DOC-1531. LA
RIOJA-ADISTA. Dietro un titolo che può sembrare provocatorio - "È
pericoloso credere in Dio" - il tentativo di ripensare la fede in un
paradigma teologico nuovo, per un essere umano che accetti di diventare
"adulto", libero e responsabile, più preoccupato della "dolente
condizione umana" che dell'ortodossia, più impegnato a costruire il regno
che ad universalizzare la sua idea di Dio, di un Dio fatto a nostra immagine e
somiglianza. È questo il tentativo portato avanti dal teologo spagnolo Juan
Luis Herrero del Pozo, animatore delle comunità cristiane popolari, come
contributo per un'epoca segnata non solo dal fallimento delle religioni nel loro
potenziale umanizzante e liberatore, ma anche da una più ampia crisi di civiltà.
Un tentativo possibile solo a partire dal superamento del vecchio modello di
cristianità, con i suoi due principali ingredienti - combinati in un pericoloso
amalgama - dell'appropriazione della verità e del potere di Dio e del pensiero
magico. È questo modello che, secondo il teologo, ha portato i credenti a
privilegiare l'ortodossia - la credenza in dogmi assoluti - rispetto
all'ortoprassi - la sequela radicale di Gesù -, l'ossessione per la legge
rispetto alla libertà e alla creatività dello spirito, dando origine alla
"perversione" di "pretendere che si possa esercitare il potere in
nome di Dio".
Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, l'intervento di Herrero del
Pozo, riportato in due parti da "Eclesalia" il 21 e il 23 giugno.
È PERICOLOSO CREDERE IN DIO
di Juan Luis Herrero Del Pozo
L'affermazione
del titolo non è un'iperbole né una provocazione, ma un allarme sui pericoli
di certi modi di intendere e vivere erroneamente la religione. Pericoli non
ipotetici ma consentiti storicamente. È meno pericoloso un agnostico umanista
integrale che un credente nell'errore. Come imperfetto seguace di Gesù, intendo
offrire un'ipotesi di pensiero, contributo modesto ma sincero in un'epoca di
crisi, tanto religiosa come di civiltà.
Introduzione
Lo schema è semplice.
Viviamo da molti secoli una religiosità che non è solo non è stata capace di
impedire che l'umanità si trovi oggi in una oscura condizione, ma che è stata
anche uno dei fattori del disastro: la religione, dunque, è stata pericolosa.
Primo perché ha privilegiato l'ortodossia sull'ortoprassi, cioè la credenza in
dogmi assoluti e liturgie dubbie e marginali invece della sequela radicale di
Gesù, unica etica cristiana. A differenza di Gesù, da Dio abbiamo ripreso la
verità e il potere più che il servizio e l'amore.
In secondo luogo, tanto la teoria quanto il comportamento, oltre ad essere
scarsamente evangelici, hanno sofferto, come in altre religioni, il tarlo della
magia. È pericoloso credere in Dio se questo non si traduce nella vita. E più
ancora se ci sbagliamo su Dio, se la sua immagine è viziata. È molto rischioso
perché le conseguenze sono molto gravi. Fino all'Illuminismo era, forse,
qualcosa di inevitabile. Oggi no. Ma l'autorità ecclesiale e la teologia
ufficiale, che hanno modellato una coscienza popolare acritica, non hanno
compreso (e meno ancora superato) la crisi della modernità illuminista e si
arroccano con ostinazione sul ritorno al modello di cristianità. Qui si annida
precisamente il peggiore fermento di scristianizzazione tanto deplorato, in
quanto ne è in parte la causa. Per questo è importante affermare che
l'Illuminismo, malgrado i suoi errori, inaugurò una nuova epoca, unica a
partire dal neolitico, e, tra altri successi, rese possibile individuare il
virus della magia senza il cui sradicamento sembra impossibile
"ripensare" la fede in un paradigma di pensiero credibile. Compito
arduo, perché il nucleo della magia è metafisico (cosa per cui non siamo più
allenati) e perché il pensiero magico lo portiamo incrostato nel nostro
immaginario religioso subcosciente dalle origini dell'umanità. Tanto
subcosciente che è più difficile del previsto uscire dal vecchio paradigma
classico, anche per i teologi, ottenendo la necessaria coniugazione
antropologica del pensiero. Per quanto, forse, esiste un cammino meno metafisico
e più accessibile a tutti, quello della vituperata secolarizzazione, malgrado
conduca alcuni alla miscredenza.
