Iraq, dal titolo
significativo "Quelle pesantissime stellette". A rigore di verità, il
p. Mariano Asunis ha inviato una lettera di contestazione alla rivista che la
pubblica nel n. 6/2004, p. 6, con una precisazione del direttore. In questa
precisazione, il cappellano fa alcune puntualizzazioni (ho detto… non ho
detto), ma non nega la sostanza dell'intervista, anzi, in un certo senso,
l'aggrava quando si riferisce ai "concetti esasperati di pacifismo".
Conosco Maurizio Pagliasotti e conosco il personale della rivista "Missioni
Consolata": della loro onestà e professionalità mi fido senza
tentennamenti. Non conosco il frate cappellano p. Mariano Asunis, per cui ho
cercato conferme in un'altra intervista non contestata del 7 gennaio 2004 al
settimanale "Toscana Oggi" dove esprime gli stessi pensieri e le
stesse valutazioni (cfr. http://www.toscanaoggi.it/a_notiziabase_foglia.asp?IDCategoria=210&IDNotizia=2866),
dimostrando così la propria recidività di cappellano militare.
Nel leggere le sue parole, dure e nette senza sentimenti di misericordia, ma con
giudizi senza appello, non si può non rimanere sgomenti. Bisogna rispondere,
con garbo, ma con fermezza, anche per non confondersi con una mentalità che
potrebbe apparire lineare e condivisa, se nessuno la contesta. Ho atteso sei
mesi per una qualsiasi reazione del mondo cattolico, ho letto anche la rivista
dell'Ordinariato militare ("Il Cursore") in Italia alla ricerca di una
smentita ufficiale dello stesso Ordinario o una presa di distanza di qualche
collega cappellano militare… ho atteso invano, per cui voglio rispondere. Non
rappresento alcuno, solo me stesso e la mia coscienza. Non ho nulla da spartire
con le idee e i pensieri del cappellano militare capo della Brigata Sassari e
dei cappellani militari in generale, compreso il loro vescovo, Angelo Bagnasco
della diocesi di Genova, che amano girovagare con stelle e stellette militari,
anche quando celebrano l'Eucaristia.
Da frate Lupo a frate Mitra
L'articolo "Comandi, Don Mariano!" riporta sentimenti intrisi di
vetero patriottismo di maniera, espressi da un prete, che è frate, che è
francescano e cappellano militare. Una carriera folgorante! Dal saio di
Francesco alla tuta mimetica! Dal dialogo fraterno con "frate lupo"
alla benedizione delle armi contro "il nemico" (sic!):
[Sottolinature mie] "Noi siamo qui - afferma il militare frate - per
difendere la pace e non per offendere…; la pace va difesa anche con le armi in
pugno come stanno facendo questi soldati…; ci sono stati dei morti che hanno
versato il sangue per la patria… noi italiani non siamo una forza di
occupazione… noi siamo operatori di pace… ho un senso di nausea quando vedo
certe manifestazioni [in favore della pace, ndr.]… ecco, quello [Gino
Strada, ndr.] non lo posso proprio sopportare, da lui non prenderei
nemmeno una medicina… voleva tenere in piedi Saddam che era un killer, un
dittatore spietato e quindi ne era complice!".
La logica del militare cappellano, si sa, non fa una grinza!
"Difendere la pace con le armi in pugno" è affermazione blasfema in
bocca ad un religioso, anche perché è l'eco del pensiero che Berlusconi
formalizzò per l'Italia al seguito della Bush's Theory, sintetizzata
nell'assunto che la democrazia si può e si deve esportare anche con le armi
(cfr intervista a Frank Bruni sul New York Times del 3 dicembre 2003,
ripresa anche il 5 dicembre). È il fondamento ideologico della guerra
preventiva o di aggressione.
