SETTE MILIONI DI
PRIGIONIERI
Stati uniti a
stelle e sbarre
Tanti sono negli
Usa. Oltre due milioni nelle varie carceri federali, statali, distrettuali e
minorili, gli altri in libertà condizionata. Situazione insostenibile anche
economicamente
MARCO D'ERAMO
Gli Stati uniti stanno forse per risolvere il problema della
massima detenzione possibile. Il problema è il seguente: se il numero di
cittadini che commette un crimine cresce indefinitamente, quale è la soglia
oltre la quale la società non può più affrontare il costo di incarcerarli
tutti? È chiaro che se metà della popolazione adulta assume droga, non puoi
imprigionarla tutta, perché l'altra metà che sta fuori dalle sbarre non
produce abbastanza reddito da mantenere la metà che sta dentro. E anche se i
detenuti lavorassero forzatamente, i secondini sarebbero talmente tanti, e del
tutto improduttivi dal punto di vista economico, che la società nel suo
complesso andrebbe in rovina. Ora gli Stati uniti sembrano avvicinarsi alla
soglia massima. Da quando è iniziata l'era reaganiana gli Usa hanno
sperimentato una carcerarizzazione senza precedenti della società e il numero
dei detenuti si è più che quadruplicato. La popolazione carceraria
statunitense si divide in tre categorie: 1) i detenuti nei penitenziari federali
e statali (pen in gergo); 2) i reclusi nelle carceri locali (jails),
che assommano in media alla metà dei detenuti nelle prigioni statali e
federali; 3) i minorenni in riformatorio. Per ottenere il totale delle persone
sorvegliate dal sistema giudiziario, a queste tre andrebbe aggiunta una quarta
categoria: i cittadini in libertà condizionata, o su parola. E i totali fanno
paura: nel 2002 erano dietro le sbarre più di 2,2 milioni di americani e la
popolazione sotto controllo giudiziario degli Stati uniti era di quasi sette
milioni di persone.
Peggio della Russia
Mentre per quarant'anni (1930-1970) i detenuti nelle prigioni federali e statali
hanno sempre oscillato intorno ai 100 ogni 100.000 abitanti, nel 1990 erano
diventati 311 ogni 100.000 abitanti e i dati del 2002 davano 480 reclusi ogni
100.000 abitanti. Ancora più impressionanti le cifre assolute: da meno di
200.000 prigionieri nel 1970 a un milione 361.000 nel 2002. A costoro bisogna
aggiungere 666.000 detenuti nelle jails, i 111.000 rinchiusi nei carceri
minorili, i 29.000 prigionieri in altri tipi di carceri (militari, per indiani,
speciali), così che il totale dei reclusi alla fine del 2002 era di 2 milioni,
166.000 statunitensi. Ben 766 carcerati su 100.000 abitanti: a titolo di
paragone, in Giappone nel 2000 vi erano solo 47 detenuti per 100.000 abitanti;
in Norvegia 56; in Francia 80; in Italia 94; in Germania 97. Cioè negli Usa ci
sono 16 volte più prigionieri che in Giappone e 8 volte più che in Italia.
Solo la Russia del dopo guerra fredda ha cifre paragonabili: 730 detenuti ogni
100.000 abitanti. Se a costoro si aggiunge chi è in libertà condizionata o per
buona condotta, negli Usa il totale dei sorvegliati superava i 4,3 milioni di
persone nel 1990 e superava i 6,9 milioni alla fine del 2002. Cioè, a ogni
momento, più di due persone (2,5) su cento negli Stati uniti sono prese nelle
maglie della giustizia.