Con le riflessioni che seguono avremo solo rimosso il principale ostacolo del
nuovo paradigma teologico, cioè la barriera del pensiero magico. Quello più
grosso verrà dopo, ma oggi non ci sarà tempo. A questo riguardo, mi limito a
indicare per dove bisognerebbe camminare: non mi aspetto che questo paradigma
venga assunto facilmente né rapidamente; non ci metteremo d'accordo né nelle
Chiese, né tra le religioni. L'ecumenismo teorico è utopico. Ma c'è qualcosa
che non può attendere: la dolente situazione umana. Se non possiamo metterci
d'accordo sull'idea di Dio, facciamolo nella lotta per l'uomo. Scommettiamo
sull'etica, sull'ortoprassi, nonostante si debba aspettare l'ortodossia. Credo
che sia stato l'atteggiamento di Gesù.
Prima parte: i pericoli della religione
Storicamente è stata fonte di conflitti per la società e di immaturità,
oscurantismo e coscienza schiava all'interno delle Chiese. Insisto su un dato
decisivo: indico fatti, non distribuisco responsabilità morali; descrivo, non
accuso.
La storia della cristianità non offre certamente un'immagine molto decente del
Dio che proclamiamo. Senza dubbio vi sono santi, martiri e mistici, soprattutto
nella base dei credenti. Ma con tutte le distinzioni che vogliamo fare, si
potrebbe assicurare che ciò è avvenuto non grazie, ma malgrado
l'organizzazione religiosa ufficiale. La configurazione rigidamente
gerarchizzata, come nessun'altra, della nostra religione l'ha condotta
all'ossessione per il dogma e per la legge più che per la libertà e la
creatività dello spirito. Il potere, per quanto sia sacro
("gerarchia") è sempre un abuso e non dà buoni frutti. Abbiamo
giustificato il potere perché lo abbiamo vincolato a Dio. Qui comincia la
perversione: pretendere che si possa esercitare il potere in nome di Dio!
Verità e potere in nome di Dio!
In nome di Dio! Temo che il pericolo non sia nel parlar poco di Dio (scrupolo
molto cattolico), ma nel metterlo in tutte le salse. Perché peggio che
nominarlo invano, cioè nel vuoto o senza contenuto, è ornare l'ignominia con
il suo nome. L'ignominia di una storia di diciassette secoli, da Costantino,
durante i quali il tradimento del Vangelo di Gesù ha prevalso sulla fedeltà a
lui. E la genesi del tradimento è consistita nell'aver sequestrato, nel nome di
Dio, nientemeno che la sua verità e il suo potere e devastato tutto quanto non
coincidesse con l'unica religione autentica "fuori della quale - sentenziò
molto presto l'istituzione - non c'è salvezza". Diciassette secoli, e
ancora andiamo avanti così, come "martello di eretici", difendendo e
imponendo l'ortodossia "a cappa e spada".
Mai detto meglio, a cappa e spada… e con carceri, inquisizioni, roghi,
crociate, guerre religiose, intrighi di palazzo, battesimi forzati, conquiste
distruttrici di religioni e culture, commercio di schiavi, benedizione di
cannoni… Anche dopo il Concilio esistono processi senza garanzie da parte
della moderna inquisizione. E, anche nello stesso Concilio, parecchi vescovi
negavano la libertà piena di coscienza rispetto alla verità: "solo la
verità ha diritti", sostenevano. Possedere la verità su Dio è elevarsi
con il suo potere. E il potere, come dominazione - che non è servizio! - degli
uni sugli altri, diventa sacro, "gerarchia". Questo potere ha
raggiunto il culmine dell'iniquità sacralizzando la dittatura monarchica papale
nel governo e nel pensiero (infallibilità), proscrivendo, definitivamente, la
democrazia nella Chiesa. Identificarsi con la verità e il potere divini è
proiettare sacrilegamente su Dio il peggio del nostro peccato di presunzione e
di prepotenza. Questi non sono più pericoli della credenza, ma aberrazioni
storiche concrete e prolungate. Verso l'esterno e l'interno della nostra stessa
casa.
