Eucarestia.
Breve storia
Relazione di Giovanni Franzoni al
XXVIII Incontro Nazionale delle Comunità Cristiane di Base Montesilvano (PE)
6-7-8 dicembre 2003
chi è Giovanni Franzoni
L’eucaristia, come benedizione e gesto di ringraziamento, ebbe certamente un ruolo e una densità particolare nelle comunità di Gesù di Nazaret.
Secondo il vangelo di Giovanni, cap. 13, e secondo i testi del Talmud Gesù fu arrestato e condannato con un processo sommario prima della Pasqua, quindi quella non fu cena pasquale. Secondo i vangeli sinottici invece l’eucaristia si inserirebbe nell’ambito della tradizione ebraica.
Tutto ciò che conosciamo è filtrato attraverso la prassi delle primissime comunità che ereditarono questa memoria (anamnesis) dopo il terribile trauma della sconfitta, della morte in croce e dopo l’esperienza esaltante della visione di Gesù risorto.
E’ un fatto che le prime comunità si trovarono ad avere un cibo comune, una prassi conviviale, con un gesto fortemente simbolico. Nella cultura semitica il simbolismo non è paragonabile a ciò che intendiamo oggi. Il simbolo, il segno, il gesto simbolico era di per sé una realtà; il gesto rimaneva finchè non veniva sostituito da un segno contrario. Esemplare al riguardo è la disputa tra Anania e Geremia (Geremia, cap. 27 e 28). Geremia, per annunciare la distruzione di Gerusalemme e la schiavizzazione del popolo, va in giro con un giogo di buoi sulle spalle e alla gente incuriosita che lo deride dice: questo è il giogo che i Babilonesi vi imporranno. Anania per contraddire Geremia e per annunciare la fine della schiavitù, afferra il giogo, lo getta a terra, lo spezza ponendo un gesto concreto contrario a quello precedente. Geremia, per riaffermare il gesto/realtà, si pone sulle spalle un altro giogo, questa volta di ferro, e dice “questo giogo ancora più pesante ci verrà imposto e questo non lo spezzeremo”. Il segno quindi pone in essere una realtà.
Ancora. Ezechiele, cap. 4, preconizza la fine di Gerusalemme mettendo un coccio al centro circondato da altri utensili.
Proviamo a collocare in questo clima culturale il gesto di Gesù (dello spezzare il pane) che pone in essere, preconizza e attualizza una realtà. La prima interpretazione di questo gesto, data da Pietro e dalla prima comunità, è riferita alla ricostruzione del Regno davidico di Israele (Matteo cap. 10). Gli apostoli continuano a frequentare il tempio e contemporaneamente spezzano il pane di casa in casa, annunciando il ritorno glorioso del messia che doveva avvenire nell’arco di una generazione. Anche la preoccupazione di sostituire Giuda rientra nella prospettiva, tutta interna a Israele, di assicurare 12 giudici a capo delle 12 tribù. Ma a questa comunità di ebrei osservanti subito si associa il gruppo di lingua greca con tradizioni diverse che non solo pone il problema dell’assistenza alle vedove e instaura prassi solidali collettive come le mense, ma incomincia a tuonare contro il tempio e ad annunciare il messaggio alla Samaria e ad altri popoli confinanti. E’ l’inizio della scomposizione dell’idea di restaurazione del Regno e della spinta missionaria che troverà in Paolo il grande sostenitore.
“Lo spezzare il pane” si contamina con altre culture e trova una sua sistemazione all’interno di una prassi conviviale che diventa Cena del Signore in cui saranno sempre presenti il pane e il vino, quest’ultimo difficilmente presente sulla mensa della prima comunità di ebrei osservanti a cui certamente ripugnava anche l’idea di bere il sangue.
A Corinto cominciano i problemi, tanto che Paolo è costretto ad esprimersi in termini durissimi. La prassi eucaristica è prassi comunitaria, conviviale, di condivisione. Tuttavia c’è chi arriva tardi ed affamato mentre altri sono già sazi ed ebbri. Il peccato consiste nel non aspettarsi e lasciare i più poveri senza cibo. E’ una condivisione tradita che rovescia il significato del gesto che si celebra. Ecco perché “chi mangia e beve indegnamente…mangia e beve la sua condanna”.
La celebrazione di Corinto vedeva sulla mensa la presenza del pane e del vino; non era così per le comunità copte d’Egitto che ricordavano la cena dopo la resurrezione sul lago di Tiberiade con acqua e pesce.
Ad Efeso, invece, era la “lavanda dei piedi” ad evocare lo Spirito paraclito che avrebbe continuato la presenza di Gesù.
Modalità diverse, senza scomuniche e prevaricazioni, tutte imperniate sul concetto di condivisione.
Nel medio evo la teologia francescana ha sostenuto che la materia dell’eucaristia non fosse il pane e il vino ma l’atto di “spezzare il pane”.
L’idea di transustanziazione si afferma alla fine del XII° secolo con S. Tommaso che, nella separazione delle specie del pane e del vino, vuole esprimere il concetto del corpo sacrificato.
La prassi delle comunità cristiane di base è stata ed è variegata sia teologicamente che liturgicamente. Lo sforzo è quello di rimanere comunque nell’alveo ecclesiale in modo comprensibile e visibile (chiesa altra e non altra chiesa) e nello stesso tempo di cercare nuovi simboli e segni per esprimere condivisione e radicalità evangelica.
Più che esaltare il diritto del prete colpito da censure ecclesiastiche è stato posto in primo piano il diritto della comunità ad avere l’eucaristia. Le comunità hanno trovato in questa “teologia della coralità” , laici e preti che celebrano insieme, una “via di scampo” che da un lato permette di non rompere completamente con la ecclesia più ampia e diffusa e dall’altro di vivere.
Infine vorrei esprimere una garbata critica alla prassi eucaristica di alcune comunità.
A parer mio la sostituzione del pane e del vino con altri cibi o con altri segni e l’accento posto sull’aspetto conviviale dell’eucaristia non esprimono la densità e lo spessore di un gesto che ci è stato dato in un momento di grande emozione e tragicità che riassume una vita e ne annuncia un’altra. Gesù sceglie di caricarsi dell’evangelo. Questa parola così pregnante e pericolosa per il Tempio, rimbalza come un boomerang sulle spalle di chi l’ha pronunciata. Gesù spezza il pane come segno della propria vita spezzata. E’ un passaggio inevitabile per chi si accolla un messaggio totalmente innovativo e scomodo, che turba chi è insediato sulla cattedra di Mosè. Non possiamo ridurre la cena del Signore solo in un rito di fraternità.
Dentro questo gesto, che definisco di ordalia, è espresso un giudizio.
Il Dio di Gesù è un Padre rigoroso. La sua misericordia prevale sul suo rigore, ma come stile fondamentale è un Dio esigente, che pretende una risposta altrettanto rigorosa. L’amore che chiede Dio è un amore forte altrimenti non ci sarebbe stato il percorso di Gesù di Nazaret.
Per questo ci tengo a conservare il gesto dello spezzare il pane.
I discepoli non sono di più del maestro.