Da
Il nuovo quotidiano di Puglia, novembre 2004
Questo
benedetto limbo, quarto ed evanescente luogo escatologico (cioè finale, del
destino finale d’uomo) accanto al paradiso, all’inferno e al purgatorio,
sembrava scomparso da decenni dalla coscienza cattolica contemporanea; dalla
predicazione, dalla stessa ricerca teologica. Sembrava caduto in desuetudine,
come il velo delle donne in chiesa. Quando, qualche giorno fa, il papa, nel
ricevere la Commissione teologica internazionale, ha pensato bene di
richiamarlo alla memoria: dove vanno i bambini morti senza battesimo? e,
avrebbe potuto aggiungere, dove vanno a finire tutte le persone che hanno
condotto una vita buona – come la maggior parte: lavoro, casa, figli –, o
una vita di sacrifici, o anche di stenti, ma anch’essi senza battesimo perché
non cristiani, perché appartengono al vasto mondo delle altre religioni? dove
finiscono tutti costoro? questi milioni e miliardi di persone umane che sono
vissute lungo l’intera storia dell’umanità e non hanno ricevuto quel
sacrosanto battesimo, dove sono finite? Il papa riesumava il problema, lo
raccomandava allo studio della Commissione
Perché,
secondo la tradizione patristica e teologica, e anche gerarchica, «fuori
della chiesa non v’è salvezza»; e nella chiesa si entra col battesimo. E
v’è un passo del vangelo di Marco, forse l’unico così esplicito, che
dice «chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo; chi non crederà sarà
condannato» (16, 16). Il passo, secondo gli studiosi, non è autentico; come
tutto il finale di Marco; è un’aggiunta posteriore (anche se è
riconosciuto come «canonico», cioè di rivelazione e fede). E del resto non
si può basare una così fondamentale e grave dottrina su di un solo
passo, che poi dev’essere interpretato e capito. Una dottrina che a sua
volta si trova in contrasto con l’altra, ben fortemente e solidamente
attestata, della salvezza universale: che Dio vuole che tutti i suoi
figli siano salvi, che nessuno di loro perisca. A meno di ritenere che
questa sia una volontà condizionata, o inefficace: Dio vorrebbe, ma; l’uomo
la frustra con la sua libertà perversa. Che sono poi scappatoie teologiche,
le quali di fatto negano la potenza e la volontà amorosa di Dio.
Perché
il «non salvarsi», l’«essere condannato», nella dottrina tradizionale
significano l’inferno, l’eternità di pene (anche a prescindere dal fuoco,
che è chiaramente simbolico). Una prospettiva orrenda, che c’introduce
nella crudeltà teologica.
Per
sfuggire dunque a questa prospettiva orrenda ci vuole l’appartenenza alla
chiesa, ci vuole il battesimo. Anche perché interviene qui un altro punto di
dottrina, che è quello del peccato originale; per cui ogni essere umano
sarebbe fin dalla nascita macchiato da questo peccato che non si sa bene come
si trasmetta; e che la gerarchia ha avuto cura di definire come un «vero e
proprio peccato»; pur non sapendolo spiegare, non sapendo dire in che
consiste, poiché il peccato, la colpa, esige coscienza e responsabilità
personale, che non possiede quel piccolo essere che nasce (si vedano, sulla
difficoltà di capire «l’essenza del peccato originale» da parte dei Padri
del Concilio di Trento, le riflessioni di Paolo Sarpi nella sua Istoria).
Anche se vive rettamente, se non è battezzato l’uomo ha sempre quella
macchia, che lo condanna. Per cui Agostino, il grande dottore e padre della
teologia occidentale, conclude alla sua orrida dottrina dell’umanità come
«massa dannata»; riprendendo e sviluppando l’idea, che proviene dal
profetismo ebraico e dall’Apocalittica, che «solo pochi si salvano», solo
una piccola minoranza, ch’egli chiama «città di Dio»; quella città di
Dio che molti esaltano e magnificano senza conoscerne la reale consistenza;
mentre è il frutto di un brutale manicheismo. Per cui ci si domanda perché
Dio avrebbe creato l’umanità, se poi l’affonda quasi tutta in una
condanna eterna.
Qui
si presenta il problema dei bambini morti senza battesimo. Innocenti, si
direbbe, ma affetti da quel peccato di origine che non consente loro
l’ingresso nella felicità eterna. Bambini, feti, embrioni, frutti abortivi;
poiché la gerarchia afferma che essi sono persone umane fin dal primo istante
della concezione. Ciò che è controverso sia sul piano scientifico che
teologico. Non possono salvarsi: lo afferma già il Concilio Cartaginese del
418, che certo risente dell’influsso di Agostino. Viene perciò assegnato
loro un luogo
intermedio, dove resteranno in eterno, godendo di una felicità naturale di
cui non si capisce bene la qualità e la consistenza. Sono separati dai loro
genitori, dalle
persone che più intensamente li amano; e non è già questo un dolore?
separati da tutta la grande famiglia umana cui li lega un amore universale.
Subiscono una mutilazione eterna che proverrebbe dal peccato di Adamo, mentre
già la Bibbia da un certo punto in poi si rifiuta di far ricadere le colpe
dei padri sui figli. Perciò Dante parla di «duol sanza martiri» e, per
bocca di Virgilio dice «sanza speme vivemo in disio» (Inferno,
IV, 28 e 42).
Questa
spietata condanna dei bambini, poiché comunque di una condanna si tratta,
riesce intollerabile allo spirito moderno, al posto che il bambino vi ha preso
come centro di amore, al principio di giustizia che vi è maturato. Un
esercito di bambini; e con essi quell’esercito immenso di adulti di cui si
è parlato.
Il
peccato di origine, poi, non è più accolto dai maggiori teologi moderni (si
veda Dubarle), se non nel senso di «peccato del mondo», cioè di quel male
che l’umanità ha accumulato nel tempo, e sta calato nel costume,
nell’ideologia, nella legge; e il bambino crescendovi lo assume in misura
maggiore o minore. Ma sarà colpa e peccato solo quando lo deciderà lui
stesso, nella sua coscienza e responsabilità. E però sempre una
responsabilità condizionata, un limite alla colpa.
E
infine tutta questa spietata concezione teologica contrasta col punto centrale
dell’annunzio evangelico: il Dio amore, il Padre, che ama di un amore
infinito tutti i suoi figli, che quando cadono li accoglie con un amore ancora
più grande (così nella parabola del figlio prodigo), che non può tollerare
che nessuno di loro si perda. Perciò non ha più senso anche l’inferno come
dannazione eterna; e tanto più questa fantomatica crudele invenzione del
limbo.