Di fronte allo sgomento suscitato dalle parole del cappellano militare, mentre
ero ancora intontito nella logica e nell'anima, ho fatto una breve ricerca su
Internet per trovare qualcosa che smentisse la mia angoscia e mi riportasse al
centro della ragione e al cuore della fede: anche nei fautori della guerra di
supremazia non ho trovato parole così dure e così qualunquiste come quelle del
religioso. Suppongo che i cappellani militari a forza di vivere tra militari e
al loro modo e nel loro contesto, arrivino ad assumerne la mens e la ratio
fino a smarrire il senso del discernimento spirituale per appiattirsi sul
pensiero del capo del governo che li paga. Il militare cappellano usa un
vocabolario guerriero ed esprime un atteggiamento fondamentalista che non è
inferiore a quello dei fanatici islamici che egli definisce suoi
"nemici". Come un attore si immedesima nella parte fino ad
identificarsi con il ruolo che recita:
[Sottolineature mie] "Noi - dichiara a "Toscana Oggi" - dobbiamo
portare a termine il mandato ricevuto. Certamente con un po' più di paura
[siamo dopo l'uccisione dei diciannove carabinieri italiani] ma anche con più
attenzione. Siamo sicuri che il Signore ci assisterà anche se non può
paralizzare la mano del nemico: c'è il libero arbitrio… il cappellano è
vestito come loro [cioè come i soldati, ndr]…".
Cappellani contro il Vangelo e il papa
Parole come "mandato ricevuto" e "nemico" sono colpi di
kalashnikov sulla bocca di un prete in missione di pace. San Francesco corse dal
Saladino in piena guerra crociata passando tra gli eserciti avversari disarmato
e a mani nude: lo stupore suscitato fu così grande che il Saladino concesse a
lui la custodia dei luoghi santi, mentre i crociati che avrebbero dovuto
difenderli furono sconfitti. Da chi riceve il "mandato" il cappellano
militare? Non dal vangelo di Gv 13, 34-35: "Vi do un comandamento nuovo:
che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi
gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete
amore gli uni per gli altri". Non dal vangelo di Mt 5,43-46: "Avete
inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi
dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate
figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e
sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se
amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i
pubblicani?" (cfr Lc 6,27.35). Si potrebbe continuare a citare vangeli
all'infinito, ma si fa prima a regalarne una copia a tutti i cappellani militari
che forse ne sono sprovvisti.
Sarebbe interessante conoscere il pensiero dei militari cappellani sulla
dichiarazione del portavoce del papa, Joaquin Navarro Valls, riportata da tutta
la stampa internazionale il giorno 19.03.03: "Chi decide che sono esauriti
tutti i mezzi pacifici che il Diritto Internazionale mette a disposizione si
assume una grave responsabilità di fronte a Dio, alla sua coscienza e alla
storia". Il giornale "La Stampa" dello stesso giorno commenta:
"È la risposta della Santa Sede, che fino all'ultimo ha chiesto che si
desse fondo ai mezzi pacifici per risolvere la crisi irachena, all'ultimatum
della Casa Bianca". Lo stesso giornale riporta la dichiarazione del
direttore della Radio Vaticana, padre Pasquale Borgomeo, che si fa interprete
del pressing senza precedenti cui è stata sottoposta la diplomazia
vaticana per avallare la guerra di Bush, Blair e Berlusconi:
"È sotto gli occhi di tutti quanto sia lontana l'Onu da un avallo
dell'intervento militare in Iraq. Ma sembra degno di seria considerazione anche
il fenomeno di una schiacciante maggioranza di cittadini contrari alla guerra
proprio nei Paesi i cui governi si apprestano a condurla o ad appoggiarla".
Evitino perciò di attribuirsi [i capi di governo che hanno deciso la guerra]
una missione salvifica e non pretendano di agire in nostro nome. E soprattutto
non nel Santo Nome di Dio"
Padre Borgomeo, che non parla mai a titolo personale, esprime concetti
diametralmente opposti a quelli dei cappellani militari. Il papa aveva usato le
stesse parole in molteplici occasioni, pubbliche e private, arrivando a definire
"bestemmie" le ragioni addotte per giustificare la guerra come scontro
apocalittico tra bene e male (cfr Enzo Bianchi, monaco di Bose, "Guerra e
pace: non nel nome di Dio", in "La Stampa" del 28 marzo 2003). È
lecito domandare, in questa circostanza, da che parte stanno i cappellani
militari? Dalla parte del papa o dalla parte di Bush-Berlusconi, di cui sembrano
gli esegeti ufficiali? Le parole e il modo convinto espressi nell'intervista,
pongono il problema più ampio della presenza di ministri in mezzo ai militari e
del modo di starci.