Ma queste cifre non dicono ancora tutto. Poiché la stragrande maggioranza dei
detenuti è di sesso maschile, le persone sotto controllo giudiziario
rappresentano il 5% dei maschi. Se si escludono i minori di 14 anni e gli
anziani ultra 65-enni, questa percentuale sale al 7,6%. Cioè, un maschio adulto
su 13 è sotto vigilanza giudiziaria in ogni e qualunque anno. La situazione è
ancora più pazzesca se si considera la componente afro-americana. Poiché i
neri costituiscono il 12,7% della popolazione statunitense, ma sono il 43,6% dei
carcerati, a ogni momento, il 18,6% dei maschi neri è sotto sorveglianza
giudiziaria. Se si considerano solo i maschi neri adulti, questo porta il totale
al 27,5%: a ogni momento, più di un maschio nero adulto su 4 è sotto
sorveglianza giudiziaria. Il che vuol dire che nel corso della sua vita un
maschio nero ha più della metà di probabilità di finire in galera.
Quando in Sorvegliare e punire Michel Foucault parlava del «grande
internamento», non aveva ancora visto gli Stati uniti all'inizio del terzo
millennio. Uno studio condotto dall'Urban Institute rivela che il numero di
prigioni e penitenziari federali e statali (escluse le jails) è passato
da 61 prigioni nel 1923 a 592 nel 1974 a 1.023 nel 2000. Gli stati che hanno
avuto il maggior boom edilizio carcerario sono stati quelli governati dai due
Bush, il Texas e la Florida. Dal 1980 al 2000 il Texas ha costruito 120 nuove
prigioni, circa 6 all'anno, con un aumento del 706%: adesso in Texas sono i
funzione 137 prigioni. La Florida è seconda, avendo costruito 84 nuove
prigioni.
Molte contee competono per ricevere una prigione e ottenere così i fondi
federali per il loro funzionamento. Ma naturalmente questi fondi sono sottratti
allo stato sociale, gettando così molte famiglie indigenti nella miseria e
alimentando la spirale del crimine.
167 miliardi di dollari
E questo smisurato internamento costa. L'ufficio statistiche del ministero della
giustizia ha appena divulgato i dati economici relativi al 2001: combattere il
crimine è costato negli Usa 167 miliardi di dollari, 20 miliardi in più
(13,6%) di due anni prima, il 1999, e il 350% in più di 19 anni prima (1982),
quando la spesa era stata di 36 miliardi di dollari (la percentuale tiene conto
della perdita del potere d'acquisto del dollaro a causa dell'inflazione). Di
questi 167 miliardi, ecco le singole voci di spesa:
- polizia, 72 miliardi di dollari;
- prigioni e jails, 57 miliardi di dollari (erano 9,6 nel 1982);
- sistema giudiziario (tribunali): 38 miliardi di dollari.
Il sistema giudiziario dà lavoro a 2,3 milioni di persone, di cui 747.000
secondini, e rappresenta il 7% di tutte le spese statali, provinciali e
comunali: quanto il sistema sanitario pubblico nel suo complesso. E
inevitabilmente, più si spende per le prigioni, meno si spende per la salute, e
questo porta al secondo grande fattore d'internamento: i malati mentali sono
stati buttati per strada senza servizi alternativi e la prigione è diventata un
sostituto dei manicomi che erano stati chiusi perché carcerari. Non esistono
studi complessivi, ma ricerche dell'Human Rights Watch e della Correctional
Association di New York sui detenuti nelle prigioni dello Stato di New York
mostrano che il 45% dei prigionieri ha tentato il sucidio, più di un terzo si
è automutilato e il 20% aveva in precedenza ricevuto trattamenti in ospedali
psichiatrici.
Il dato più stupefacente della spesa carceraria è però che quest'esplosione
del numero di detenuti non corrisponde a un significativo aumento né degli
arresti né dei processi. Mentre i detenuti si sono più che triplicati (300%),
gli arresti sono cresciuti solo dell'11,4% (passando da 12 milioni nel 1982 a
13,7 milioni nel 2001) e il numero dei casi discussi in tribunale è passato da
86 milioni nel 1984 a 92,8 milioni nel 2001 con una crescita solo del 7%.
