Procreazione medicalmente assistita

Che si tratti di un argomento difficile e spinoso è testimoniato dall’ampio e talvolta “infuocato” dibattito sui media che ha accompagnato l’iter della legge e dalla spaccatura trasversale che si è verificata in Parlamento dove si sono formati due fronti contrapposti, uno laico e uno di ispirazione cattolica, all’interno di ciascuno degli schieramenti politici.

Che una regolamentazione in materia fosse necessaria è altrettanto vero: negli ultimi anni, i grandi progressi raggiunti in campo medico avevano consentito le più svariate risposte ai problemi della sterilità e gli unici confini erano rappresentati dal “buon senso” e “dall’etica personale” dei singoli medici chiamati a risolvere il problema.

D’altro canto qualsiasi  legge che affronti problematiche scientifiche con forti implicazioni etiche, deve fare i conti con le inarrestabili spinte al progresso scientifico, con  il rispetto della libertà individuale dei cittadini e con i principi etici ispiratori della cultura e del costume di un popolo.

Nella nostra legge è stato molto importante il condizionamento della chiesa cattolica che, con le parole del Pontefice, considera una “colpa” il fatto che la coppia si “attribuisca un potere che appartiene solo a Dio; il potere di decidere in ultima istanza la venuta all’esistenza di una persona umana”.

E la domanda è questa: ciò che la Chiesa considera “peccato” deve essere considerato “reato” da una legge dello Stato? Se questo avvenisse, cancellerebbe il principio di laicità della nostra legislazione che era stato, invece, preservato per la legge sul divorzio del 1970 e per la legge sull’aborto del 1978.

La legge approvata dalla Camera dei Deputati prevede, all’articolo 5, che le tecniche di procreazione assistita possano essere applicate solo quando vi sia la sterilità accertata in “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi” e vieta il ricorso alla “fecondazione eterologa”, cioè con l’utilizzo di spermatozoi o cellule uovo di un soggetto esterno alla coppia.

Questi limiti previsti dalla legge hanno suscitato vivaci proteste da parte delle associazioni di gay e  lesbiche, ma anche dei movimenti femminili per l’impossibilità di esercitare il diritto alla maternità e alla paternità al di fuori di una condizione di coppia eterosessuale stabile.

Ma vi  è un altro punto sul quale si è scatenata la reazione delle donne: il divieto alla crioconservazione degli embrioni e l’impossibilità di creare un numero superiore a tre di embrioni che devono essere tutti utilizzati in un unico e contemporaneo impianto (articolo 14).

Per meglio capire il peso in termini di salute della donna di questa norma, occorre spiegare che, per ottenere gli ovuli da fecondare in vitro, la donna deve sottoporsi ad una lunga trafila di esami, iniezioni ormonali per la stimolazione dell’ovaio, ecografie per valutare la maturazione degli ovociti e ad un intervento per il prelievo degli ovociti dall’ovaio che vengono poi posti in provetta insieme agli spermatozoi per la fecondazione in vitro.

Il giorno successivo si controlla se si sono formati gli embrioni che vengono mantenuti in un incubatore per alcuni giorni fino al loro trasferimento nell’utero. Due settimane dopo il trasferimento degli embrioni, in genere al massimo tre, è possibile effettuare un test di gravidanza per conoscere il risultato del trattamento e in seguito un’ecografia per verificare quanti embrioni si sono impiantati.

La probabilità di gravidanza, in genere, è di circa il 30% per ogni tentativo.

Prima di questa legge, e ancora attualmente in altri paesi con diversa legislatura, era possibile creare un numero maggiore di embrioni per ogni ciclo di trattamento e congelarne una parte da utilizzare in successivi tentativi.

Con le limitazioni imposte da questa legge, il ciclo di trattamento deve essere ripetuto ogni volta da capo con grande impegno, anche in termini di effetti collaterali delle cure ormonali, per le donne.

La ricerca scientifica ha reso possibile, da alcuni anni, di valutare, sugli embrioni fecondati in vitro, il patrimonio genetico al fine di individuare gravi patologie e consentire alla coppia la scelta sull’impianto o meno degli embrioni malati.

