LE MANOVRE MILITARI RUSSO-CINESI E IL DECLINO DELL'IMPERO AMERICANO
di Giulietto Chiesa
da Galatea di settembre 2005

Altro che “secolo americano”! Questo, di cui abbiamo assaggiato il 5% circa, si avvia ad essere - se corto o breve è altra questione – un secolo asiatico. Con parecchi corollari, non certo gradevoli per noi occidentali, che siamo nati e vissuti nell'idea, singolarmente stupida, di vivere nel centro del mondo, di essere il luogo della civiltà, distinti dai barbari di vario colore.
Piccoli e grandi segnali ci annunciano che grandi spicchi del pianeta sono decollati per conto proprio e cominciano a palesare le loro esigenze senza chiederci il permesso. E' chiaro che stiamo parlando della Cina. E perfino della Russia, che frettolosamente avevamo dato per defunta, assorbita, omogeneizzata, colonizzata e ridotta a appendice di second'ordine del mondo occidentale (per la stessa logica di cui sopra, cioè perché appartenente al mondo non civilizzato).

Come svegliandosi da un lungo sonno, i giornali di tutto il mondo “civile” hanno annunciato che Cina e Russia hanno cominciato in agosto le prime, grandi manovre militari congiunte della loro storia. Nemmeno ai tempi di Stalin e di Mao, di Chu Enlai e di Molotov, Russia (allora Unione Sovietica) e Cina si erano spinte a tanto. Certo erano – come si diceva allora – due paesi socialisti, avevano rapporti economici, l'URSS forniva armi alla Cina, ecc. Ma mai le loro truppe si erano messe insieme. C'erano stati momenti, al contrario, in cui le canne dei loro fucili si erano puntate reciprocamente le une contro le altre. Ma è acqua passata da molto tempo.

Altri segnali sono giunti da quel mondo che non conosciamo per niente. Tutti accumulatisi in questo scorcio di tempo, come se qualcosa arrivasse a maturazione in gran fretta, proprio adesso, dopo essere stato a lungo in incubazione, invisibile. All'inizio dell'estate il gruppo di Shanghai (cui partecipano, con Cina e Russia, le repubbliche ex sovietiche dell'Asia centrale ex sovietica, meno il Turkmenistan) aveva cortesemente pregato gli Stati Uniti di togliersi dai piedi con le loro truppe e basi militari, accortamente piazzate nell'area (in Tagikistan, Uzbekistan, Kirghizistan) sull'onda dell'offensiva contro l'Afghanistan seguita all'11 settembre 2001.

Evento singolare davvero, a ben pensarci, perché quelle capitali, fino al giorno prima, si può dire, pendevano dalle labbra di Washington e sognavano soltanto di essere ammesse al banchetto americano.

La Russia sembrava essrere stata emarginata dall'area su cui esercitava la propria influenza da quattro secoli. La Cina – stando agli imbambolati mezzi di comunicazione di massa occidentali (con rare eccezioni) – era ormai diventata capitalista e, quindi, per antonomasia, poteva essere considerata omologata al resto del mondo. Se non ancora colonizzata, di certo colonizzabile. Se non proprio colonizzabile, comunque riconducibile a un immenso mercato su cui far confluire le merci e le tecnologie dell'occidente civilizzato.

Con qualche dettaglio non trascurabile, tuttavia, di cui adesso occorre rendersi conto. E in fretta. Non è sfuggito ai variabili presidenti-despoti delle repubbliche dell'Asia Centrale che la Cina trabocca di dollari, e di yuan. E che Pechino ha nei suoi forzieri, circa mille miliardi di dollari USA, oltre ad avere comprato circa l'8% del debito americano, in buoni del tesoro della Federal Reserve. Come si fa a restare insensibili di fronte a questa cornucopia? Intendo dire che la forza di attrazione americana è stata bruscamente contrastata da nuovi fattori molto potenti.

Quali? Cina e Russia hanno cominciato a fare i loro calcoli, per meglio dire: a trarre le somme da calcoli che stavano fecendo, ciascuna per conto proprio, da diversi anni. Cominciamo dalla Russia.

Puntin non è un rivoluzionario bolshevico. Per niente. Ma si è accorto che non bastava essere condiscendente verso Washington; che non era nemmeno sufficiente farsi da parte, starsene buono fuori dal mirino americano. Dall'alto della collina del suo potere quinquennale non poteva non tirare le somme. In Asia centrale, appunto, basi americane una dietro l'altra. In Georgia una presenza statunitense ormai decisiva per orientare il governo locale. In Ucraina una “rivoluzione democratica” alimentata dall'esterno. Attorno alla Bielorussia segnali di un'offensiva analoga a breve scadenza. La Nato ormai stabilmente piazzata in tutto l'est Europa, e perfino in tre repubbliche che un tempo erano state parte dell'URSS. E, in Russia, il varo della corazzata Jukos sulla scena politica, con l'obiettivo di sostituire lui stesso, a tempo debito, con un nuovo leader pilotato dalla Exxon.

