Guerra
cieca
GIULIETTO CHIESA
Dunque non solo non c'erano
armi di distruzione di massa, ma avevano deciso di fare la guerra all'Iraq prima
ancora di porsi il problema se vi fossero. Adesso sappiamo (da un premio
Pulitzer del giornalismo, Ron Suskind, che ha raccolto la testimonianza di Paul
O'Neill, ex segretario al tesoro Usa) che George W. Bush aveva cominciato a
discutere su come fare la guerra «nei primi mesi del 2001». Cioè parecchio prima
dell'11 di settembre.
Cioè sappiamo che entrambi gli argomenti (armi di distruzione di massa e
connessione con il terrorismo) che sono stati usati per preparare la guerra
erano completamente falsi, inventati a priori. Erano i pretesti del lupo che ha
deciso di mangiare l'agnello e che, bevendo l'acqua del ruscello a monte, accusa
chi gli sta sotto di averla sporcata.
Storia lurida, come luride sono le coscienze di tutti coloro che adesso
tacciono. Se i direttori dei giornali e telegiornali che hanno dato credito alle
menzogne del clan che ha occupato la Casa Bianca fossero persone decenti,
dovrebbero dare alla smentita di oggi lo stesso spazio che diedero a quelle
menzogne. Dovrebbero dire, anche, per esempio, che Tony Blair è un truffatore o
un truffato (nella migliore - per lui - delle ipotesi) e non un «grande
statista». Naturalmente non l'hanno fatto e non lo faranno. Della qual cosa non
ci stupiremo perché li conosciamo.
Non resta che usare tutte le forze di cui disponiamo, respingendo la nausea, per
tirare le somme. Nella capitale della democrazia mondiale sta succedendo (è già
successo) qualche cosa di tremendamente grave. Tanto grave che è difficile
applicare ad esso il giudizio e il metro della politica. Noi siamo palesemente
di fronte a comportamenti doppiamente criminali ai vertici dell'Amministrazione
americana.
Criminali perché organizzarono la guerra per motivi che ancora non rivelano.
Criminali perché hanno ingannato consapevolmente gli americani e il mondo
intero. Migliore spiegazione del perché rifiutano di accettare un tribunale
penale internazionale non potrebbe esserci: ne temono, direttamente e
personalmente, le conseguenze.
Le rivelazioni di O'Neill, cioè di persona che è stata per oltre un anno in
mezzo a quella banda, gettano luci inquietanti sui detentori del potere e anche
sul modo con cui vi sono giunti.
E, adesso, anche, di nuovo, sull'intera vicenda dell'11 settembre.
Ecco perché il presidente - si fa per dire - non rivela, a oltre due anni di
distanza, il contenuto esatto dei documenti che ricevette ai primi di agosto del
2001. Sappiamo solo, all'incirca, cosa contenevano (la previsione di un attacco
sul territorio americano mediante aerei civili), ma non i dettagli. Ed è nei
dettagli che si nasconde quel segreto terribile.
Possiamo dubitare di queste rivelazioni? O'Neill è stato messo alla porta dal
presidente Bush e potrebbe covare vendetta, ma Suskind ha scritto un libro, «Il
prezzo della lealtà», che si basa su «migliaia di documenti, inclusi
memorandum privati al presidente e trascrizioni delle riunioni del Consiglio di
Sicurezza», tutti fornitigli da O'Neill, tutto materiale verificabile.
E quando leggiamo che il presidente - si fa per dire - conduceva le riunioni del
suo governo «come un cieco in una congrega di sordi» ci sembra di vedere, noi
che non siamo né ciechi né sordi, che la squadra si è scelta un fantoccio ben
manovrabile. Un re travicello, un imperatore cui si può ordinare d'incendiare
il mondo.
E su questo mondo ci siamo tutti. Ma ritorniamo a chiedere: cosa ci stanno a
fare i nostri carabinieri laggiù, in Iraq? Cosa ci stanno a fare a Kabul? Che
c'entra la nostra bandiera tricolore con i progetti sconsiderati, immorali e
criminali di quel gruppo di sordi guidati da un cieco?
"il manifesto" del 13.1.2004