"Divise" dal Diritto canonico
Tutto il personale religioso che svolge un servizio nelle strutture militari
entra a fare parte dell'organico delle forze armate e in quanto militare ognuno
presta giuramento di fedeltà allo Stato, di cui è funzionario. Solo in quanto
funzionari sono anche ministri religiosi: ricevono, infatti, uno stipendio manu
militari come dipendenti del Ministero della Difesa. Dal vescovo all'ultimo
cappellano, ciascuno secondo il proprio ruolo, tutti sono insigniti di gradi
militari, le cui insegne e mostrine possono indossare sugli abiti ecclesiastici
(talare e clergyman): uomini della Parola e del Sacramento che si
autoreferenziano come personale militare, rendendo impuri i simboli stessi del
sacrificio sacerdotale, perché le stellette sono il segno di appartenenza ad un
mondo, ad una logica e ad una "struttura di peccato" che si nutre e si
alimenta di violenza, di sangue e di micidiali armi pensate apposta per
uccidere, un mondo satanico per cui Gesù non ha pregato (Gv 17,9).
Nella stessa intervista a "Toscana Oggi", in un afflato emotivo di
esuberanza viscerale, il cappellano-capo, p. Mariano, afferma di "vestire
come loro", cioè di essere un militare e lo dice espressamente: "sono
un militare" (sic!). Quando ero giovane, per un prete era disdicevole
frequentare cinema, teatro e sedi sindacali, oggi si può essere preti-militari
senza nemmeno arrossire! Forse è tollerabile che un prete possa assolvere il
suo ministero anche tra i soldati, vestendo la stola del perdono e della
misericordia, ma gloriarsi di vestire la divisa militare rasenta l'ignominia e
il capovolgimento di ogni etica.
È una contraddizione palese, nonostante la funzione dei cappellani militari sia
regolata da leggi civili ed ecclesiastiche speciali, come stabilisce il can. 568
del Cjc (Legibus specialibus)! Il can. 289 §1 del Cjc obbliga il clero a
non prestare servizio militare perché "non si addice allo stato
clericale" e invita non solo i chierici, ma anche "i candidati agli
Ordini sacri" a non prestare il servizio militare volontario. In altre
parole, il Codice proibisce di indossare la divisa militare che è simbolo di un
certo stile di vita o di un modello che lo stesso Diritto positivo della Chiesa
definisce non consono/non si addice (minus congruat). Don Lorenzo Milani,
accusato di apologia di reato per avere difeso l'obiezione di coscienza contro
un gruppo di cappellani militari che l'avevano definita "viltà estranea al
sentimento cristiano dell'amore", nella sua autodifesa in tribunale, così
commentava il disposto del Codice: "La Chiesa considera dunque a dir poco
indecorosa per un sacerdote l'attività militare presa nel suo complesso. Con le
sue ombre e le sue luci. Quella che lo Stato onora con medaglie e
monumenti" (cfr "Lettera ai giudici" del 18 ottobre 1965). Il
cappellano intervistato se ne rende conto e, infatti, dichiara:
"Preferisco non parlarne del grado militare. Ce l'ho perché sono militare.
Ma io non ragiono col grado. Nella mimetica ho una Croce: quello è il mio
grado. Quando un contingente parte ci deve essere l'alta professionalità dei
militari, ma non si può mai trascurare un particolare essenziale per la
riuscita della missione stessa, soprattutto quando si è lontani dalle famiglie:
non si può tralasciare l'aspetto della fede in Dio".
L'alta professionalità militare non è forse la professionalità alta di
uccidere? A cosa servono le sempre più sofisticate armi di cui sono
equipaggiati? La fede in Dio non esige che i militari cristiani facciano in
blocco obiezione di coscienza, in nome del comandamento dell'amore che ogni
battezzato deve testimoniare ovunque si trovi, anche e specialmente di fronte a
coloro che il mondo militare e il cappellano definiscono "nemici"? Il
cappellano porta il segno del Crocifisso sulla "mimetica" e immagino
che spesso benedica a colpi di Crocifisso i suoi soldati che vanno in missione
di alta professionalità contro gli iracheni, anche se sono bande di sbandati e
terroristi, pronti ad ogni evenienza anche ad ammazzare. Si suppone che anche
"i nemici" che si trovano dall'altra parte facciano lo stesso: gente
che non vuole stranieri e intrusi nel proprio Paese con i loro segni e i loro
simboli religiosi, con i loro preti che benedicono, aizzano fraudolentemente al
sacrifico stesso della vita, senza rispetto di Dio e della vita umana. Tutti
invocano Dio per ritornare sani e salvi, per cui se deve morire qualcuno, è
giusto che il Signore faccia morire quelli dell'altra parte.
