Prete
tutto, fedeli nulla. Forse si potrebbe sintetizzare così
l'Istruzione vaticana Redemptionis sacramentum
[RS] che ossessivamente chiude ogni possibile sviluppo di quanto affermato
dal Concilio Vaticano II sulla Chiesa come "popolo di Dio", stronca
ogni creatività della comunità eucaristica locale e, nella sua minuziosa
segnalazione e condanna degli "abusi" nella celebrazione
dell'Eucaristia, mescola cose del tutto diverse, mettendo sullo stesso piano la
profanazione delle sacre specie e la "concelebrazione" di sacerdoti
cattolici con ministri protestanti.
Formalmente opera della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei
Sacramenti, presieduta dal card. Francis Arinze, il documento - datato 25
marzo 2004, ma reso noto venerdì 23 aprile - era nell'aria da tempo, ed era
stato preannunciato da Giovanni Paolo II nell'enciclica Ecclesia de
Eucharistia del 17 aprile 2003. Nella presentazione alla stampa il cardinale
ha minimizzato i contrasti che, in Curia, vi sarebbero stati sul documento. E,
tuttavia, il porporato si è in qualche modo smentito quando ha detto che le
"bozze" del testo sono state ben dodici: un po' troppe, se tutto fosse
stato tranquillo. Adista (n. 70/03
del 4 ottobre 2003) aveva pubblicato parte di una di queste "bozze" -
segrete - nel testo latino intitolata allora Pignus redemptionis
("La testimonianza della redenzione").
Prendendo spunto dal quadro generale delineato dall'ultima enciclica papale, la
RS è una "Istruzione su alcune cose che si devono osservare ed evitare
circa la Santissima Eucaristia", suddivisa in otto capitoli e in 186
paragrafi. Per mandato papale è stata preparata "in collaborazione"
con la Congregazione per la Dottrina della Fede (e, infatti, oltre che da Arinze
è stata presentata alla stampa anche da mons. Angelo Amato,
segretario della Cdf).
Via il capitolo della discordia, ma la sostanza rimane
Rispetto alla bozza pubblicata da Adista la variazione più sostanziale -
a parte altri dettagli minori - è che quella ora effettivamente uscita manca di
un capitolo, il nono, che trattava diffusamente del rapporto
ecumenismo-Eucaristia. Voci di corridoio sostengono che, sul tema, vi sia stato
un forte contrasto tra il prefetto della Cdf, card. Joseph Ratzinger, e
il card. Walter Kasper, presidente del Pontificio Consiglio per la
Promozione dell'Unità dei Cristiani. Per tale ragione - sempre secondo le voci
- il papa avrebbe deciso di stralciare questa problematica, che potrebbe essere
trattata in un futuro documento ad hoc.
Come che sia, la questione ecumenica è presente nella RS in complessive venti
righe, ma assai pesanti. Afferma infatti il numero 8, sostanzialmente citando
l'enciclica papale: "Si deve notare con grande amarezza la presenza di
iniziative ecumeniche che, pur generose nelle intenzioni, indulgono qua e là a
prassi eucaristiche contrarie alla disciplina nella quale la Chiesa esprime la
sua fede. Il dono dell'Eucaristia, tuttavia, è troppo grande per sopportare
ambiguità e diminuzioni".
Il n. 84 chiede di vigilare affinché, quando la messa è celebrata per grandi
folle, non accada che "per mancanza di consapevolezza" si accostino
alla comunione non cattolici o, peggio, non cristiani. E il n. 172, tra i graviora
delicta [i delitti più gravi] contro l'Eucaristia, elenca nello stesso
gruppo la profanazione sacrilega delle specie consacrate e "la
concelebrazione proibita del Sacrificio eucaristico insieme a ministri di
Comunità ecclesiali i quali non hanno la successione apostolica, né
riconoscono la dignità sacramentale dell'ordinazione sacerdotale" [cioè
pastori delle Chiese della Riforma]. Tale "delitto" era già
sostanzialmente previsto dal Codice di Diritto Canonico in vigore e da un
documento di Ratzinger di tre anni fa. Ribadendolo ora, forse il Vaticano ha
voluto replicare alla clamorosa - perché ampiamente preannunciata alla stampa -
"ospitalità eucaristica" attuata da un prete cattolico a Berlino, nel
maggio 2003, durante il "Kirchentag" ecumenico (v. Adista n. 45/03).
I laici stiano al loro posto. L'ultimo
Ma RS guarda soprattutto all'interno della Chiesa cattolica, e il motivo sempre
ribadito dell'Istruzione è che spetta al sacerdote, e solo al sacerdote in
quanto consacrato, il diritto-dovere non solo di celebrar messa, ma anche di
tenere l'omelia, escludendo tassativamente da quest'ultimo compito i
"laici" e perfino teologi e seminaristi (nn. 65, 66).
