Chi
comanda all’ombra di Giovanni Paolo II
il
quadrilatero vaticano Ratzinger,
Sodano, Dziwisz, Herranz. Ma non solo. Il chi è dei reali poteri nella
curia romana. Chi scende. Chi sale. Con l’attuale papa e con il suo futuro
successore
Domenica
17 ottobre, primo giorno del ventisettesimo anno di pontificato di Giovanni
Paolo II, in tutte le chiese cattoliche del mondo si è letto il brano
dell’Esodo nel quale a Mosé, “sempre più stanco”, Aronne e Cur tengono
sollevate le braccia.
Che
Karol Wojtyla sia un nuovo Mosé, è similitudine che dà il titolo a una sua
biografia, da lui particolarmente apprezzata. Che egli sia esausto nel corpo, è
sotto gli occhi di tutti.
Meno
noto è chi siano gli Aronne ed i Cur che in Vaticano lo affiancano, gli tengono
alte le braccia, governano la Chiesa con lui o – c’è chi teme – al suo
posto.
Il
papa, anzitutto. Il Parkinson che lo affligge non è malattia mortale, ma lo
rende sempre più infermo, da ultimo anche nella parola. Giovanni Paolo II non
celebra più le liturgie pubbliche in prima persona. Le presiede, vi assiste in
silenzio: “come i patriarchi già fanno nelle Chiese d’Oriente”, minimizza
il regista delle cerimonie pontificie, l’arcivescovo Piero Marini. Anche le
omelie, i discorsi, i messaggi sono letti sempre più spesso al posto del papa
dall’arcivescovo argentino Leonardo Sandri, suo “sostituto” di nome (perché
questo è il suo ruolo in segreteria di stato) e più ancora di fatto.
Giovanni
Paolo II non si rassegna. In pubblico continua a voler parlare, in alcuni giorni
gli riesce, in altri no, le parole gli escono indistinte tra respiri affannati.
E in privato è lo stesso. Il papa continua a ricevere in udienza cardinali,
vescovi, capi di stato, ambasciatori. Parla e risponde a loro in più lingue.
Gli interlocutori annuiscono, ringraziano, ma poi usciti confidano di non aver
compreso quasi nulla. Soltanto in lingua polacca il discorrere funziona un poco
di più. Stanislaw Dziwisz, suo segretario personale da molti decenni, l’uomo
che dorme nella stanza di fianco alla sua, l’inseparabile, è colui che in
Vaticano detiene le chiavi, sempre più in esclusiva, delle parole autentiche di
papa Wojtyla.
Per
il grande pubblico, la coreografia è sempre la stessa, da campione vincente. A
festeggiare il suo ventiseiesimo compleanno da papa è arrivato da Mosca il coro
dell’Armata Russa, l’ex Rossa dell’ex impero del male. Luca Cordero di
Montezemolo gli ha promesso in regalo una Ferrari Formula Uno che farà bella
mostra di sé nei Musei Vaticani. Joaquín Navarro-Valls, il suo portavoce, ha
lanciato la stagione del papa scrittore di successo. Tre libri negli ultimi sei
mesi: il primo, a maggio, un’autobiografia degli anni d’episcopato a
Cracovia; il secondo una raccolta di poesie giovanili; il terzo, annunciato, una
riflessione filosofica e teologica sul Novecento. Non importa che molte copie
del primo libro siano rimaste in magazzino e negli Stati Uniti ne siano state
vendute a mala pena diecimila.
Dietro
la facciata, la realtà è meno lineare. Mesi fa, Navarro ammise che il papa ha
difficoltà di scrittura con le sue mani tremanti, ma a questo “egli rimedia
dettando a voce le sue istruzioni, e così fa più cose in meno tempo”. Alla
scrittura, libri compresi, sopperiscono stuoli di scrivani in primo luogo
polacchi. Ma ora che anche la parola viene meno, le istruzioni arrivano a chi
dovrebbe eseguirle, invece che direttamente dal papa, dalla voce dei suoi
fiduciari strettissimi, i soli che hanno l’autorità per dire: “Il papa lo
vuole”, senza controprova alcuna. Uno su tutti l’arcivescovo Dziwisz.
Gli
storici della Chiesa contemporanea non conoscono segretari di papa che abbiano
avuto un peso così smisurato. Dziwisz è l’eminenza grigia della cerchia che
governa la Chiesa all’ombra di papa Wojtyla. Nell’organigramma vaticano
figura come prefetto aggiunto della Casa Pontificia, il cui prefetto è
l’americano James Michael Harvey. Nel 2003 il papa l’ha promosso arcivescovo
di una diocesi inesistente, quella di San Leone in Calabria. Si sussurra anche
che l’abbia fatto cardinale in pectore, cioè in segreto.
Insomma,
Dziwisz non ricopre nessuna carica di rilievo, ma nonostante ciò – per fare
un esempio – la lista dei nuovi cardinali creati nell’ultimo concistoro, nel
2003, è passata da lui per la messa a punto finale.
È
lui, assieme al fedelissimo Sandri – che in qualità di sostituto ha il
privilegio unico di accedere al papa quasi ogni giorno –, a decidere il
quando, il quanto e il come delle apparizioni papali, col cerimoniere Marini in
subordine.