Rapimenti, uccisioni degradanti (perché esposti sull'agorà mediatica) non sono
forse il frutto cattivo di una guerra che si è sviluppata come un albero
malvagio ramificando ovunque? I profeti dell'esportazione della democrazia a
qualunque costo e della lotta al terrorismo in una sola direzione e con la
doppia morale, non solo hanno sbagliato valutazione perché fondata sulla
menzogna consapevole, ma hanno anche imboccato una via senza ritorno, se non al
prezzo di un inutile mattatoio di sangue innocente, complici i cappellani
militari che quel sangue vedono scorrere in silenzio, continuando a benedire
uomini, armi e infine la stessa guerra. Il vangelo però non demorde:
"Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma
dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse
uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni
e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre
frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni" (Mt 7,15-18).
I frutti della guerra sono davanti agli occhi di tutti: "i perfidi operano
con perfidia. Terrore, fossa e laccio ti sovrastano, o abitante della terra. Chi
fugge al grido di terrore cadrà nella fossa, chi risale dalla fossa sarà preso
nel laccio" (Is 24,16-18; cfr Ger 20,4). Sarei curioso di conoscere le
preghiere dei cappellani militari, quando benedicono la professionalità alta
dei soldati che vanno in battaglia.
Povero Dio! Chi deve ascoltare? Chi è andato in una terra straniera a imporre
la democrazia anche con le armi in pugno o chi a quell'imposizione si oppone con
ogni mezzo, anche ignobile, vigliacco e immorale? Con ogni probabilità, Dio in
queste cose proprio non sta e ha abbandonato l'umanità nell'inferno della
pazzia dei suoi governanti, secondo il proverbio latino: "Coloro che vuole
perdere, Dio li fa impazzire". L'umanità intera è nelle mani di
governanti pazzi perché solo i pazzi come Bush, Blair e Berlusconi potevano
pensare che la guerra potesse essere una soluzione. Al manicomio bisogna
aggiungere Kwasniewski presidente polacco che, per una manciata di dollari
americani, lui post-comunista antiamericano, ha gettato il suo Paese nella
fornace della guerra.
Da che parte sta Dio?
Siamo anche nelle mani dei militari cappellani che dovrebbero essere segno
di contraddizione vivente, stimolando la coscienza critica dei soldati e invece
diventano essi stessi militari schierati nella parte occupante, con
l'impossibilità di pregare il Padre "nostro" perché da quel
"nostro" escludono tutti gli altri che non sono italiani, polacchi,
americani o inglesi.
Dopo Abu Ghraib e Guantánamo, è lecito dubitare: i cappellani militari
americani non potevano non sapere di quanto stesse succedendo nella prigione
delle torture simbolo dell'abiezione prima con Saddam Hussein e poi con gli
esportatori di democrazia. Se sapevano sono complici, se non sapevano sono
superflui e quindi inutili perché vuol dire che il "sistema" li usa
come coreografia. Fino ad oggi non ho letto ancora una presa di posizione dei
cappellani militari contro la tortura.
Il 14 luglio 2004 nei cantieri di Riva Trigoso, provincia di La Spezia, il
cardinale Tarcisio Bertone, alla presenza delle massime autorità civili e
militari, benediceva (?) la nuova portaerei Cavour, pensata e costruita per
distruggere abitazioni civili, uomini, donne e bambini senza discriminazione.
Molte furono le voci di protesta che si levarono dentro e fuori la Chiesa.