Il tarlo della magia
L'appropriazione della verità e del potere di Dio e il pensiero magico sono i
due ingredienti, uno antievangelico, l'altro antropologico, del modello di
cristianità. Entrambi si retroalimentano per generare un mostro: una
costruzione religiosa monumentale, costellazione di credenze, pratiche e
organizzazione che si pretendono somministrate dalla rivelazione diretta di Dio.
Parlando di magia, non mi riferisco al racconto mitico, legittimo in qualunque
religione, per esempio del paradiso terrestre o dell'infanzia di Gesù. Il mito,
oggi ben compreso in antropologia, è una delle forme espressive più ricche di
contenuto e forza della comunicazione umana. La magia è un'altra cosa. È
qualcosa che si nasconde rannicchiato nei sotterranei della coscienza credente e
che, per questo, risulta più insidioso. Indico subito alcuni tratti.
L'amalgama dell'appropriazione della verità e del potere di Dio con il pensiero
magico dà luogo alla seguente caricatura. La caricatura non mente per il fatto
che riporta i tratti più caratteristici.
Una fantastica costruzione
Dio crea il mondo e l'essere umano "a sua immagine e somiglianza". A
questo titolo ci consideriamo legittimati ad abbozzare l'originale, l'idea di
Dio. Ma proprio qui risiede la possibilità della verità e il rischio
dell'errore, Dio e i suoi feticci. Dio costruisce il "grande teatro del
mondo" ma non si fida del tutto. Come organizzatore previdente trattiene
nelle sue mani i fili degli attori della storia. La "storia della
salvezza". Di questa è, anche, il principale e più illustre attore.
Libero e onnipotente, interviene se vuole o se glielo chiediamo. Per la sua
libera volontà introduce nel cosmo l'essere umano, perlomeno il suo elemento
spirituale, l'anima. Tutte e ciascuna. Tra le innumerevoli razze e popoli,
sceglie uno solo come veicolo della sua parola. E tra tutti gli esseri umani ne
seleziona alcuni come intermediari. Senza dubbio, solo chi ci si mette di
impegno "si danna", ma solo lui salva gli eletti al di là di
qualunque merito. Attende milioni di anni per inviare nel più minuscolo angolo
del pianeta l'unico salvatore di tutti. A tale scopo, una ebrea, senza sapere
del portento, concepisce una creatura tanto pura da essere preservata dal
peccato originale. Arrivato il momento, questa, già ragazzetta, concepisce a
sua volta in maniera verginale, supplendo lo Spirito al seme maschile. Tutti gli
altri contraggono quel peccato originale che comunque viene perdonato a quanti
sono battezzati, anche senza collaborare e ancora più automaticamente ai
bambini. Dato che l'immensa maggioranza dell'umanità non gode di tale
privilegio, un Francesco Saverio e molti altri si sono sentiti angosciosamente
spinti alla missione. Come prima gli ebrei, ora i cristiani - gli unici in tutta
una storia millenaria - sono stati designati, per rivelazione divina, come
portatori della virtù dell'unico salvatore. Abbiamo ricevuto esplicitamente in
eredità un "deposito" di verità, un numero fisso di riti sacri
efficaci, un'organizzazione e alcuni dirigenti (solo maschi). Questi
costituiscono l'unico collettivo nella storia del cosmo che, saggio o incolto,
virtuoso o mediocre, gode del permanente intervento dello Spirito di Dio perché
preservi da ogni errore religioso o morale non solo la sua comunità ma l'intera
società. Abbiamo, nella comunità cristiana, una celebrazione centrale
portentosa in cui una sostanza inerte scompare senza sembrarlo per trasformarsi
("transustanziarsi") nel corpo e sangue di Gesù, secondo quanto ha
definito "ex cathedra" il Concilio di Trento…
Non è una caricatura, è il dogma, il "deposito della fede" che è
rimasto inalterabile e indiscusso fino alla modernità. Oggi, mediante erudite
elucubrazioni o silenzi complici, vanno cadendo alcuni scampoli della
costruzione secolare; un po' di soppiatto perché la maggioranza del popolo non
ne è informata.