Il ruolo dei laici è in pratica quello di spettatori: l'omelia no, e passi; la
lettura del Vangelo no (n. 63), e non è una novità; ma anche altre forme di
predicazione, "in chiesa o in un oratorio al fuori della Messa", che
pure si possono "ammettere a norma del diritto", non le si possono
"mutare da caso di assoluta eccezionalità a fatto ordinario", né
devono essere intese "come autentica promozione del laicato" e sia il
vescovo a dare il permesso volta per volta (n. 161). E se il laico può
distribuire la comunione, ma solo su incarico conferitogli in modo straordinario
dal sacerdote (n. 156), "è riprovevole la prassi di quei sacerdoti che,
benché presenti alla celebrazione, si astengono comunque dal distribuire la
comunione, incaricando di tale compito i laici". Inoltre, in via
eccezionale, ma proprio eccezionale, "se vi fosse l'esigenza di fornire
informazioni o testimonianze di vita cristiana ai fedeli radunati in Chiesa, è
generalmente preferibile che ciò avvenga al di fuori della Messa. Tuttavia, per
una grave causa, si possono offrire tali informazioni o testimonianze quando il
sacerdote abbia pronunciato la preghiera dopo la comunione. Questo uso,
tuttavia, non diventi consueto" (n. 74).
Ne consegue che, per quanto riguarda la celebrazione eucaristica, "si usino
soltanto con cautela locuzioni quali 'comunità celebrante' o 'assemblea
celebrante', affinché alla gente non passi per la mente di svalutare il compito
essenziale del prete" (n. 42; quel "si usino soltanto con
cautela" è un ammorbidimento rispetto alla bozza di cui Adista parlò
l'autunno scorso: lì si vietava praticamente l'uso delle suddette
"locuzioni").
Non che i fedeli laici, stando al documento, debbano fare le statue
nell'assistere alla Messa: al n. 32 si dice che "la partecipazione dei
fedeli laici alla celebrazione dell'Eucaristia e degli altri riti della Chiesa
non può essere ridotta ad una mera presenza, per di più passiva". Possono
acclamare, cantare, magari muoversi e perfino stare zitti: "Per promuovere
ed evidenziare la partecipazione attiva - spiega il documento al n. 39 - la
recente riforma dei libri liturgici ha favorito, secondo le intenzioni del
Concilio, le acclamazioni del popolo, le risposte, la salmodia, le antifone, i
canti, nonché le azioni o i gesti e l'atteggiamento del corpo e ha provveduto a
far osservare a tempo debito il sacro silenzio, prevedendo nelle rubriche anche
le parti spettanti ai fedeli".
Spazio alla fantasia
L'elenco degli "abusi" è implacabile, talora quasi grottesco. Così
afferma il n. 94: "Non è consentito ai fedeli di prendere da sé e tanto
meno passarsi tra loro di mano in mano la sacra ostia o il sacro calice. In
merito, inoltre, va rimosso l'abuso che gli sposi durante la messa nuziale si
distribuiscano in modo reciproco la santa Comunione". Si ribadisce poi -
così contrastando il pensiero di molti teologi e di molte comunità - che la
prima comunione dei bambini deve sempre essere preceduta dalla confessione
sacramentale e dall'assoluzione (n. 87).
E le donne? Sono ammesse le "chierichette" (n. 47), ma a deciderlo non
può nemmeno essere il singolo prete o il parroco; solo il vescovo può farlo.
Non c'è più tra gli abusi indicati, com'era nella bozza, quello relativo alla
celebrazione eucaristica presieduta dalle donne: in fin dei conti, che bisogno
c'era di parlarne? Tanto sicuramente sono laiche. Né quello relativo alle danze
durante la celebrazione. Il papa può tirare un sospiro di sollievo.
È rimasto quello che si può definire un incoraggiamento alla delazione: al n.
184 si invitano i fedeli a denunciare all'autorità ogni "abuso". E,
infatti: "Ogni cattolico, sia sacerdote sia diacono sia fedele laico, ha il
diritto di sporgere querela su un abuso liturgico presso il Vescovo diocesano o
l'Ordinario competente a quegli equiparato dal diritto o alla Sede Apostolica in
virtù del primato del Romano Pontefice. È bene, tuttavia, che la segnalazione
o la querela sia, per quanto possibile, presentata dapprima al Vescovo
diocesano. Ciò avvenga sempre con spirito di verità e carità". Anche in
questo contesto c'è un alleggerimento rispetto alla bozza, quasi a non voler
dare alla denuncia un'eccessiva sottolineatura: manca il paragrafo sul
"dovuto rispetto" da portare "a coloro che denunciano
l'abuso".
ADISTA n° 33 8.5.2004