Tra dio e allah
FILIPPO GENTILONI
Scontro di civiltà, di culture, di religioni? L'agenda del
terrorismo ripropone, di giorno in giorno, questi interrogativi. Da Londra a
Sharm el Sheikh. Ma anche da Baghdad a Gerusalemme e territori palestinesi. Non
si tratta di una discussione puramente accademica: è in gioco il giudizio sulle
tragedie che stanno insanguinando il mondo e, di conseguenza, sono in gioco le
indicazioni per porre fine alle stragi. Fra le voci che cercano di limitare lo
scontro ai suoi aspetti esclusivamente politici, brilla quella del Vaticano.
Quasi ogni giorno il papa ripete che la religione non c'entra. Non è uno
scontro fra cristianesimo e islam. Niente crociate, né da una parte né
dall'altra. Niente guerra santa. Non importa se i kamikaze si fanno saltare in
aria in nome di allah: si tratterebbe di un piccolo dettaglio insignificante. Il
vero islam è quello moderato, anche se molti, con Oriana Fallaci e con la Lega,
negano questa distinzione. Con l'islam moderato il cristianesimo può e vuole
trattare. E' uno dei punti fermi del nuovo pontificato.
Questa ripetizione di estraneità appare chiaramente giustificabile. E' logico
che il Vaticano voglia tenersi fuori da un conflitto che rischia di coinvolgere
il suo impegno missionario e non soltanto. Il cristianesimo si trova a contatto
con l'islam, infatti, non soltanto nei paesi di missione, ma anche, ormai, nei
paesi a maggioranza cristiana, dove gli immigrati musulmani sono sempre più
numerosi. Non si può né condannare né combattere il vicino della porta
accanto. Tanto più che è necessario far dimenticare, se possibile, la storia
di tutte le crociate che hanno insanguinato i secoli passati, fino a ieri, e che
rappresentano una brutta macchia - a dir poco - della storia cristiana.
E' logico che Ratzinger, come già papa Wojtyla, cerchi di prendere le distanze.
La parola «anticristiani» attribuita per errore agli attentati di Londra, è
stata prontamente fatta sparire dal comunicato vaticano di cordoglio.
Probabilmente una «gaffe», come quella che ha dimenticato di menzionare anche
Israele fra le vittime del terrorismo. Ma spesso anche le «gaffe» nascondono
un fondo di verità.
Piuttosto è opportuno chiedersi con quale coerenza il Vaticano pretenda il
disinnesco della religione dalla guerra terroristica quando in altre e
importanti sedi lo stesso Vaticano sostiene e difende lo stretto rapporto fra
religione, società, cultura, politica. Livelli fra i quali la Santa Sede vuole
mantenere un abbraccio: teme, infatti, quella riduzione della religione alla
sfera privata che è stato il suo incubo per tutti gli ultimi secoli e che la
ridurrebbe alla irrilevanza.
Ma se la religione esce dalla sfera privata, incontra necessariamente le culture
e le guerre relative.
Una situazione che il Vaticano dovrebbe chiarire. Una contraddizione. E'
illogico sostenere che gli attuali conflitti non hanno niente a che vedere con
la religione e insieme sostenere che le radici dell'Europa sono cristiane. Quale
il rapporto, allora, fra la religione e la società, la cultura, la storia? E'
difficile sostenere in un caso, l'estraneità della religione dai conflitti
politici e culturali e, dall'altra, considerare la religione come fondante di
una società, di una cultura, di una storia.
Forse la logica costringerà anche il Vaticano ad accettare fino in fondo quella
riduzione della religione al suo vero ruolo che il cristianesimo in teoria ha
sempre sostenuto (anche nei tanti Concordati), ma che in pratica ha spesso fatto
vacillare.
Non è facile oggi sostenere che gli attentati con la religione cristiana non
c'entrano quando il cristianesimo - cattolico e non solo - ha accettato quasi
sempre e quasi dovunque l'abbraccio con l'occidente, la sua politica, il suo
capitalismo. Forse l'affermazione di estraneità delle guerre alla religione
cristiana sarebbe più credibile se il cristianesimo prendesse le distanza dai
vari Bush che dominano il ricco occidente.
il manifesto 28.7.2005