È
sempre lui, Dziwisz, il primo a scattare fulmineo in difesa di Giovanni Paolo II
“papa fino a quando Dio lo vorrà”, ogni volta che in curia o fuori qualcuno
riaffaccia l’ipotesi di sue dimissioni. L’ultimo è stato il cardinale Jorge
María Mejía, che aveva fatto leva proprio sulla perdita della parola da parte
del papa regnante: “Un muto non può celebrare la messa”. Il penultimo fu
nientemeno che il cardinale Joseph Ratzinger, che poi però ritrattò. A
colloquio con Dziwisz si seppe che “era scoppiato a piangere” all’idea
d’essere stato frainteso.
Ratzinger
è prefetto della congregazione per la dottrina della fede, supremo custode del
dogma. E anch’egli esercita un potere che non ha precedenti nella storia.
Prima di lui i capi del Sant’Uffizio rispondevano a quesiti su singoli casi
dottrinali, inquisivano i teologi fuori linea. Ratzinger fa questo e molto di più.
Emette documenti dottrinali che spettano di regola al papa. Scrive encicliche,
cioè lettere circolari ai vescovi di tutto il mondo, altra tipica prerogativa
papale: ultima, l’estate scorsa, quella sul rapporto tra uomo e donna.
Il
pronunciamento dogmatico più clamoroso a firma di Ratzinger è stata la
dichiarazione “Dominus Iesus” del 6 agosto 2000, sulla fede in Cristo come
unica, insostituibile via di salvezza per ciascun uomo. Scatenò una tempesta di
critiche anche da parte di cardinali e arcivescovi di gran nome, da Carlo Maria
Martini a Edward Cassidy, da Karl Lehmann a Walter Kasper, convinti che il papa
sarebbe poi intervenuto a smussare e mediare. Avvenne il contrario. Giovanni
Paolo II coprì integralmente Ratzinger con la sua autorità. Disse che la
“Dominus Iesus” era stata da lui “voluta e approvata in forma speciale”.
Da
allora il potere di Ratzinger è stato in costante crescendo. Quando nel 2002
compì 75 anni, invece che congedarlo il papa lo riconfermò senza limiti di
tempo. Non solo. A dispetto dell’età, Ratzinger è ultimamente balzato in
testa ai papabili. Sono decine, in Vaticano e fuori, i cardinali che lo
voterebbero al primo scrutinio, in un futuro non lontano conclave. Qualcuno
guarda a lui come se fosse già il vero papa di fatto, roccioso difensore della
fede in una Chiesa sotto l’attacco della modernità.
Un
altro cardinale di curia che ha superato i limiti d’età ma del quale Giovanni
Paolo II non si vuole privare è Angelo Sodano, il segretario di stato.
Se
Ratzinger è Aronne, Sodano è Cur. All’uno la custodia della retta dottrina,
all’altro il governo del corpo della Chiesa. Del governo ordinario papa
Wojtyla s’è sempre disinteressato, gli basta che sia in mani fidate. E Sodano
ha tutto il potere che gli viene da questa delega. Si sono riaccese più volte
le voci di una sua sostituzione: l’ultima volta da parte del cardinale
Crescenzio Sepe, prefetto della congregazione “De Propaganda Fide”. Sodano
le ha messe a tacere invitando i magnati di curia a una messa da lui celebrata
in Cappella Sistina, lo scorso 2 ottobre, festa degli Angeli Custodi e suo
giorno onomastico. Ha concluso l’omelia dicendo che resterà “sempre con le
mani all’aratro finché il Signore vorrà”. Sui presenti incombevano le
quattro pareti che racchiuderanno il futuro conclave, e il Giudizio di
Michelangelo.
Altri
big della Chiesa, in passato influentissimi, oggi figurano in seconda fila. Per
varie ragioni: non ultima la sopravvenuta loro difficoltà di raggiungere il
papa e avere con lui colloqui diretti, a tu per tu. Il cardinale Giovanni
Battista Re continua a dirigere la potente congregazione per i vescovi, ma si
limita ad andare a pranzo da Giovanni Paolo II, che ha immancabilmente Dziwisz
al fianco, un sabato sì e uno no: al caffé gli sottopone la lista delle
nomine, se le fa autorizzare e si congeda. Un altro è il cardinale Camillo
Ruini. Per Roma e l’Italia continua a essere il plenipotenziario del papa, ma
in Vaticano conta di meno.
Un cardinale che pesa sempre di più è invece Julián Herranz Casado, membro dell’Opus Dei. Ferratissimo come canonista, presidente del pontificio consiglio per i testi legislativi, si è aggiunto al governo ombra di Ratzinger, Sodano e Dziwisz facendo la parte sia di ministro della giustizia che di corte suprema. Con Giovanni Paolo II ha un rapporto di routine. Ma del papa futuro potrebbe essere il kingmaker, il primo grande elettore. A intervalli, nella blindatissima villa che l’Opus Dei possiede nella campagna romana, in località Grottarossa, Herranz convoca riunioni di cardinali accuratamente selezionati anche, nell’età. Mai con più di 80 anni, inabilitati a entrare in conclave