Questa nave, vera macchina di guerra e di morte, è stata definita un gioiello e
orgoglio della marina italiana (lunghezza m 242, larghezza m 39, velocità 28
nodi, autonomia di 7.000 miglia [può raggiungere senza scalo il Golfo Persico
con il 50% del combustibile imbarcato], pieno carico di 27.100 tn [ può
caricare 8 Aerei Av-8B Harrier e caccia Joint fighter o 12 elicotteri più 100
veicoli leggeri e 24 carri armati Ariete da 60 tn ciascuno] ed ha un equipaggio
di 1.210 persone. Questo gioiello costruito per la guerra ha un costo di 900
milioni di euro [esclusi i sistemi missilistici ed elettronici con i quali
supera forse i 1.500 milioni di euro] e può operare in ambiente contaminato da
agenti nucleari, batteriologici o chimici. Entro il 2008 verranno costruite
dieci fregate al costo di 350 milioni l'una per un totale di 3.500 milioni di
euro). Con queste cifre da capogiro, buttate letteralmente in mare, si potevano
o non si potevano eliminare le cause strutturali del terrorismo, promovendo
progetti di sviluppo, cultura, musei, scuole, università, ospedali, lavoro e
sconfiggendo la miseria che è l'anima della disperazione che porta al
terrorismo? Che ne pensano i cappellani militari?
La tradizione della Chiesa dei primi secoli proibiva ai cristiani alcune
professioni e non dava il battesimo se non dopo il loro abbandono in quanto
giudicate non coerenti con la nuova vita; esse, infatti, potevano indurre gli
altri, specialmente i semplici e i pagani, in confusioni pericolose. La
Tradizione apostolica, scritto patristico intorno al 215, attribuito al prete
romano Ippolito, al n. 16 riporta un lungo elenco di mestieri inadatti alla
condizione di cristiani, come militari e macellai (per la consuetudine col
sangue), attori (per l'utilizzo di maschere mitologiche e quindi di idoli) e
commercianti (la gente comune pensava che fossero ladri per natura).
Queste proibizioni salvaguardavano la vera immagine del Crocifisso che è la
coerenza della pace nella verità dei credenti, come insegna un anonimo scritto
del I-II sec d.C.: "i cristiani... abitano nella propria patria, ma come
pellegrini; partecipano alla vita pubblica come cittadini, ma da tutto sono
distaccati come stranieri... Obbediscono alle leggi vigenti, ma con la loro vita
superano le leggi... Così eccelso è il posto loro assegnato da Dio, e non è
lecito disertarlo!" [Lettera a Diogneto, 5, 5. 10; 6, 10]. Equipaggiato di
tuta mimetica, il militare cappellano come può con la sua vita superare le
leggi e stare nel posto eccelso che Dio gli ha assegnato per dare testimonianza
del suo essere straniero in questa terra e per dire anche in terra di Iraq che
siamo tutti cittadini del cielo?
Può mai essere compatibile il Crocifisso con luoghi e contesti che sono
palestre di formazione alla violenza scientifica, alla crudeltà e all'uso delle
armi per uccidere? È quantomeno contraddittorio vedere il Crocifisso che impose
a Pietro di riporre la spada nel fodero per non difendersi con violenza (Mt
25,52), ricevere il saluto militare o gli "onori" (!?) militari da
soldati che impugnano armi sofisticate, pensate esclusivamente per uccidere.
Durante l'ultima guerra mondiale, da una parte c'erano l'Italia e la Germania e
dall'altra l'Inghilterra, gli Stati Uniti e la resistenza della Francia e
dell'Italia. Ogni esercito aveva i suoi cappellani militari, gli uni contro gli
altri armati. Se era lo stesso Dio per tutti, un po' cattolico e un po' più
tanto protestante, è lecito domandarsi da che parte stesse Dio. Stava con i
cattolici italiani e protestanti tedeschi contro i protestanti e qualche
cattolico inglese, americano e resistente? Come gestiva il traffico delle bombe?
Secondo il peso specifico della preghiera dell'uno o dell'altro? La Madonna per
quali figli tifava: per i fascisti o per i resistenti? Per i cattolici o per i
protestanti? Se consideriamo i 50 milioni di morti, Dio non è stato da nessuna
parte perché in quell'inferno di esclusiva fattura umana, non ci fu posto per
lui, nonostante i cappellani militari. Se invece consideriamo l'esito finale,
dobbiamo convenire che è stato contro l'Italia cattolica e fascista e la
Germania nazista e il Giappone buddista, ma a favore di due nazioni a
maggioranza protestanti, America e Inghilterra, e con i cattolici, comunisti e
socialisti che militarono nelle fila della Resistenza. Anche Dio è traditore
della "patria nostra"? I cappellani militari italiani che militavano
da patrioti nell'esercito fascista esercitavano il loro ministero anche quando
davano la comunione ai militari che obbedivano alle leggi razziali e ai
rastrellamenti della popolazione civile? In tutte le chiese si pregava lo stesso
Dio per i propri soldati cristiani contro i soldati cristiani in campo avverso:
Dio chi doveva ascoltare ed esaudire, visto che non poteva accontentarli tutti?