Con questo nucleo duro della religione ufficiale convivono - ormai come minuzie
- mille credenze e pratiche secondarie, alimentate, accettate o consentite
dall'autorità per la disperazione di alcuni pastori: devozioni che garantiscono
la salvezza, immagini, processioni e benedizioni che allontanano la tormenta o
le malattie del bestiame; indulgenze che cancellano certe frange del peccato;
esorcismi che scacciano demoni dal corpo e dall'anima; cliniche di esperti che
filtrano presunti miracoli a Lourdes o a Fatima; o piuttosto comitati di
specialisti in Vaticano in cerca di miracoli di personaggi che hanno interesse a
dichiarare infallibilmente santi o che discernono le false apparizioni dalle
vere che, si intende, sono sempre possibili per l'onnipotenza divina… Si sono
riempite librerie con queste superstizioni, agli occhi dell'incredulo, ufficiali
o popolari.
Crisi religiosa
Di fronte a tale corte secolare di abusi di appropriazione della verità e del
potere di Dio da un lato, e di costruzione magica globale delle religioni
cristiane dall'altro, chi si meraviglia che la nave faccia acqua da tutte le
parti? Chi si stupisce della crisi religiosa? Cosa è rimasto di tutto il carico
rivoluzionario, geniale ed entusiasmante, del messaggio del Nazareno? È o no
pericoloso credere sbagliandosi su Dio?
A discarico del non credente e sia quale sia la sua onestà di vita, non ci deve
meravigliare che la nostra storia religiosa e i nostri dogmi gli producano
sentimenti di rifiuto o commiserazione. Ci vede creduli, immaturi, irrazionali e
orgogliosi. All'estremo opposto, forse tra chi legge, c'è chi sente che le mie
parole destabilizzano i fondamenti della fede. Che non tema, che le respinga.
Dobbiamo avere sempre tolleranza e rispetto perché, in ogni modo, è possibile
pensare in termini magici ed essere santi. Ma che non ci si chieda prudenza
quando il rischio è oggi mancare di audacia. Abbiamo respinto dalla Chiesa
molta gente onesta e non valgono troppi sguardi timorosi, più psicologici che
di fede, a costo di altro scandalo per la maggioranza. È oggettivamente
immorale far passare come mistero di fede quello che è costruzione magica. Non
si può far correre con ruote di mulino l'uomo moderno. L'abisso tra religione e
sensatezza si è fatto insopportabile.
A che si deve, in ultima analisi, l'abisso tra fede e ragione? Non è nel fatto
di accettare o rifiutare Dio, ma in qualcosa di previo, nell'idea che ci
facciamo di lui. Il Dio indiscusso per secoli entra in crisi perché il pensiero
illuminista scopre che non è legittimo mettere in conto a Dio quello che si
spiega per semplice logica delle leggi di natura e della libertà. I re non
governano per grazia di Dio, tanto quanto non è Dio che manda la pioggia.
L'Illuminismo scopre l'autonomia del reale, intramondana e infrastorica, e dà
origine alla distinzione tra scienza e teologia, tra trono e altare come
acquisizioni irreversibili, e dà luogo al cosiddetto processo di
"secolarizzazione". Un Dio che manovra i fili del cosmo e della libertà
non è ricevibile. Bisogna negarlo o bisogna scoprire un altro paradigma o
modello di intellegibilità, specialmente nella sua relazione e sinergia con
quanto non è lui. Questo è il modello della crisi religiosa dell'Illuminismo -
da dove sorge la nuova epoca -, crisi tuttora presente, grazie soprattutto alla
resistenza della vecchia forma di pensiero religioso trincerato nella teologia
ufficiale. L'ipotesi che difendo consiste nell'affermare che il modo in cui
pensare relazione e sinergia fra Dio e tutto il resto continuerà ad essere
fabbrica di atei od agnostici se non lo spogliamo del virus secolare che infetta
ogni religione: il pensiero magico. Per non giungere a questa radice alcuni
teologi rifondano la teologia trattato per trattato o settore per settore.