Gl'Imperi non si sono mai accontentati del tributo dei vassalli e non hanno inclinazione alla gratitudine. Se i tempi diventano duri, allora le loro esigenze si moltiplicano. E ai vassalli non resta che l'alternativa tra soddisfarle e ribellarsi.

I tempi duri per l'America sono ormai venuti e non pare se ne andranno presto. Il faro dell'occidente è indebitato fino agli occhi, proiettato lungo un asse di guerre che non sta vincendo, incapace di dominare gli effetti del vaso di Pandora delle globalizzazione, cavalcata per un ventennio con orgogliosa sicurezza e sbalorditiva irresponsabilità.

La Cina non è un vassallo e non intende diventarlo. Ma questo è solo l'antipasto. La Cina legge i giornali come li leggiamo noi "civilizzati” e, quando legge Condoleeza Rice dire, papale papale, che la Cina “piuttosto che un partner è un avversario”, perché – udite, udite! – “vuole cambiare i rapporti di forza a suo vantaggio”, conclude che è il momento di far sentire il suo peso, in tutte le direzioni.

Le manovre congiunte con i russi, del resto, sono solo la ciliegina sulla torta, quello che serve per svegliare i governi occidentali che dormono, mettendo la questione sotto i riflettori delle televisioni. Una specie di colpo di sirena, di quelli che le navi lanciano per segnalare la propria presenza o distogliere altri natanti dalla rotta di collisione. Attenti, siamo qui, proprio di fronte a voi, levatevi di mezzo!

Il fatto è che Condoleeza dice una cosa vera: non c'è posto per due Americhe su questo pianeta. Sempre che entrambe non siano disposte a rinunciare a niente. La Cina è entrata sul mercato mondiale applicando le regole che l'Occidente ha scritto per sé, immaginando che sarebbero state eternamente a suo vantaggio. Adesso sta accadendo il contrario: quelle regole sembrano fatte apposta per far diventare la Cina il più potente paese del mondo, quello in grado di dominare tutti i mercati. E la Cina è già l'unico paese al mondo che può permettersi di prendere decisioni senza chiedere il permesso di nessuno, neanche quello degli Stati Uniti, cioè dell'Impero. Il che significa che l'Impero è già in declino, e che – se non vuole che tutti se ne accorgano – deve dare una lezione sonora a chi ne minaccia i disegni.

Il fatto è, come dicono gli eventi, che parecchi cominciano ad accorgersene. La Russia, che da sola non può permettersi atti di insubordinazione, ha colto la palla al balzo. Insieme si può dire all'imperatore che l'Asia è degli asiatici. Tanto per cominciare. La seconda tappa sarà quella di comprarsi l'Asia. La Cina è già in marcia. E compra anche pezzi di Russia, a cominciare dall'energia russa.

La Russia, che fino all'altro ieri non aveva sponde, oltre che idee, si trova a poter cogliere adesso una insperata palla al balzo. E la sta cogliendo. Con fatica, perché la diffidenza russa verso l'immenso vicino asiatico non è stata mai superata del tutto. Ma il colosso vicino è oggi assai meno temibile dell'Impero lontano.

Le riserve energetiche russe sono le più vicine e comode, relativamente parlando. La Cina ha i capitali per ogni tipo di investimento, e li mette a disposizione. La Russia ha le tecnologie militari sufficienti per garantire a Pechino una progressione di armamento strategico sufficiente a fronteggiare il prossimo decennio.

Il Pentagono pubblica i dati dell'armamento cinese, e rivela un segreto di Pulcinella: la Cina spende in armamenti dieci volte di più di quello che dichiara. Probabilmente le cifre americane sono attendibili, ma che cosa dicono? Dicono che i cinesi si stanno preparando alla stessa, identica cosa cui si stanno preparando gli americani: il momento in cui le risorse non basteranno per tutti e solo la forza deciderà chi potrà accedervi.

Sarà un momento drammatico e non è molto lontano. Avverrà nel corso del prossimo decennio. Da qui la corsa cinese a comprare tutto il comprebile e anche il non comprabile. Perché quando la maggiore impresa petrolifera cinese, statale, si affaccia a Wall Street con la regolare offerta di comprarsi la Unocal americana, offrendo un miliardo di dollari in più della massima offerta di una multinazionale a stelle e strisce, ecco che scattano tutti gli allarmi.

E quando Hu Jintao decide di rivalutare lo yuan di un modestissmo 2%, facendosi beffe della richiesta USA di rivalutare fino al 15%, l'occidente dovrebbe capire che Pechino non accetta ordini da nessuno. E procedere – come Hu Jintao ha ribadito, sorriso sulle labbra e “denti d'acciaio” – secondo i suoi tempi, le sue esigenze, e non secondo le pressioni che vengono dall'esterno.

Le esercitazioni militari congiunte, Cina-Russia sono solo un segnale, prima della “tempesta perfetta” che si annuncia.