Ho visto documentari d'epoca con preti e frati, orgogliosi di mostrare le
stellette sulla tunica e sul saio e alcuni addirittura che sventolavano la
bandiera fascista come fosse uno stendardo processionale, senza un minimo
rigurgito di sdegno verso un regime ignobile, per giunta ateo e anticlericale.
La patria era rappresentata dai gagliardetti blasfemi del fascismo o dalla
minoranza che resisteva sulle montagne? Chi ha servito "Dio, Patria e
Famiglia": i cappellani militari fascisti o i preti che nascondevano gli
ebrei a costo della loro vita? Qualche cappellano può rispondere?
I cappellani militari nella guerra di Etiopia benedicevano i soldati italiani
che bruciavano i villaggi o usavano il gas contro la popolazione inerme: la
storiografia oggi lo ha dimostrato, documenti alla mano (telegramma n. 12409 del
27-10-1935 di Mussolini a Graziani: "autorizzo impiego gas";
telegramma n. 29-3-1936 di Mussolini a Badoglio: "rinnovo autorizzazione
impiego gas qualunque specie e su qualunque scala": cfr. don Lorenzo Milani,
"L'obbedienza non è più una virtù"). Dov'erano i cappellani e che
cosa facevano in questi frangenti? Pregavano che il fuoco non bruciasse del
tutto i poveri etiopi visto che erano già "neri" per loro conto? o
che il gas non li asfissiasse troppo? O benedicevano anche le armi all'uranio,
usato in Bosnia, lasciando segni indelebili di morte nella missione di pace
sulla pelle degli stessi poveri militari che sono morti dopo il loro rientro a
casa?
Un prete che parla di "nemici" o di "mandato ricevuto" da un
governo pagano che oggi c'è e domani anche (visto l'andazzo di
"questa" sinistra autoevirata), un prete a stipendio militare come
funzionario di governo, ha sempre torto, anche quando può avere ragione. Egli
non ha titolo per essere un educatore di giovani, militari compresi, perché
egli è, per sua scelta, corruttore di coscienze che educa all'inimicizia e
forse anche all'odio, giustificando con la sua stessa presenza in tuta mimetica
che il bene e il male sono la stessa cosa.
Carta all'aria
Solo un caso può giustificare la presenza di un cappellano non-militare:
quando si assume l'impegno di educare i soldati cristiani a disertare in massa
da ogni esercito, da ogni arma, da ogni governo che calpesta la propria
Costituzione, specialmente quando questa usa parole da leggersi come una
profezia perenne: "l'Italia ripudia la guerra". Un cappellano si
giustifica se aiuta i soldati a redigere il libello del ripudio per consegnarlo
al governo e alla coscienza del proprio popolo.
L'art. 11 della Costituzione italiana, infatti, impone:
"L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali;
consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di
sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra
le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale
scopo".
Il cappellano militare, preoccupato di benedire armi, forse non trova il tempo
di leggere e meditare queste ispirate parole della suprema Carta che fanno
l'onore e la civiltà del nostro Paese. La Carta parla al presente indicativo
(ripudia): indica, cioè un atteggiamento interiore permanente, sempre in atto,
senza distinzione di passato, presente e futuro. L'atto di ripudio è un solenne
giuramento che coinvolge tutte le generazioni, indirizzandole verso l'orizzonte
esclusivo della pacificazione e della pace. L'art. 11 parla di ripudio
"all'offesa degli altri popoli" (= contro ogni aggressione o guerra
preventiva), di "limitazioni di sovranità" (= cioè la propria) e di
"organizzazioni internazionali", nel caso specifico l'Onu, che,
invece, è stato esautorato e umiliato in nome della Bush's Theory e cioè del
diritto di sparare il primo colpo contro ogni diritto, nazionale e
internazionale. Il cappellano militare, qualsiasi militare cappellano, è
lontano dalla lettera e dallo spirito di queste nobili e ispirate parole, mentre
si adegua alla strumentalizzazione di quel Cesare a cui dovrebbe restituire il
suo soldo per tornare a vivere come "immagine e somiglianza" suprema
di quel Dio che non ha confini, né patrie, né civiltà (cfr Mt 22,21; Lc
20,25).