Secondo me, è poco efficace. È come se, tappando buco dopo buco, fossimo
convinti di distruggere il tarlo che scava le gallerie. Al contrario, se
sopprimiamo l'aspetto magico, il resto si deduce con sorprendente semplicità e
rapidità.
Il pensiero magico, pietra angolare del vecchio paradigma
Debellare il pensiero magico mi sembra, dunque, la pietra angolare del nuovo
paradigma teologico. È impossibile sviscerarlo in pochi minuti. Mi limiterò
perciò a tracciarne il filo conduttore. I passi sono i seguenti.
Il credente afferma un Essere supremo come latore di senso ultimo di tutto
l'esistente. Affermazione tanto ragionevole, almeno quanto la sua negazione o la
semplice a-gnosis. È il salto al trascendente che implica affermazione e
impegno, conoscenza e opzione di vita, e che costituisce propriamente l'atto di
fede (Dio sarebbe l'unico "oggetto" della fede, a parte che, in più,
ci avrebbe inviato un messaggio o rivelazione; ma bisognerebbe provare
tassativamente che questo non è invenzione umana. Crediamo in Dio, non a Dio).
Affermando Dio, ogni idea religiosa successiva gravita e dipende per intero dal
modo di intendere la relazione attiva e reattiva fra noi e lui. Ogni teodicea o
teologia è variazione di questa unica frase melodica. Ma, attenzione!, questa
relazione è qualcosa di inedito per la nostra conoscenza che sa solo di
relazioni tra realtà esistenti senza tener conto delle cose soprannaturali.
Questo ci obbliga alla massima precauzione. Non sarà che, in effetti,
comprendiamo la relazione tra l'Increato e il creato secondo i modi abituali di
pensare, facendo cioè Dio "a nostra immagine e somiglianza"? Perché
in questo stesso istante ci avremmo colato dentro quello che chiamo pensiero
magico. In che consiste questo? Mi dispiace limitare questo tema di ambito
propriamente metafisico - al quale Kant, malgrado il suo genio, ci ha
disabituato - ad alcune considerazioni più accessibili sebbene riduttrici.
Sicché dirò semplicemente: l'aspetto magico del pensiero consiste nel fare di
Dio una causa, un attore in più - il più potente, senza dubbio -, ma uno in più,
immerso nel cosmo e che agisce come una causa intramondana agisce su un'altra.
Vulcano lancia la lava attraverso il vulcano; Dio corregge l'orbita di Giove o
supplisce l'azione di un antibiotico e sana un tubercoloso; o separa le acque
del Mar Rosso o ferma il sole secondo il volere di Giosuè. È pura magia
addossare a Dio azioni o interventi al margine delle leggi create da lui. Una
volta che l'Illuminismo ha affermato l'autonomia della realtà, non possiamo
tornare indietro accettando un interventismo divino. Se non vogliamo usare una
maggiore perspicacia metafisica, fermiamoci alla seguente antitesi: nella misura
in cui c'è autonomia non esiste interventismo.
Sorge una difficoltà: con la tesi "autonomia sì, interventismo no",
abbiamo inaugurato un processo di "secolarizzazione" che sbocca
nell'assenza totale di Dio e, da lì, nella sua morte o negazione? Senza dubbio,
è stato l'itinerario di molti pensatori moderni (teismo e morte di Dio). Ma
l'equilibrio non è nell'affermare un Dio provvidente a costo dell'autonomia
dell'essere come fa la posizione arcaica e magica del religioso.
Riconosciamo che l'essere più profondo della realtà, anche semplicemente
umana, non ci è pienamente trasparente, è segreto e misterioso. Niente di
strano che lo sia la sua relazione con Dio, supposta la sua esistenza, in quanto
totalmente Altro. Per questo è limitata la nostra possibilità di metafisica.
Alcuni hanno avvertito che possiamo dire di Dio solo ciò che non è e
avventurarci appena oltre in forma di paradosso, come dialettica di equilibrio
fra due estremi opposti. Nel tema di oggi, il paradosso consiste nell'affermare
che la dipendenza dal Dio creatore non nega ma fonda precisamente l'autonomia
del creato. Nella formulazione più accessibile, affermiamo simulatamente due
opposti: Dio presente e Dio assente. Tanto presente che senza di lui la realtà,
carente di humus, si dissolve nel nulla. Tanto assente che il nostro
essere autonomi, fatta sempre salva la dipendenza ontologica, è quello che si
costruisce da sé ed è responsabile della storia.
