E DIO IN TUTTO
CIÒ?
Leonardo Boff
Di fronte alle convulsioni della natura nel
Sud-est asiatico con milioni di vittime innocenti, non sono pochi quelli che,
angosciati, si domandano: e Dio in tutto questo? Egli non è buono e onnipotente
come annunciano le religioni? Se è onnipotente può tutto. Se può tutto perché
non ha evitato il maremoto? Se non lo ha evitato, è segno che o non è
onnipotente o non è buono. Come disse un poeta-cantante: se è per disfare,
perché fare?
Da quando l'essere umano ha colto la presenza di Dio nell'universo e nella sua
vita questa contraddizione rappresenta una ferita aperta. I teologi cristiani
hanno inventato la teodicea, cioè l'argomentazione che cerca di esentare Dio
dalle disgrazie del mondo e spiegare la sofferenza. E hanno fallito
completamente, perché spiegare la sofferenza non vuol dire metterle fine, così
come leggere le ricette culinarie non elimina la fame. Possiamo capire la rabbia
di Giobbe, eterno protestatario, contro tutti i suoi "amici" (e qui
includo me in quanto teologo e tutte le religioni) che volevano spiegargli che
senso ha il dolore: "Non siete che ciarlatani e medici menzogneri. Se
almeno steste zitti, le persone potrebbero prendervi per saggi". E
continuiamo a non tacere…
Di fronte a questa situazione lacerante possiamo assumere, penso, tre
atteggiamenti: di rivolta, di rassegnazione, di speranza a dispetto di ogni
assurdo.
La rivolta si esprime attraverso una negazione. Molti dicono: Dio non esiste. E
se esistesse, sarebbe inaccettabile, perché avremmo più domande noi da fare a
Lui di quante Lui possa farne a noi. Mi rifiuterò in eterno di accettare una
creazione di Dio nella quale le creature innocenti devono soffrire. Questo
ragionamento è comprensibile e logico. Ma non elimina il male, che continua.
Critici, domandiamo: la ragione è tutto? Dio può essere quello che non
possiamo comprendere.
Se la rivolta non dà risposte, forse le dà la rassegnazione? Questa
realisticamente constata: la realtà è fatta di bene e di male. È illusorio
cercare il superamento del male, perché bene e male vanno sempre insieme, come
la luce e l'ombra. Più saggio è trovare un equilibrio e imparare a vivere
senza una speranza finale. Freud e i saggi del Primo Testamento consigliano:
"accetta il principio di realtà, modera il principio del desiderio;
accetta quello che ti succede, mostra grandezza nel dolore". Questo
atteggiamento è nobile, modifica la persona, ma non cambia la brutale realtà.
Il terzo atteggiamento è quello della speranza malgrado tutto. Parte
riconoscendo chiaramente: il male è un mistero indecifrabile. È lì non per
essere compreso ma per essere combattuto. Per questo non sarà una teoria a
dargli senso, ma una prassi. Da questa nasce la speranza che in tutto deve
esserci un significato recondito, al di là dello scandalo della ragione. Esso
si manifesta, per esempio, nel miracolo di una creatura di tre mesi che si salva
su un materasso che fluttua in acque turbolente, o nella solidarietà di tutto
il mondo con le vittime. La solidarietà non elimina il dolore, crea una
fratellanza dei sofferenti che impedisce la solitudine e la disperazione. I
cristiani e i buddisti dicono: Dio non rimane indifferente alla sofferenza. Egli
soffre insieme. Scegliendo l'esilio dell'incarnazione, ha gridato: "Mio
Dio, perché mi hai abbandonato?". La passione di Dio nella passione del
mondo ci fa credere che la speranza ha più futuro che la brutalità dei fatti.
Dio ha promesso che "non ci sarà più pianto, lutto o morte perché tutto
questo è passato". Intanto, il mistero continua ad essere mistero. E come
fa male!
ADISTA n° 4 - 15.1.2005