La dichiarazione solenne e austera dell'art. 11 della Carta fa giustizia da sola
di tutta la retorica bugiarda e stucchevole sui disgraziati eroi di Nassiriya,
utilizzati per una immensa mistificazione mediatica, complici i cappellani
militari, per strumentalizzare l'emotività della gente comune asserragliandola
attorno ad un governo in grave difficoltà di credibilità, specialmente per il
fallimento del semestre europeo di presidenza italiana, che si è dimostrata
incapace, vuota e sempre più succube dell'America fino al punto di giustificare
la guerra russa contro la Cecenia e incassando la smentita immediata di tutti i
capi di governo d'Europa. Tv e giornali di regime per giorni e giorni hanno
sviolinato agli eroi di Nassiriya, morti per la patria. Eroi di che? Eroi perché?
Eroi di quale patria? Sono stati, forse, costretti a partire? C'è anche chi
dice che pur di "andare in guerra", alcuni soldati hanno pagato
tangenti del valore di una mensilità (da 3000 a 6000 euro). Chi muore nella
sporca guerra d'Iraq non muore per la patria, ma unicamente per se stesso e per
gli interessi delle multinazionali del petrolio e per gli speculatori della
ricostruzione. Questi poveri soldati di venturetta, se cristiani, avevano un
solo dovere: disobbedire e dichiararsi obiettori di coscienza, come prescrive il
Catechismo della Chiesa cattolica al n. 2242 (cfr. anche n. 2256):
"Il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle
autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell'ordine
morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo.
Il rifiuto d'obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste
contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella
distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica.
"Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di
Dio" (Mt 22,21). "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli
uomini"(At 5,29)".
Tu non uccidere
Il papa era stato chiaro: la guerra contro l'Iraq è immorale perché fuori
da ogni diritto internazionale e illecita perché la guerra preventiva è una
guerra di attacco, non di difesa, ed è una bestemmia dichiararla in nome di Dio
(come invece fece Bush). Di fronte a questa guerra, un cristiano soldato poteva
solo obiettare e non poteva, senza colpa, dichiararsi volontario.
Sono andati volontari per guadagnare di più e forse anche per dare sfogo
all'istinto belluino di "menare le mani". Nell'uno e nell'altro caso,
in ogni caso, la loro morte è stata inutile e sproporzionata. Nessuno di quelli
che si sono schierati a favore della guerra vi hanno inviati figli o nipoti, al
contrario hanno mandato poveracci alle prese con stipendi di fame o
disoccupazione, carne da macello da buttare sul tavolo delle trattative. Da un
punto di vista morale, qual è la differenza con i capi di Hamas o dei Martiri
di Alaqsa palestinesi che mandano giovani squilibrati a fare i kamikaze
facendosi saltare insieme ad altri innocenti nel campo "nemico"? I
signori della guerra sono un virus che appesta l'umanità intera e strugge
vedere come uomini di Chiesa, che per vocazione dovrebbero essere sentinelle
vigilanti, non se ne rendano conto, ma ne diventino strumenti docili e
ingranaggi di supporto. Il 12 novembre 2003, ai funerali di stato per i
diciannove carabinieri morti a Nassiriya, è il cardinale vicario di Roma,
Camillo Ruini, che, parlando come un colonnello in battaglia, si fa voce di una
Chiesa prona davanti alle scelte del governo, senza rendersi conto (o proprio
per questo?) che il suo grido ardimentoso era una smentita ufficiale delle
posizioni del papa: "Non fuggiremo davanti a dei terroristi assassini, anzi
li fronteggeremo con tutto il coraggio, l'energia e la determinazione di cui
siamo capaci". Il governo in difficoltà, perché il 70% del Paese è
contro la guerra, finalmente prende respiro, si rafforza e ringrazia a buon
rendere. La Chiesa italiana è diventata la crocerossina del governo
guerrafondaio. Con la benedizione militare del cappellano capo che chiama questi
sventurati addirittura "martiri", svilendo così il significato non
solo semantico, ma anche morale di una parola come "martirio". Non
sono eroi né tanto meno martiri coloro che mettono a repentaglio la propria
vita non per ideali spirituali come la giustizia e la libertà o per la difesa
del proprio popolo di fronte ad una aggressione esterna (Costituzione, art. 11.;
cfr. Catechismo n. 2240), ma per interesse o per spirito militare e per
avventura, come dimostrano le scene "giocose" delle torture inflitte
ai musulmani da soldati battezzati e cresimati, in nome della superiore civiltà
occidentale. Morire per il proprio popolo è un grande onore, come testimonia il
poeta latino Orazio Dulce et decorum pro patria mori (Carm. 3,2,13), ma
morire per Berlusconi che approda in Iraq ad operazione compiuta per farsi bello
con l'americano Bush…, signori cappellani militari, avete smarrito la via
della decenza!