Dio presente
Dio non crea il cosmo come l'orologiaio che, fatta la sua opera, la mette da
parte. Dio non lancia la realtà all'esistenza per abbandonarla alla sua sorte e
disinteressarsi di essa. Dio la crea e seguita a sostenerla nel suo essere,
senza la qual cosa essa cesserebbe di esistere. Come il feto che, tagliato il
cordone ombelicale, morirebbe. O come il prisma di cristallo che non potrebbe
esistere senza il fascio di luce che lo attraversa. Sono povere metafore che
suggeriscono fino a che grado di profondità Dio sia il sostegno. Dio è il
sostegno del nostro essere non come qualcosa di esterno, ma come facendolo
permanentemente emergere da lui all'esistenza. Per questo dobbiamo parlare della
massima vicinanza e presenza immaginabili. O di Dio come dono totale e
irreversibile di sé. Dono totale perché qualsiasi limitazione proviene solo
dal recettore. Solo il recettore è misura del dono. A partire da Dio nulla si
può aggiungere. Nessuna presenza o intervento posteriore (sovrannaturali) hanno
senso perché niente può essere aggiunto al dono totale. Con questa intuizione
svaniscono tutte le presenze e tutti gli interventi divini della teologia
tradizionale. Dio quando si impegna nell'atto creatore si manifesta limitato
dalla creatura che lo riceve. Il dispiegarsi di Dio in essa, nel suo divenire,
dipende dalla misura e dal modo che le leggi naturali e la libertà consentono.
Non c'è posto per nessun impegno di privilegio da parte di Dio.
Dio assente
Sì, però… Appena affermata la dipendenza originaria della creatura,
aggiungiamo immediatamente il polo opposto della sua autonomia. Allo stesso
emergere dell'essere, Dio gli conferisce il divenire perché l'essere non è
stasi, ma stretta evoluzione: panta rei, diceva il filosofo, tutto scorre
e tutto è scorrere. Un fluire o evoluzione che non dobbiamo immaginare come una
successione di incessanti ritocchi o interventi del dito divino. Appena
affermata la massima presenza divina nell'evoluzione, completiamo il paradosso
che rispetta il mistero, affermando la massima assenza di Dio. È puro
antropomorfismo immaginare che, a volte, qualcosa manchi o sia sbagliata o
riuscita male che Dio poi debba completare, modificare o correggere. O che
possiamo influire sulla sua volontà con la preghiera come se non ci avesse dato
tutto con l'essere, alla radice. L'autonomia in virtù del dono totale di Dio
rende innecessario qualsiasi intervento posteriore. L'essere si dispiega dal
momento dell'atto creatore come il grano dal chicco che racchiude in sé,
autonomamente, tutto il suo splendente futuro. La metafora non è metafisica, ma
giunge al profondo. In una parola, affermare che Dio è il sostrato permanente
dell'essere significa negare interventi posteriori nel divenire. Questo
interventismo ha un nome: azione magica.
Arrivati a questo punto, si sente una certa impotenza, quella di comunicare una
percezione profonda, l'impotenza di introdurre il pensiero corrente, afferrato
ai sensi, nel crogiolo metafisico per purificarlo dalla scoria magica che gli è
connaturale. Se la nostra mente non si distacca dal sensibile quotidiano, rimane
piatta e aderente al suolo. Ma tutt'a un tratto può brillare l'intuizione come
quando diciamo: ora cado! Questo "clic" mentale, o la sua assenza, dà
luogo a due linee di pensiero, due cosmovisioni inconciliabili, due paradigmi
teologici. Per fortuna, neanche in questo ci giochiamo la verità di cui siamo
capaci. L'essenziale, lo vedremo, è da un'altra parte.
La mistica è la metafisica del cuore: "solitudine sonora"
Non nego la difficoltà di "addentare" la metafisica. Tuttavia non è
qualcosa di inaccessibile perché appartiene all'esperienza religiosa vitale
profonda, come appare nell'espressione dei grandi mistici di qualsiasi religione
o nell'esperienza di vita di qualsiasi credente serio.
