TESTIMONIARE LA PACE CONTRO IL SUICIDIO DELL'UMANITA'

di Giulietto Chiesa
del 3 settembre 2005,  su Avvenimenti

C'è confusione nel movimento contro la guerra. E confusione vuol dire tante cose: che il movimento è poco e incerto, che non riesce a dire quello che sarebbe necessario contro la guerra che continua, e che non riesce a dire che altre guerre si preparano. E perché.
Per questo occorre ritornare sul tema del pacifismo

Vi sono sempre state, nel movimento, nei movimenti, molte anime pacifiste, ciascuna con le sue motivazioni: etiche, filosofiche, morali, religiose, di classe. Tutte sottoposte, in questi anni di guerre, a confutazioni e attacchi violentissimi, coordinati, organizzati da sapienti campagne mediatiche, da subdole manovre, perfino usando rapimenti-trappola per dividere, sconcertare, confondere appunto i movimenti pacifisti, facendo leva sulle loro diverse motivazioni e cercando di gettare le une contro le altre.

I commentatori bellicisti hanno usato un'intera panoplia di argomenti: dai paralleli storici (la resistenza non fu lotta armata?), all'accusa di manicheismo, a quella di ingenuità, fino alla descrizione dei pacifisti come disfattisti inclini alla resa.

Ma c'è una motivazione pacifista, oggi, che non è smontabile, né calunniabile, non ideologica né di parte, ed è quella che deriva da un'analisi dello stato delle cose, così come viene emergendo sempre più evidentemente.

Dobbiamo essere pacifisti perché oggi il pacifismo è una questione di sopravvivenza, per noi e per i nostri figli. E non si può neppure dire più per i nostri nipoti, perché nessuno oggi e in grado di fare previsioni più lunghe.

Quali che siano le coloriture ideologiche con cui i guerrieri per conto terzi, i cattivi maestri come Pera e Fallaci, eccitano allo scontro di civiltà, quello che emerge drammaticamente è che siamo avviati verso un'assurda serie di scontri e di catastrofi, incluse quelle naturali che sono l'effetto della nostra guerra contro la natura che ci circonda.

Perché viviamo in uno sviluppo che è ormai impraticabile, che si sta avvitando su se stesso, che non ha prospettive. L'arrivo di Cina e India sul mercato dei consumi energetici ha portato in soli tre anni il consumo petrolifero – ed è solo un esempio dei tanti – oltre gli 84 milioni di barili di petrolio al giorno, di cui un terzo circa è appannaggio degli Stati Uniti.

Presto, anche se si continua a dire che le riserve mondiali di petrolio non sono diminuite di molto, o non ce ne sarà per tutti, perché non c'è spazio per due o tre Americhe su questo pianeta, oppure – ma è l'altra faccia della stessa medaglia – il costo energetico per ogni economia diverrà talmente alto da provocare disastri economici a catena. Non occorre aspettare un mitico momento del “picco”. Ci siamo già dentro. E' bastata la catastrofe naturale di New Orleans per costringere gli Stati Uniti a fare ricorso d'urgenza alle riserve strategiche di petrolio.

Ci sarebbe il modo, e anche il tempo (ma ogni giorno che passa questa possibilità si vanifica) per affrontare la questione della diversificazione delle fonti energetiche. Ma si dovrebbe cominciare domani. E nello stesso tempo si dovrebbe affrontare il problema della “crescita” delle nostre economie, in termini radicalmente diversi.

Tutto si tiene, ma in negativo, fino a che non si affronteranno questi problemi. Che sono due, e inestricabilmente intrecciati: sempre più ravvicinati sono i due momenti in cui, da un lato, il problema delle risorse potrà essere “risolto” solo con la forza, in condizioni di emergenza. E questo significa che i più forti prenderanno per sé ciò che sarà disponibile. Questo significa guerra, e una guerra molto più grande delle tutto sommato modeste esercitazioni militari “preparatorie” come le ultime tre guerre cui abbiamo assistito e anche partecipato.

Dall'altro lato – vedi Kyoto – la guerra contro la natura che ci circonda e contro noi stessi, diverrà mortale.

Qui non c'è questione di resa, e nemmeno di scontro di civiltà, perché non ci saranno vincitori.

E' giunto il momento di mettere insieme questi fattori. Tra Perugia e Assisi quest'anno marceremo giustamente contro la povertà e contro la violenza, contro il terrorismo e per uno sviluppo sostenibile. Consapevoli che il più grande summit della storia delle Nazioni Unite, che si annuncia a breve, non sarà capace di affrontare questi temi. E non solo perché John Bolton bloccherà ogni accordo, ma perché ancora non c'è un grande movimento mondiale di popoli per fermare l'insensatezza di questo sviluppo e le guerre che ne sono il corollario inevitabile.