OGNISSANTI
O LA FABBRICA DEI SANTI?
di
Franco Barbero
Il
teologo e psicoterapeuta Eugen Drewermann nel suo libro “Funzionari di Dio” descrive il modo e il processo
“produttivo” con cui la struttura cattolica “fabbrica i preti”, come li
forgia in modo da essere funzionali all’istituzione.
In
questi giorni guardo con molto rispetto, con grande sintonia e con profonda
emozione alle persone che pregano nel ricordo dei loro defunti e portano un
fiore sulle loro tombe. E’ come tenere viva la memoria di chi ci ha preceduto,
come ravvivare affetti e sentimenti. Per i credenti si tratta di alimentare la
fiducia in quel Dio che, come ci attestano le Scritture, vince anche la morte.
Peccato
che questo affidare all’amore accogliente di Dio i nostri “defunti” (=
coloro che hanno svolto il loro compito ed hanno esaurito il loro tempo) si sia
tradotto nella chiesa cattolica nella pratica del suffragio, come se la
“salvezza” fosse erogata dalla “rubinetteria ecclesiastica” a suon di
messe e di indulgenze.
Il
Dio di cui ci parla la Bibbia non ha bisogno di nessun suffragio e di nessun
sacrificio espiatorio. I defunti sono nelle mani di Dio e non c’è nessuna
chiesa, nessuna autorità, nessuno in assoluto che possa fare qualcosa. La
pratica del suffragio (che talvolta ha dato vita ad una industria del suffragio)
si basa su una presunta e presuntuosa estensione della potestà salvifica della
casta sacerdotale che oggettivamente evidenzia un delirio di onnipotenza.
Quando
fu inventato il Purgatorio (J. LE GOFF, La
nascita del Purgatorio, Einaudi), come terzo luogo intermedio e si strutturò
la teologia del suffragio e delle indulgenze, la gerarchia, non paga del potere
sull’aldiqua, occupò un nuovo territorio addirittura nell’aldilà.
“Ma
l’invenzione del Purgatorio non fu soltanto il risultato dell’evoluzione del
pensiero teologico, ma anche il prodotto di una delle più intelligenti strategie
politiche della Chiesa romana. Col Purgatorio la Chiesa giunse infatti ad
affermare il proprio diritto - sia pure parziale – sulle anime dei defunti.
Mentre in passato il destino ultraterreno degli uomini dipendeva soltanto dai
loro meriti individuali e dalla volontà di Dio, ora veniva a dipendere anche
dalla potestà della Chiesa di liberare, con l’aiuto di Dio, le loro anime dal
fuoco del Purgatorio, per poi avviarle in Paradiso. Dagli inizi del Trecento il
papato giunse così a disporre, attraverso il sistema delle indulgenze,
di un nuovo formidabile strumento di
pressione. Se prima la Chiesa poteva ricorrere, in casi estremi alla
minaccia dell’Inferno, con l’avvento del Purgatorio poteva utilizzare meglio
l’arma politica ed edificante dell’aldilà, graduando, a seconda delle
circostanze, le pene e i castighi” (V. Castronovo, Repubblica, 28 dicembre 1982).
La
festa di Ognissanti, aldilà di queste gabbie ideologiche, può lasciarci un
messaggio semplice: chi è credente (e forse non solo chi è credente) pensa ad
una “comunione” che non si rompe, ad una relazione che continua, ad un
“luogo” dove la famiglia umana si ricompone. Questa è anche la mia fede.
Ma
da alcuni anni è esplosa in Vaticano, accanto ad una devozione mariana
debordante, una vera santomania, cioè
la mania di “fare santi”... Insomma si è messa in piedi una macchina, la
Congregazione per le cause dei santi, che lavora a ritmo continuo: una vera e
propria fabbrica dei santi oltre alla fabbrica dei preti. In presenza di una
simile inflazione (papa Wojtyla da solo ha fatto più santi di tutti i suoi
predecessori messi insieme) nasce il sospetto che il “prodotto” spesso sia
scadente. Chi ce la fa a digerire rospi come Pio IX e Escrivà de Balaguér?
