32746. MALAGA-ADISTA. La Teologia europea è rimasta
orfana di uno dei suoi rappresentanti più brillanti degli ultimi decenni, il
teologo andaluso José María González Ruiz, deceduto a 88 anni il mese
scorso. "È stato uno dei teologi più lucidi e creativi del panorama
teologico mondiale del XX secolo e uno degli intellettuali cristiani più
all'avanguardia nel dialogo con la modernità", ricorda Juan José
Tamayo, direttore della Cattedra di Teologia e Scienza delle Religioni
all'Università Carlos III di Madrid, incaricato di farne l'elogio funebre.
Nato a Siviglia nel 1916 in una famiglia profondamente cattolica a
tradizionalista, venne ordinato sacerdote nel 1939. Studiò alla Pontificia
Università Gregoriana dove si laureò in Sacre Scritture e da allora svolse il
suo compito di professore e scrittore per più di 50 anni, "avendo come
riferimento la difesa della pace, della libertà e della giustizia
sociale", come recita la dedica acclusa alla medaglia d'oro dell'Andalusia
ricevuta nel 1996 per la sua opera.
I suoi studi biblici si sono concentrati sull'esegesi delle lettere paoline: la
sua opera Lettera di san Paolo ai Galati. Traduzione e commento,
sottolinea Tamayo, resta "una lettura obbligata per gli esperti e per tutti
i cristiani che vogliono vivere la propria fede in chiave di libertà e di
liberazione (...) perché coglie assai bene l'originalità del Vangelo come
messaggio di salvezza universale; perché sa estrarre tutto il potenziale
liberatorio del cristianesimo, espresso da Paolo; perché aiuta a lottare contro
le discriminazioni di ogni tipo: sessista, razziale, etnica, religiosa,
culturale, sociale, ecc. a partire dalle rivoluzionarie parole di uguaglianza
pronunciate da Paolo stesso". Una delle frasi che amava ripetere e che
condensa il suo pensiero era: "Cristo ci ha affrancati perché fossimo
liberi; state dunque saldi, e non vi lasciate di nuovo porre sotto il giogo
della schiavitù!" (Galati 5,1).
Ma González Ruiz, ricorda ancora Tamayo, fu soprattutto un "pioniere
nell'elaborazione di una teologia del mondo" e il teologo spagnolo che ebbe
maggior influenza sul Concilio. I vescovi europei più illuminati utilizzarono
il suo libro Il cristianesimo non è umanesimo come base per
l'elaborazione di alcuni dei documenti più innovatori del Vaticano II, come la Costituzione
pastorale sulla Chiesa nel mondo attuale e la Dichiarazione sulla libertà
religiosa. Certamente tra gli intellettuali spagnoli fu il più
all'avanguardia nel dialogo tra cristianesimo e marxismo, prosegue Tamayo.
"Fatto tanto più straordinario considerando il contesto culturale
visceralmente anti-marxista e l'ambiente religioso rabbiosamente
nazional-cattolico" che imperavano nella Spagna franchista. Con la sua
opera Marxismo e cristianesimo di fronte all'uomo nuovo, contribuì a
"liberare le cosmovisioni cristiana e marxista dalle loro rigidezze
dogmatiche" e a "far emergere un marxismo critico umanista, utopico e
un cristianesimo rinnovatore, tollerante, non dogmatico ed emancipatore".
"Durante il franchismo denunciò il nazional-cattolicesimo e la violazione
sistematica dei diritti umani, e appoggiò col pensiero, la parola e l'opera le
organizzazioni politiche, sociali e sindacali clandestine. Durante la democrazia
criticò le pretese neoconfessionali dei settori cristiani conservatori e
integralisti, e difese la secolarizzazione della società così come la laicità
dello Stato e delle istituzioni".
González Ruiz non ha mai smesso di essere un credente e un cristiano, conclude
Tamayo: la sua, però, "non fu mai una fede passiva, pacata, ma sempre
attiva, lucida, critica fino all'ultimo. Fece sua l'opzione preferenziale per
gli esclusi e la difesa della loro dignità, sviluppò una concezione
liberatrice del cristianesimo chiaramente espressa nel suo libro Credere vuol
dire impegnarsi, una delle opere più significative del cristianesimo
progressista degli ultimi 40 anni. José María González Ruiz fu un teologo di
frontiera".
ADISTA n°19 del 12.3.2005