La
Chiesa cattolica ha cercato di fare in questi giorni un passo in avanti
affermando che anche i disabili hanno diritto alla realizzazione dei loro
sentimenti affettivi ed alla loro sessualità. Lo ha dichiarato Giovanni Paolo
II al simposio di giovedì 8 gennaio 2004 su "Handicap e vita
religiosa", promosso dalla Congregazione vaticana per la dottrina della
fede.
"Particolare cura" scrive il Pontefice, "merita la realtà delle
dimensioni affettive e sessuali della persona handicappata che, come chiunque
altro, ha bisogno di amare e di essere amata", ma si ritrova "queste
legittime e naturali esigenze in una condizione di svantaggio".
Dobbiamo dare atto che non è la solita esortazione untuosa e pia del tipo
"preghiamo per i nostri fratelli e le nostre sorelle portatrici di handicap
perché offrano le loro rinunce e le loro sofferenze al Signore". I
disabili hanno gli stessi diritti umani delle persone sane. Del resto, se
l'embrione è persona umana, tanto più lo è l'handicappato!
Domanda: il prete è una persona umana? Quando si incomincia a parlare di
diritti umani si sa da dove si inizia ma non si sa dove si finirà. Per esempio,
gli omosessuali rientrano nell'inciso "come chiunque altro"?
I papi sono adusi a fare e disfare le loro leggi secondo i tempi. Adesso escono
dal ghetto dei diversi gli handicappati. Domani chi uscirà per primo:
l'omosessuale od il prete? Ricordo infatti altri tempi, quando io, minore di
dieci anni, sradicato dalla mia famiglia ricca di povertà e di disagi,
obbligato a vivere in un rigido seminario, allontanato da fratelli, sorelle, da
amici ed amiche, educato a rifuggire da ogni sentimento affettivo come
peccaminoso, in mezzo a compagni e preti esclusivamente maschi per quindici
anni, spinto alla paura e al disprezzo del mio stesso sesso, istruito a
rifuggire nel modo più assoluto la donna-tentazione del demonio, esposto al
pericolo costante di qualche monsignore di turno... Altri tempi direte voi!...
Purtroppo erano i miei ed ho avuto solo quelli. Adesso chi mi risarcisce?... Non
ho avuto da giovane né il calore dell'affettività né il piacere della
sessualità che, anche allora, se non sbaglio, erano doni di Dio, come predica
adesso Wojtyla ai disabili. Non lo sono anche per i preti o gli omosessuali?
Caro Karol, Gesù ne sa più di te ed ha scelto il primo papa, Pietro, sposato,
e su quella Pietra ha fondato la sua Vera Chiesa. Gesù insegna con i fatti. Il
celibato obbligatorio è una legge papale del 1139, quando papa Innocenzo II
ebbe la "felice" idea che i preti crociati in Palestina sarebbero
stati più liberi ed avrebbero avuto più tempo di fare la guerra ai musulmani,
senza la zavorra delle mogli e dei figli. "La
guerre c'est la guerre!".
Se oggi il papa dice ai portatori di handicap che "la dimensione
sessuale è una delle dimensioni costitutive della persona", non l'ha
ancora detto ai preti. Sì, c'era un monsignore nel mio seminario che mi parlava
di "tenerezza", di vicinanza e di intimità, ma mi diceva anche che
baciarsi tra uomini non era peccato.
La chiesa apre adesso ai disabili sul tema della sessualità. Ma perché
l'intento del papa è sempre quello di continuare ad aprire seminari per minori
in paesi di disagio, di disoccupazione e di embargo come a Salerno ed a Cuba
dove vengono tuttora rinchiusi i minori che usciranno sempre celibi
"legionari di Cristo"? Cos'è tutta questa nomenklatura militare da
impero romano ormai crollato da più di mille anni? E quali sono i plagi moderni
per avviare oggi i minori al celibato imposto?
Noi preti sposati siamo una quinta parte del clero, in Italia diecimila su
cinquantamila. Di questi ultimi celibi, molti, troppi, soddisfano la loro
esigenza di affettività e di sessualità con amori clandestini. Alcuni hanno
anche figli clandestini che non conoscono il padre e, quando lo conoscono, lo
chiamano zio. Anche per me, come per il disabile purtroppo (riprendo le parola
del papa) lo svantaggio "a vivere queste legittime e naturali
esigenze" è sempre diventato maggiore "col passaggio, dall'età
infantile a quella adulta", quando ricercando relazioni veramente
autentiche "nelle quali poter essere apprezzato", sentivo di non
essere riconosciuto come persona. Se io, infatti, sono entrato in seminario sano
all'età di dieci anni, certamente ne sono uscito a venticinque con degli
handicap affettivi e sessuali che i miei genitori non mi hanno per nulla
trasmesso. Di fronte ad una ragazza, da giovane prete, arrossivo e balbettavo
come un balbuziente.
Sono riuscito a disobbedire al papa solo a 48 anni, con rito civile, come
racconto nel mio libro autobiografico "Un prete sposato" (ed.
Frontiera, 2003, Milano), e questo lo dobbiamo anche alle nostre mogli, che,
nella Chiesa, ancora oggi non trovano posto se non per tacere.
Riporto parte della conclusione pontificia sui disabili al punto 5: "Le
esperienze compiute in alcune comunità cristiane hanno dimostrato che la
promozione di contatti amichevoli con persone adeguatamente preparate,
l'abitudine a incanalare le pulsioni e a sviluppare un sano senso del pudore
come rispetto della propria intimità personale... per far prendere coscienza
della propria capacità di ricevere e donare amore".
È una conclusione parolaia e teorica, che nella sovrabbondante terminologia
cattolica non dice forte e chiaro se anche l'handicappato può fare sesso.
La domanda di sempre al magistero papale resta identica. Se il sesso è dono di
Dio anche per il disabile, questo sesso gli serve esclusivamente per procreare?
E se questo è l'unico scopo del sesso per tutti, il portatore di handicap che
vuole figli, può sposarsi anche lui?
da ADISTA 24.1.2004