LA CONDANNA DI P. HAIGHT CONFERMA: NON C’È POSTO PER IL PLURALISMO NELLA CHIESA
DOC-1598. WASHINGTON-ADISTA. Un teologo può certo sbagliare, ma il
suo è un lavoro creativo e di ricerca intellettuale e non è sovrapponibile
alla catechesi; la comunità teologica è in grado di trovare soluzioni e
andrebbe lasciata libera di farlo. È questa la reazione della Catholic
Theological Society of America (Ctsa), massimo organismo teologico
statunitense, al provvedimento disciplinare (Notificazione del 13/12/04) della
Congregazione per la Dottrina della Fede contro il teologo gesuita p. Roger
Haight, sotto inchiesta da cinque anni, il cui libro Jesus: Symbol of God
conterrebbe gravi errori dottrinali (v. Adista n. 13/05).
Non che il libro del gesuita, già presidente del Ctsa, non abbia incontrato
difficoltà: "Molti di noi nella comunità teologica hanno avuto veri
problemi" con il libro, ha ammesso William P. Thompson-Uberuaga,
docente di teologia alla Duquesne University di Pittsburgh, anch'egli già
presidente del Ctsa); "quello che vorrei è solo che la Congregazione
lasciasse alla comunità teologica per prima la soluzione dei problemi".
D'altronde le asserzioni contenute nel libro, spiega, hanno un valore molto più
"sperimentale" e ipotetico di quanto giudicato dalla Congregazione.
Di seguito riportiamo il testo integrale della dichiarazione diffusa dal
consiglio direttivo della Ctsa, in una nostra traduzione dall'inglese, preceduta
dal testo della "Notificazione" vaticana, e seguita dalle
testimonianze di solidarietà con p. Haight firmate dal teologo brasiliano Faustino
Teixeira, dall'Associazione Ecumenica dei Teologi del Tero Mondo (Eatwot) e
da Paul Kelly, avvocato ormai in pensione, portavoce del movimento per la
Riforma della Chiesa cattolica (il suo testo è pubblicato nel sito della
statunitense "Call to Action", www.cta-usa.org).
Introduzione
La Congregazione per la Dottrina della Fede, dopo uno studio accurato, ha
giudicato che il libro "Jesus Symbol of God" (Maryknoll: Orbis Books,
1999) di Padre Roger Haight S.J. contiene gravi errori dottrinali nei confronti
di alcune fondamentali verità di fede. È stato pertanto deciso di pubblicare
in proposito la presente Notificazione, che conclude la relativa procedura
d'esame.
Dopo una prima valutazione da parte di esperti, si decise di affidare
direttamente il caso all´Ordinario dell'Autore. Il 14 febbraio 2000 fu
trasmessa una serie di "Osservazioni" a Padre Peter-Hans Kolvenbach,
Preposito Generale della Compagnia di Gesù, invitandolo a far conoscere
all'Autore gli errori presenti nel libro, e chiedendogli di sottoporre i
necessari chiarimenti e rettifiche al giudizio della Congregazione per la
Dottrina della Fede (cfr "Regolamento per l'esame delle dottrine",
cap. II).
La risposta di Padre Roger Haight S.J., presentata il 28 giugno 2000, né
chiariva né rettificava gli errori segnalati. Per tale motivo, e tenendo anche
conto del fatto che il libro era abbastanza diffuso, fu deciso di procedere ad
un esame dottrinale (cfr "Regolamento per l'esame delle dottrine",
cap. III), prestando particolare attenzione al metodo teologico dell'Autore.
Dopo la valutazione dei teologi Consultori della Congregazione per la Dottrina
della Fede, la Sessione Ordinaria del 13 febbraio 2002 confermò che "Jesus
Symbol of God" conteneva affermazioni erronee, la divulgazione delle quali
era di grave danno ai fedeli. Si decise pertanto di seguire la "procedura
d'urgenza" (cfr "Regolamento per l'esame delle dottrine", cap. IV).
Al riguardo, conformemente all'art. 26 del "Regolamento per l'esame delle
dottrine", il 22 luglio 2002 fu trasmesso al Preposito Generale della
Compagnia di Gesù l'elenco delle affermazioni erronee e una valutazione
generale della visione ermeneutica del libro, chiedendogli di invitare Padre
Roger Haight S.J. a consegnare, entro due mesi utili, una chiarificazione della
sua metodologia ed una correzione, in fedeltà all'insegnamento della Chiesa,
degli errori contenuti nel suo libro.
La risposta dell'Autore, consegnata il 31 marzo 2003, fu esaminata dalla
Sessione Ordinaria della Congregazione, l'8 ottobre 2003. La forma letteraria
del testo era tale da sollevare dubbi sulla sua autenticità, se fosse cioè
veramente una risposta personale di Padre Roger Haight S.J.; si chiese pertanto
una sua risposta firmata.
Tale risposta sottoscritta giunse il 7 gennaio 2004. La Sessione Ordinaria della
Congregazione il 5 maggio 2004 la prese in esame e ribadì il fatto che il libro
"Jesus Symbol of God" conteneva affermazioni contrarie alle verità
della fede divina e cattolica appartenenti al primo comma della "Professio
Fidei", riguardanti la preesistenza del Verbo, la divinità di Gesù, la
Trinità, il valore salvifico della morte di Gesù, l'unicità e l'universalità
della mediazione salvifica di Gesù e della Chiesa, e la risurrezione di Gesù.