La guerra alla droga
Significa che il grande internamento non corrisponde né a un aumento del
crimine né a un maggiore controllo della polizia, ma solo a un insensato
inasprimento delle pene. La grande responsabile della carcerazione è l'assurda guerra
alla droga, responsabile di più della metà delle detenzioni, la prima di
quelle tante guerre che non sono tali, ma finiscono per essere
altrettanto distruttive. Questo è un paese in cui basta essere colti a fumare
uno spinello per finire in galera, e in molti stati (California, ma non solo)
basta essere colti tre volte a fumare uno spinello per essere condannati
all'ergastolo: è la famosa legge dei three strikes: tre volte e sei
dentro fino alla morte. Uno studio condotto lo scorso novembre dalla Little
Hoover Commission ha concluso che il sistema di libertà su parola è costato
allo stato di California 1,46 miliardi di dollari: le persone in libertà
vigilata che sono state imprigionate di nuovo erano 2.995 nel 1980 e sono state
89.363 nel 2000. Cioè lo stato californiano spende un mare di soldi per
liberare dei carcerati per poi incarcerarli di nuovo, spesso per infrazioni
minime.
Il sistema è diventato così costoso che anche i politici più demagogici non
sono più tanto irruenti nel chiedere l'inasprimento delle pene. Un articolo
pubblicato nello scorso novembre dal New York Times racconta come nel
2003 25 dei 50 stati Usa hanno alleggerito le leggi detentive. Persino il
repubblicano Norm Maleng, che era stato il procuratore generale di Seattle e che
aveva promosso la legge che raddoppiava le sentenze per le condanne di droga,
l'anno scorso ha contribuito a far approvare dallo stato di Washington (che era
stato il primo a emanare la legge dei three strikes) nuove leggi che
riducono le pene per i reati di droga, anticipano i termini della libertà
condizionata, eliminano la sorveglianza della libertà vigilata per i detenuti
rilasciati considerati a basso rischio.
Il Kansas ha approvato una nuova legge che raccomanda il trattamento
terapeutico, invece della detenzione, per chi ha commesso per la prima volta
reati di droga non violenti. In Michigan i condannati per droga non potevano
ricevere sentenze minori di una pesantissima soglia minima che è stata abolita.
Missouri e Wisconsin hanno emendato le leggi che eliminavano la possibilità per
i detenuti di ottenere la libertà su parola prima di aver scontato quasi tutta
la condanna. Il Missouri ha approvato una nuova legge che consente ai detenuti
condannati per reati contro la povertà (furti, scippi..) di chiedere il
rilascio dopo appena quattro mesi invece di scontare almeno un terzo della pena
(da 4 a 7 anni). Il Colorado ha ridotto il numero di liberati su parola che
vengono rispediti in prigione per infrazioni minori (saltare un test dell'urina,
non rispettare un appuntamento con il sorvegliante). Persino l'Alabama, uno
degli stati più repressivi, ha messo su una commissione per rivedere le proprie
leggi draconiane.
Il problema è che con l'aumento del deficit pubblico voluto
dall'amministrazione Bush e con l'astronomico aumento delle spese militari, a
farne le spese sono tutti i servizi pubblici, scolastici, sanitari, sussidi alla
povertà. La spirale della criminalità si alimenta così da sola. Una soluzione
ragionevole al problema della massima detenzione sarebbe di dichiarare una
tregua (o anche firmare una pace) nella guerra contro la droga e di
spendere di più in welfare. Ma l'estrema destra americana preferisce un'altra
soluzione: ricorrere sempre più alla pena di morte. Perché tenerli in carcere,
dove costano, quando possiamo sbarazzarcene? Se poi con le loro salme
l'industria dell'allevamento producesse farine animali per il bestiame, Jonathan
Swift avrebbe la soddisfazione di vedere aggiornata e realizzata in modo
industriale la sua fulminante Modesta proposta, la cui lettura è
vivamente consigliata
"il manifesto" 9.5.2004