La strada ecumenica di Assisi
Filippo Gentiloni
Da il manifesto 27 novembre 2005
Fra i segnali lanciati dal nuovo pontificato, quello dei francescani di Assisi appare fra i più chiari ed eloquenti. La vicenda è nota. Con un documento motu proprio il Vaticano ha tolto ai francescani della basilica superiore di Assisi quella relativa autonomia dal vescovo locale che era stata loro concessa da un analogo documento firmato da Paolo VI. Non che il contrasto fra un ordine religioso e il vescovo del posto rappresenti una novità. La dialettica fra l'autorità cattolica locale e l'ordine religioso che fa capo direttamente a Roma è sempre stata vivace nella storia della chiesa. Una dialettica che Roma non ha mai voluto sopprimere, con vantaggio dell'una o dell'altra parte, a seconda dei tempi e delle situazioni.
Ma oggi Roma ha avuto l'impressione che l'autonomia dei francescani di Assisi fosse eccessiva, come anche la loro autorevolezza. È interessante osservare che nel corso degli ultimi decenni i francescani di Assisi si erano messi in evidenza non per critiche interne alla chiesa, come era stato per alcuni protagonisti del «dissenso» postconciliare. Rispetto a loro quindi il Vaticano deve avere pensato piuttosto - con timore - a forme di eccessivo ecumenismo e pacifismo, di esagerata apertura agli altri. La basilica di San Francesco come simbolo di un cattolicesimo che non si richiude nella propria purezza, ma che si confronta e assume come compito primario non tanto la difesa di una dottrina più «vera» delle altre, quanto la pace. E la guerra, più dell'eresia o dell'ateismo, è il vero nemico. Una posizione che aveva trovato consensi anche dai mondi più lontani, da Berlinguer a Tarek Aziz. I francescani di Assisi non hanno mai attaccato direttamente la gerarchia cattolica, ma hanno indicato una strada piuttosto diversa da quella indicata da Roma. E ora Roma, con questo provvedimento, ha voluto mostrare a tutti che la «sua» strada - quella dell'ordine gerarchico e delle verità sicure - non si deve abbandonare. Un segnale per tutti, ben al di là di Assisi.
Comunque Roma non può farsi illusioni sulla omogeneità e totalità dei consensi. La stessa esistenza dei moderni mass media lo impedisce. Nessun motu proprio potrà tacitare le voci di chi dissente, sia quelle più «teologiche» nate dopo il Concilio Vaticano II e ancora vivaci (ad esempio nelle «comunità di base») sia quelle più «politiche» recenti. Lo hanno confermato anche le pagine di «MicroMega» (6/2006) dedicate proprio alla voce di quattro «preti di frontiera». La loro è «una radicale alternativa alla chiesa costantiniana del cardinale Ruini: la chiesa-gerarchia trionfante, le tentazioni del potere...». Nonostante le prime mosse del nuovo papa, dunque, il dissenso nella chiesa cattolica permane, anche se cambia forme e temi.
Non ci dobbiamo dimenticare, d'altronde, che proprio quando Ratzinger dirigeva il Santo Uffizio si verificò quella sistematica offensiva di Roma contro la teologia latinoamericana (e non solo) che si era detta «della liberazione». Una offensiva che era riuscita ad emarginarla, ma non a soffocarla. Probabilmente sarà così anche per le intuizioni dei francescani di Assisi.