IL CRISTIANESIMO IN CRISI? LA RISPOSTA DEI TEOLOGI DI "CONCILIUM"
32945. ROMA-ADISTA.
"Cristianesimo in crisi?": la domanda titola l'ultimo numero della
rivista Concilium (3-2005). E la risposta che da diversi punti di
vista danno Jon Sobrino e Martha Zechmeister, Claude Geffré e José Ignacio
Gonzáles Faus, Joan Chittister e Pedro Casaldáliga, Elizabeth Johnson e José
Comblin, e altri ancora, è che il Cristianesimo – ma lo sguardo è rivolto
soprattutto al Cattolicesimo – è effettivamente in crisi e, cioè, ad un
bivio che potrebbe portarlo all'estinzione o allo snaturamento, oppure a
possibilità nuove e crescenti di fioritura evangelica.
Nell'editoriale di presentazione del numero, Sobrino (gesuita spagnolo che opera
in El Salvador) e Felix Wilfred (India) rilevano: "La portata della
manifestazione spontanea di amore e di affetto per lo scomparso papa Giovanni
Paolo II da ogni angolo del pianeta e dalle persone di qualsiasi cammino di vita
e convinzione religiosa è una testimonianza della presenza, del potenziale e
dell'influenza del Cristianesimo nel mondo, grazie alle sue guide". E,
tuttavia, "una crisi profonda ha raggiunto il Cristianesimo diventando
quasi ovvia nelle nazioni un tempo cristiane dell'Occidente, ma avendo
manifestazioni anche in altre parti del mondo". Osservano poi gli autori
che "la crisi non è un fatto specificamente cristiano" e che
"ogni analisi e prospettiva di un Cristianesimo in crisi va posta entro la
cornice più grande di un mondo in crisi. Per questo possiamo dire che la prima
domanda sulla crisi del Cristianesimo verte sull'interrogativo se esso incarni
se stesso oppure no in questo mondo, e se si mette in crisi secondo il vangelo.
La crisi che il Cristianesimo sta attraversando può essere interpretata o come
una via verso una riscoperta e una nuova esperienza del vangelo mediante la
lettura dei ‘segni dei tempi', o come un cammino di deterioramento e di
declino attraverso l'auto-isolamento dal mondo".
Geffré affronta poi il problema del rapporto tra Chiesa cattolica, altre Chiese
e altre religioni: "Proprio in nome dell'Assoluto del mistero di Cristo
come centro della storia occorre de-assolutizzare il Cristianesimo, accettando
di riconoscere la sua particolarità storica nel concerto delle religioni del
mondo. Il magistero romano ha però orrore del pluralismo, che viene inteso
soprattutto come un'ideologia che dispera di ogni verità e che conduce al
relativismo. Nonostante la sua volontà di assumere in piena fedeltà il
retaggio del Vaticano II, la dichiarazione Dominus Iesus [firmata il 6 agosto
2000 dall'allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, card.
Joseph Ratzinger] obbedisce a una logica di assolutizzazione nella sua maniera
di comprendere sia il dialogo interreligioso che il dialogo ecumenico".
Per González Faus (gesuita che insegna a Barcellona), la Chiesa cattolica
romana "degli ultimi trent'anni ha messo in evidenza una infedeltà alla
ecclesiologia del Vaticano II. Questa infedeltà non si riferisce unicamente
alla ecclesiologia della Lumen gentium (ovvero della Chiesa ad intra), bensì
– ed anche di più – al rifiuto della ecclesiologia della Gaudium et spes
che parla della Chiesa ad extra. Di questa costituzione sono stati presi in
considerazione quasi unicamente i temi concreti della società (guerra,
economia, diritti umani, scienze, famiglia…), ma non l'ecclesiologia con la
quale si vogliono affrontare detti temi, e che sarebbe la traduzione verso
l'esterno della ecclesiologia di comunione della Lumen gentium… La sensazione
che hanno oggi molti di quei cristiani che hanno ritrovato la propria fede
grazie al Vaticano II è che negli uomini che gestiscono l'istituzione non si
rileva che essi vivano di esperienza spirituale (benché, nel migliore dei casi,
siano molto devoti). E questo viene da lontano: è il prezzo di tutto il
ripiegamento della Chiesa su se stessa verificatosi durante il XIX secolo e la
prima parte del XX".
Tratteggiando il Cristianesimo in Asia, Adolfo Nicolás – gesuita spagnolo
docente di teologia alla Sophia University di Tokyo – nota: "La Chiesa in
Asia di frequente è stata povera, perseguitata in molti luoghi e per lunghi
periodi, senza alcun potere e quasi invisibile in non pochi Paesi… E tuttavia
non è questa l'immagine che noi ‘uomini e donne di Chiesa' comunichiamo più
chiaramente. C'è una brama di visibilità, di influenza, di diverse forme di
potere (incluso, specialmente, il potere ‘spirituale'), di successo visibile,
che svilisce la gioia di accompagnare Cristo in povertà e umiltà.… L'Asia
non riuscirà mai a comprendere come una Chiesa ‘umile' possa tanto facilmente
trascurare ‘altre vie di salvezza' o giudicarle ‘inferiori alla nostra'".
Tenendo sullo sfondo lo "scandalo della pedofilia del clero cattolico (più
di 4.500 membri del clero, tra cui otto vescovi – sostengono fonti legali –
hanno abusato sessualmente di più di diecimila giovani, la maggior parte dei
quali ragazzi, nelle scuole e nelle chiese)", la suora benedettina
statunitense Joan Chittister nota che "al di sotto della crisi attuale
nella Chiesa vi è la consapevolezza continua e progressiva da parte delle donne
che la Chiesa è un'istituzione maschile. Il suo linguaggio è maschile, le sue
immagini di Dio, animate e inanimate che siano – come ‘roccia', ‘chiave',
‘porta', ‘colomba', ‘padre' – sono maschili. Nonostante il fatto che la
Chiesa insegni che Dio è puro spirito, che non è né maschio né femmina ma
l'essenza di tutto l'essere, le immagini di Dio al femminile non sono mai
accettate nell'uso. Per molte donne, la Chiesa stessa è il simbolo per
eccellenza dell'esclusione, nonostante Maria, la madre di Dio… I documenti
ecclesiastici [cattolici] si scusano ripetutamente per il modo con cui sono
state trattate le donne in passato, ma rifiutano allo stesso tempo di estendere
l'autocritica alle posizioni in corso e presenti nella Chiesa riguardo alle
donne".
ADISTA n° 57 del 30.7.2005