Come si manifesta nella vita concreta questa dialettica, questo paradosso del
Dio massimo dono e presenza e, simultaneamente, grande silenzioso e assente…?
Chi ha fatto, in qualche modo, anche debolmente, l'esperienza del Dio
indicibile, come i mistici, finisce col balbettare. Giovanni della Croce:
l'amato "per questi boschi passò con passo svelto e, guardandoli, con il
solo suo aspetto li lasciò presi della sua grazia". Agostino di Ippona
diceva: Dio è la realtà più profonda della mia stessa intimità (intimior
intimo meo). Ignazio di Loyola afferma così il paradosso: "confidiamo
in Dio come se tutto dipendesse da lui ma agiamo come se tutto dipendesse da
noi". Cosa ci dicono questi e altri contrasti? Che il binomio Dio-cosmo o
Dio-essere umano si può esprimere solo dialetticamente. Affermando una cosa e
il suo contrario: "solitudine sonora" (Giovanni della Croce), Dio
presente e assente. (Con minor forza e rilievo è, per i più, l'esperienza di
ogni vita credente autentica). Gli autori spirituali hanno parlato sempre di
momenti di consolazione e di sconforto, da non confondere con il sentimento e
l'emozione religiosa, cioè con il movimento neuronale e meno ancora con stati
maniaco-depressivi.
Diciamo che la fede è la scommessa ragionevole nel senso della convinzione che
l'essere perde la sua intellegibilità ultima, cioè sprofonda, si perde,
svanisce nella sua densità più profonda come essere se non è radicato nel
divino.
Dio è la massima presenza, il dono totale, la vita vivificante, la roccia della
nostra solidità, la luce illuminante, la forza che da dentro ci spinge a
crescere… Non ha bisogno di intervenire da fuori chi sostiene la radice
dell'essere. Né ha motivo di intervenire nelle leggi che presiedono allo
sviluppo chi lo ha creato come gravido di sé.
Fiducia e solitudine
Con queste affermazioni esprimiamo la fede come salto verso la trascendenza.
Questo ci permette di collocare la nostra intera vita all'interno di un senso e
in cammino verso una maggiore pienezza. Ma non ci offre nessuna evidenza, non
aggiunge nessuna nuova luce, nessuna conoscenza supplementare. Al contrario.
Quello che immediatamente appare nel campo della coscienza è il contrasto tra
la solida fiducia proveniente dalla scommessa interiore sul Dio nel quale
confidiamo e la tempesta e la solitudine nelle quali ricadiamo, che non ci
preservano dal dubbio né dalla "notte oscura" (e questa esperienza
paradossale si accentua, semmai, quando ci purifichiamo dal supporto magico dei
nostri modelli religiosi classici). Nel cristianesimo - come nelle religioni
cosiddette rivelate - abbiamo confuso l'intima e feconda, per quanto silenziosa,
presenza del totalmente Altro con questa "storia sacra" come catena
ininterrotta di interventi dall'alto che sono solo metafore. Gli apostoli, dopo
il fallimento della croce, fecero l'esperienza interiore del resuscitato, ma
riuscirono ad esprimerla mediante racconti di apparizioni sensibili. Teresa di
Lisieux fece l'esperienza interiore del fuoco dell'amore e la espresse mediante
il dardo del trafiggimento. Mosè si commosse per le pene dei suoi concittadini
e tradusse questo come ordine di liberazione venuto da Dio. Dio non lo si
percepisce con i sensi né con l'intelletto, sebbene per nominarlo ricorriamo ad
essi, cioè alla metafora, quando la riflessione metafisica ci risulta troppo
opaca o lontana. In una parola, il pensiero illuminista ha aperto il cammino al
superamento del magico e, con questo, alla comprensione
"secolarizzata" della storia sacra e della provvidenza divina.