Oggi, a livello ufficiale (Parlamenti di Londra e Washington, sedute del
5.2.04), è provato che le armi di distruzione di massa, motivo dichiarato
dell'intervento, non sono state trovate e i responsabili di questa immensa
mistificazione cercano di spostare il tiro dicendo "che avrebbero potuto
esserci", arrivando persino a colpire le intenzioni. Tutte le ragioni di un
intervento sono crollate e ora si cercano le scuse per giustificare una guerra,
preparata almeno da due anni prima e imposta per gli interessi esclusivi della
supremazia americana: avere una centrale in MO, sfruttare gli immensi giacimenti
petroliferi, ridisegnare le zone d'influenza secondo gli interessi americani e
israeliani. Per questo sono morti quegli sventurati soldati, per questo e non
per nobili ideali.
Non scomoderò oltre il vangelo, che mi sembra troppo arduo per un militare
cappellano che condanna senza appello come "complice di Saddam Hussein"
chi si era dichiarato contrario alla guerra non solo in Iraq, ma anche in
Afghanistan e in ogni parte del mondo.
Secondo questa logica, è complice anche il papa che all'Angelus del 16.3.03 ha
dichiarato: "Di fronte alle tremende conseguenze che un'operazione militare
internazionale avrebbe per le popolazioni dell'Iraq, per l'equilibrio
dell'intera regione del Medio Oriente, nonché per gli ulteriori estremismi che
ne potrebbero derivare, dico a tutti: c'è ancora tempo per negoziare, c'è
ancora tempo per la pace. Non è mai troppo tardi per comprendersi e per
continuare a trattare".
Dov'erano i militari cappellani, quando il papa parlava con queste parole
preoccupate del futuro e della recrudescenza del terrorismo che l'intervento
armato avrebbe e ha causato? Sì, c'erano anche loro il 25.3.03 in San Pietro,
quando davanti ad un gruppo di cappellani militari, ricevuti in udienza, non
solo Giovanni Paolo II ribadisce la sua contrarietà alla guerra, ma cita
espressamente l'art. 11 della nostra Carta costituzionale e si schiera dalla
parte dei pacifisti e di Gino Strada, gli stessi che provocano nausea al
militare cappellano capo:
"Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che la guerra come strumento di
risoluzione delle contese tra gli Stati è stata ripudiata, prima ancora che
dalla Carta delle Nazioni Unite, dalla coscienza di gran parte dell'umanità,
fatta salva la liceità della difesa contro un aggressore", come dimostra,
appunto, "il vasto movimento contemporaneo a favore della pace".
A me pare che i cappellani militari, in quanto cristiani e preti, sono fuori di
questa Chiesa che oggi si riconosce totalmente e senza ambiguità nelle parole
del vecchio papa, a meno che non sia il papa a porsi fuori dell'opportunità
politica di non contraddire l'America di Bush e l'Italietta di Berlusconi. Ne
valeva la pena? Credo di no, perché, a dispetto di ogni guerra, nulla può
giustificare la perdita della credibilità evangelica e la coscienza della pace
che domina il cuore e l'anima dei credenti come anche la ragione dei non
credenti, uniti gli uni e gli altri in un'unica certezza e indomita volontà: No
War!
Nonostante i militari cappellani di ogni tempo, di ogni grado e in ogni
esercito!
ADISTA n°66 - 25.9.2004