L’attuale legge vieta “ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni” (articolo 13) e prevede (articolo 14, comma 5) che i genitori siano informati, se lo desiderano, sullo stato di salute degli embrioni prodotti che devono comunque essere trasferiti in utero, anche se malati. La donna potrebbe successivamente far ricorso alla legge 194 per interrompere la gravidanza.

Tutto ciò deriva dal fatto che questa legge è improntata al principio (affermato all’art.1) di assicurare “i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”: si stabilisce, cioè, che l’embrione è un soggetto giuridico e si  istituisce (articolo 11, comma 1) il registro nazionale degli embrioni. In altre parole, questa norma mette la “vita in potenza” davanti e sopra a quella reale della madre.

Ma il dibattito suscitato dal problema non si è chiuso con l’approvazione di questa legge considerata da molti “crudele”, “burqua”, “talebana”, “assurda”, “vergognosa”...  E’ già stata annunciata una raccolta di firme per un referendum abrogativo con l’appoggio di scienziati prestigiosi quali  Rita  Levi  Montalcini, Renato Dulbecco, Umberto Veronesi.

La proposta referendaria prevede di ripristinare:

- la fecondazione eterologa;

- la possibilità di creare più di tre embrioni in vitro;

- la crioconservazione degli embrioni;

- la possibilità di selezionare gli embrioni sani dopo diagnosi pre-impianto sull’embrione in vitro;

- la clonazione a fini terapeutici.

La proposta prevede di eliminare:

- il riferimento all’embrione come “soggetto giuridico”;

- la necessità della condizione di sterilità accertata per il ricorso alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita;

- la settimana di attesa tra la richiesta e l’applicazione delle tecniche.

Le grandi conquiste della medicina hanno ingenerato nelle persone la consapevolezza che possono essere raggiunti traguardi o obiettivi medici fino ad un recente passato impensabili. Per restare nel nostro campo, per esempio, una donna non più in età fertile potrebbe richiedere un intervento di Procreazione Medicalmente Assistita per realizzare il desiderio di avere un figlio con un nuovo partner. La valorizzazione dei diritti della persona nell’ambito della salute, già previsti dalla Costituzione Italiana, ha condotto ad un incremento della domanda in campo sanitario finalizzata ad una ottimale qualità della vita, ma anche al soddisfacimento di desideri (vedasi, per esempio, l’aumento di richiesta di interventi di chirurgia plastica). Il medico non si limita più a risolvere un problema di malattia, ma interviene anche per promuovere il benessere psico-fisico del proprio assistito. Tale mutamento di indirizzo della medicina è stato ben sintetizzato nell’espressione “Medicina dei desideri” che ha integrato ed in alcuni casi sostituito quella tradizionale di “Medicina dei bisogni”.

Questa nuova concezione dell’atto medico è particolarmente attinente al tema della Procreazione Medicalmente Assistita  dove, pur salvaguardando i diritti della persona, il medico ha il dovere di garantire la salute del paziente, adottando il trattamento sanitario che garantisce il massimo del beneficio con il minimo del rischio, secondo il principio di proporzionalità della cura. E’ importante, in altre parole, valutare attentamente, insieme alla coppia, l’opportunità della terapia, ma anche considerare che i cicli ripetuti di stimolazione ormonale necessari, in conseguenza del divieto di crioconservazione degli embrioni, non rappresentano sicuramente il trattamento sanitario che garantisce il massimo del beneficio con il minimo del rischio.

Mi sembra importante, per concludere questi spunti di riflessione, riportare un passaggio di un documento della Associazione Donne Giuriste: “sappiamo che la definizione di regole attorno alla procreazione non può prescindere dalla condivisione; l’esperienza degli anni in cui l’aborto era reato dimostra che se  la regola imposta dallo Stato non corrisponde alla speciale competenza femminile quella regola sarà disattesa”. Ed è facile immaginare che molte coppie (le più abbienti, naturalmente) aggireranno la severità della legge facendo ricorso ai centri specializzati di altri paesi europei con diversa legislazione come un tempo avveniva per l’aborto, con l’aggravante che ottenere una gravidanza sarà assai più lungo, complicato e costoso.

Cecilia Tibaldi (Viottoli n°1/04, 22 aprile 2004, pag. 40)