Orbene, quanti hanno lavorato alla decostruzione del vecchio paradigma religioso
percepiscono con molta maggiore intensità il contrasto tra il Dio presente e il
Dio assente. Abbiamo interpretato la presenza di Dio convertendola in un Dio
interventista, attore principale nella storia. Senza dubbio egli è il più
immanente della storia ma in modo trascendente e non categoriale, direbbero i
teologi. Egli è il totalmente Altro. Abbiamo sostituito Dio con un feticcio a
nostra immagine. Di ciò si sono nutriti precisamente l'agnosticismo e
l'ateismo: di fronte all'irruzione della ragione e del senso comune nella crisi
della modernità, la religione è diventata una fabbrica di atei. È o non è un
pericolo massimo credere in Dio intendendolo al vecchio modo?).
Alcuni hanno iniziato l'itinerario del nuovo paradigma religioso. Cosa
constatano? E noi, cosa percepiamo in loro? Un doppio sentimento
contraddittorio. Da un lato, avvertono come una liberazione interiore, un
alleggerimento dell'anima di fronte ad una divinità più affidabile: "lo
sentivo, dicono, che le cose non potevano essere come ce le hanno
raccontate". Dall'altro lato, sentono come una destabilizzazione, un vuoto
a causa della caduta degli schemi dell'infanzia. È come chi rientra nel vecchio
tempio e non trova le immagini familiari perché sono state fatte scomparire. Ad
alcuni la liberazione produce vertigine e paura. Allo svanire delle vecchie
rappresentazioni di Dio temono di rimanere senza di lui. Credono che gli muore
Dio perché non sopportano la sua assenza.
Dio, appena lo percepiamo, nella nostra vita, come il grande
"presente", come il "tesoro nascosto" unico,
imprescindibile, tutt'a un tratto si occulta, si nasconde, scompare dalla nostra
vista e ci sentiamo abbandonati. Soprattutto in situazioni di difficoltà e di
sofferenza, Dio non interviene per toglierci le castagne dal fuoco,
assolutamente mai. E, siccome ci assale costantemente la tentazione di ritrovare
la magia del passato, dovremo scoprire che, ancorati con la fede alla rocca di
Dio, dobbiamo vivere "come se Dio non esistesse" (ut si Deus non
daretur), come se tutto dipendesse esclusivamente da noi. Il superamento
della magia ci restituisce alla verità sebbene non ci risparmi il dubbio e la
opacità dolorosi della "notte oscura". Peraltro, la prima comunità
di seguaci di Gesù percepì il momento decisivo del suo itinerario spirituale
(il fallimento della sua morte) come assenza dolorosa di Dio: "La mia anima
si strugge fino a morire", "Allontana da me questo calice…",
"Dio mio, perché mi hai abbandonato?". L'assenza e l'abbandono di Dio
è parte integrante dell'esperienza credente.
Conclusione
È ora di concludere. Come vedete, mi sono limitato a un solo aspetto: è
pericoloso credere in un Dio a nostra immagine, un Dio onnipotente con la cui
verità sopprimiamo il dissidente e mediante i cui interventi magici costruiamo
la storia. È decisivo scartare quello che Dio non è, ma questo non è tutto
(non garantisce che viviamo bene la nostra relazione con Dio). Ho già rilevato
che l'Occidente cristiano ha vissuto obnubilato dalla ortodossia. Per tre quarti
gli anatemi lanciati dall'autorità furono contro presunti tradimenti del dogma
piuttosto che delle beatitudini. Ebbene, il vangelo è inequivoco: non saremo
giudicati in base alla fede ma in base al pane che neghiamo al fratello (Mt
25) (etica samaritana). Perché allarmarci per la crisi delle credenze e delle
teologie? La verità e l'autenticità della religione non riposano nello
scommettere tutte le carte su di essa - esisteranno sempre differenti religioni,
il cristianesimo non sarà mai universale - ma nel compito di umanizzare, nella
costruzione del Regno. Noi contribuiremo con l'esperienza e la testimonianza
geniali di Gesù. Altri porteranno altre testimonianze. Tutti dovremo
purificarci della parte dei nostri errori e delle nostre prepotenze. Ma tutti,
credenti e non, possiamo darci la mano in un compito comune, la solidarietà
samaritana, che oggi è indifferibile perché ci sanguinano l'umanità e la
madre terra.
da ADISTA n°49 - 10.7.2004