E LA SESSUALITÀ DEI PRETI?
di Antonio de Angelis prete sposato, dell'associazione "Vocatio"

La Chiesa cattolica ha cercato di fare in questi giorni un passo in avanti affermando che anche i disabili hanno diritto alla realizzazione dei loro sentimenti affettivi ed alla loro sessualità. Lo ha dichiarato Giovanni Paolo II al simposio di giovedì 8 gennaio 2004 su "Handicap e vita religiosa", promosso dalla Congregazione vaticana per la dottrina della fede.
"Particolare cura" scrive il Pontefice, "merita la realtà delle dimensioni affettive e sessuali della persona handicappata che, come chiunque altro, ha bisogno di amare e di essere amata", ma si ritrova "queste legittime e naturali esigenze in una condizione di svantaggio".
Dobbiamo dare atto che non è la solita esortazione untuosa e pia del tipo "preghiamo per i nostri fratelli e le nostre sorelle portatrici di handicap perché offrano le loro rinunce e le loro sofferenze al Signore". I disabili hanno gli stessi diritti umani delle persone sane. Del resto, se l'embrione è persona umana, tanto più lo è l'handicappato!
Domanda: il prete è una persona umana? Quando si incomincia a parlare di diritti umani si sa da dove si inizia ma non si sa dove si finirà. Per esempio, gli omosessuali rientrano nell'inciso "come chiunque altro"?
I papi sono adusi a fare e disfare le loro leggi secondo i tempi. Adesso escono dal ghetto dei diversi gli handicappati. Domani chi uscirà per primo: l'omosessuale od il prete? Ricordo infatti altri tempi, quando io, minore di dieci anni, sradicato dalla mia famiglia ricca di povertà e di disagi, obbligato a vivere in un rigido seminario, allontanato da fratelli, sorelle, da amici ed amiche, educato a rifuggire da ogni sentimento affettivo come peccaminoso, in mezzo a compagni e preti esclusivamente maschi per quindici anni, spinto alla paura e al disprezzo del mio stesso sesso, istruito a rifuggire nel modo più assoluto la donna-tentazione del demonio, esposto al pericolo costante di qualche monsignore di turno... Altri tempi direte voi!... Purtroppo erano i miei ed ho avuto solo quelli. Adesso chi mi risarcisce?... Non ho avuto da giovane né il calore dell'affettività né il piacere della sessualità che, anche allora, se non sbaglio, erano doni di Dio, come predica adesso Wojtyla ai disabili. Non lo sono anche per i preti o gli omosessuali?
Caro Karol, Gesù ne sa più di te ed ha scelto il primo papa, Pietro, sposato, e su quella Pietra ha fondato la sua Vera Chiesa. Gesù insegna con i fatti. Il celibato obbligatorio è una legge papale del 1139, quando papa Innocenzo II ebbe la "felice" idea che i preti crociati in Palestina sarebbero stati più liberi ed avrebbero avuto più tempo di fare la guerra ai musulmani, senza la zavorra delle mogli e dei figli. "La guerre c'est la guerre!".
Se oggi il papa dice ai portatori di handicap che "la dimensione sessuale è una delle dimensioni costitutive della persona", non l'ha ancora detto ai preti. Sì, c'era un monsignore nel mio seminario che mi parlava di "tenerezza", di vicinanza e di intimità, ma mi diceva anche che baciarsi tra uomini non era peccato.
La chiesa apre adesso ai disabili sul tema della sessualità. Ma perché l'intento del papa è sempre quello di continuare ad aprire seminari per minori in paesi di disagio, di disoccupazione e di embargo come a Salerno ed a Cuba dove vengono tuttora rinchiusi i minori che usciranno sempre celibi "legionari di Cristo"? Cos'è tutta questa nomenklatura militare da impero romano ormai crollato da più di mille anni? E quali sono i plagi moderni per avviare oggi i minori al celibato imposto?
Noi preti sposati siamo una quinta parte del clero, in Italia diecimila su cinquantamila. Di questi ultimi celibi, molti, troppi, soddisfano la loro esigenza di affettività e di sessualità con amori clandestini. Alcuni hanno anche figli clandestini che non conoscono il padre e, quando lo conoscono, lo chiamano zio. Anche per me, come per il disabile purtroppo (riprendo le parola del papa) lo svantaggio "a vivere queste legittime e naturali esigenze" è sempre diventato maggiore "col passaggio, dall'età infantile a quella adulta", quando ricercando relazioni veramente autentiche "nelle quali poter essere apprezzato", sentivo di non essere riconosciuto come persona. Se io, infatti, sono entrato in seminario sano all'età di dieci anni, certamente ne sono uscito a venticinque con degli handicap affettivi e sessuali che i miei genitori non mi hanno per nulla trasmesso. Di fronte ad una ragazza, da giovane prete, arrossivo e balbettavo come un balbuziente.
Sono riuscito a disobbedire al papa solo a 48 anni, con rito civile, come racconto nel mio libro autobiografico "Un prete sposato" (ed. Frontiera, 2003, Milano), e questo lo dobbiamo anche alle nostre mogli, che, nella Chiesa, ancora oggi non trovano posto se non per tacere.
Riporto parte della conclusione pontificia sui disabili al punto 5: "Le esperienze compiute in alcune comunità cristiane hanno dimostrato che la promozione di contatti amichevoli con persone adeguatamente preparate, l'abitudine a incanalare le pulsioni e a sviluppare un sano senso del pudore come rispetto della propria intimità personale... per far prendere coscienza della propria capacità di ricevere e donare amore".
È una conclusione parolaia e teorica, che nella sovrabbondante terminologia cattolica non dice forte e chiaro se anche l'handicappato può fare sesso.
La domanda di sempre al magistero papale resta identica. Se il sesso è dono di Dio anche per il disabile, questo sesso gli serve esclusivamente per procreare? E se questo è l'unico scopo del sesso per tutti, il portatore di handicap che vuole figli, può sposarsi anche lui?


da ADISTA 24.1.2004