La
fabbrica dei santi segue due criteri
ben individuabili. Si innalzano alla “gloria degli altari” le persone che
sono state funzionali alle fortune
dell’istituzione ecclesiastica, ne hanno promosso l’immagine, il pensiero, i
dogmi, i poteri, il prestigio, il patrimonio e la penetrazione nelle istituzioni
laiche. Attorno a questi santi si organizza la devozione che sempre di più si
fa amica del denaro. Un “gran santo” in genere crea un buon mercato.
Spesso
la fabbrica dei santi percorre una strada diversa. Talune persone, che erano
persino malviste o condannate dall’autorità ecclesiastica, con il trascorrere
del tempo vengono “sagomate”, ritoccate e ridotte a misura di nicchia.
Il loro messaggio, spiritualizzato e debitamente smussato, permette la
riabilitazione e il recupero della persona. Fra qualche anno potrebbe toccare ad
Oscar Romero, il vescovo abbandonato dal Vaticano e poi assassinato. Spesso le
istituzioni indecenti si rifanno la faccia con persone pulite. Tante volte si
verifica ciò che scrive il Vangelo di
Matteo al capitolo 23, 29. Le chiese “edificano le tombe dei profeti e
adornano i monumenti funebri dei giusti” che hanno perseguitato e colpito a
morte in mille modi. Penso, per porgere un esempio recente, alla riabilitazione
di Rosmini.
I
segnali della riabilitazione del pensiero del teologo e filosofo roveretano
erano evidenti dal fatto che il papa già nella lettera enciclica Fides
et ratio annoverava il Rosmini tra i pensatori più recenti nei quali si
realizza un fecondo incontro tra sapere filosofico e parola di Dio. Se pensiamo
al fatto che nel 1849 vennero messi all’Indice
due suoi scritti, nel 1854 tutte le sue opere e nel 1887 vennero condannate
quaranta proposizioni, allora è chiaramente avvenuta una svolta straordinaria,
sia pure con quei linguaggi diplomatici che non riconoscono fino in fondo
l’abbaglio vaticano.
E
così la musica cambia. Rosmini viene visto nella luce di un audace profeta. La
Congregazione per la dottrina della fede, in data 1° luglio 2001, scrive: “Si
deve altresì affermare che l’impresa speculativa e intellettuale di Antonio
Rosmini, caratterizzata da grande audacia e coraggio, anche se non priva di una
certa rischiosa arditezza, specialmente in alcune formulazioni, nel tentativo di
offrire nuove opportunità alla dottrina cattolica in rapporto alle sfide del
pensiero moderno, si è svolta in un orizzonte ascetico e spirituale,
riconosciuto anche dai suoi più accaniti avversari, e ha trovato espressione
nelle opere che hanno accompagnato la fondazione dell’Istituto della carità e
quella delle Suore della divina Provvidenza”.
In
realtà queste sono storie vergognose e senza numero dove regnano opportunismo e
manipolazione. Come credente, io penso che uno solo è davvero “il Santo”,
cioè Dio. Semmai apprezzo molto il fatto che nelle chiese e nel mondo esistano
“persone paradigmatiche” che, con la loro vita, lanciano fasci di luce, di
calore, di fiducia, di amore.
Questa
è la preziosa e vasta nube di testimoni. Per me i “santi”, credenti o atei
o agnostici, sono tutte quelle donne e tutti quegli uomini che, nella loro
esistenza quotidiana, accendono nel mondo amore alla vita, passione per la
giustizia, lottano contro il pregiudizio e il non senso e costruiscono relazioni
nonviolente. Per nostra fortuna questi santi ogni giorno camminano per le nostre
strade, sono gente in carne ed ossa e non immaginette da altare. Di questa
“santità” possibile e quotidiana il mondo è tuttora molto ricco.
novembre
2005