La valutazione negativa riguardò anche l'uso di un metodo teologico improprio.
Si ritenne, quindi, necessaria la pubblicazione di una Notificazione in
proposito.
I. Metodo teologico
Nella Prefazione del suo libro, "Jesus Symbol of God", l'Autore
afferma che oggi la teologia dovrebbe essere realizzata in dialogo con il mondo
postmodemo, ma dovrebbe anche "rimanere fedele alla rivelazione originaria
ed alla costante tradizione" (p. xii), nel senso che i dati della fede
costituiscono la norma e il criterio per l'ermeneutica teologica. Egli afferma
anche che si deve stabilire una "correlazione critica" (cfr pp. 40-47)
tra questi dati e le forme e le qualità del pensiero postmodemo, caratterizzato
in parte da una storicità radicale e da una coscienza pluralistica (cfr pp. 24,
330-334): "La tradizione deve essere criticamente recepita nella situazione
di oggi" (p. 46).
Questa "correlazione critica", però, si traduce, di fatto, in una
subordinazione dei contenuti della fede alla loro plausibilità ed
intelligibilità nella cultura postmodema (cfr pp. 49-50, 127, 195, 241, 249,
273-274, 278-282, 330-334). Si afferma, per esempio, che a causa dell'odierna
coscienza pluralistica, "non si può continuare ad affermare ancora [...]
che il cristianesimo sia la religione superiore o che Cristo sia il centro
assoluto al quale tutte le altre mediazioni storiche sono relative. [...] Nella
cultura postmodema è impossibile pensare [...] che una religione possa
pretendere di essere il centro al quale tutte le altre devono essere
ricondotte" (p. 333).
Per quanto riguarda, in particolare, il valore delle formule dogmatiche,
specialmente cristologiche, nel contesto culturale e linguistico postmoderno,
diverso da quello in cui furono elaborate, l'Autore afferma che esse non vanno
trascurate, ma neppure acriticamente ripetute perché "nella nostra cultura
non hanno lo stesso significato di quando furono elaborate. [...] Pertanto, si
deve fare riferimento ai Concili classici ed anche interpretarli esplicitamente
per il nostro presente" (p. 16). Di fatto, però, questa interpretazione
non si concretizza in proposte dottrinali che trasmettono il senso immutabile
dei dogmi inteso dalla fede della Chiesa, né li chiariscono, arricchendone la
comprensione. L'interpretazione dell'Autore risulta essere, invece, una lettura
non solo diversa, ma contraria al vero significato dei dogmi.
Per quanto riguarda, in particolare, la cristologia, l'Autore afferma che, al
fine di superare un "ingenuo positivismo di rivelazione" (p. 173, n.
65), essa dovrebbe essere iscritta nel contesto di una "teoria generale
della religione in termini di epistemologia religiosa" (p. 188). Un
elemento fondamentale di questa teoria sarebbe il simbolo, quale concreto mezzo
storico: una realtà creata (ad es. una persona, un oggetto o un evento) che fa
conoscere e rende presente un'altra realtà, che è allo stesso tempo
all'interno e distinta dal mezzo stesso, come la realtà trascendente di Dio, a
cui essa rimanda (cfr pp. 196-198). Il linguaggio simbolico, strutturalmente
poetico, immaginativo e figurativo (cfr pp. 177, 256), esprimerebbe e
produrrebbe una determinata esperienza di Dio (cfr p. 11), ma non fornirebbe
informazioni oggettive su Dio stesso (cfr p. 9, 210, 282, 471).
Queste posizioni metodologiche conducono ad un'inter-pretazione gravemente
riduttiva e fuorviante delle dottrine della fede, dando luogo ad affermazioni
erronee. In particolare, l'opzione epistemologica della teoria del simbolo, così
come viene intesa dall'Autore, mina alla base il dogma cristologico che, a
partire dal Nuovo Testamento, proclama che Gesù di Nazaret è la persona del
Figlio/Verbo divino fattasi uomo (1).
II. La preesistenza del verbo
L'impostazione ermeneutica di partenza conduce l'Autore anzitutto a non
riconoscere nel Nuovo Testamento la base per la dottrina della preesistenza del
Verbo, neppure nel prologo di Giovanni (cfr pp. 155-178), ove, a suo dire, il
Logos dovrebbe essere inteso in senso puramente metaforico (cfr p. 177).
Inoltre, egli legge nel pronunciamento del Concilio di Nicea solo l'intenzione
di affermare "che niente di meno che Dio era ed è presente e all'opera in
Gesù" (p. 284; cfr p. 438), ritenendo che il ricorso al simbolo
"Logos" sarebbe da considerarsi semplicemente come presupposto (2), e
perciò non oggetto di definizione, e infine non plausibile nella cultura
postmodema (cfr p. 281; 485). Il Concilio di Nicea, afferma l'Autore,
"utilizza la Scrittura in un modo che oggi non è accettabile, e cioè come
una fonte di informazioni direttamente rappresentativa di fatti o di dati
oggettivi, circa la realtà trascendente" (p. 279). Il dogma di Nicea non
insegnerebbe, pertanto, che il Figlio o il Logos eternamente preesistente
sarebbe consustanziale al Padre e da Lui generato. L'Autore propone "una
cristologia dell'incarnazione, nella quale l'essere umano creato o la persona di
Gesù di Nazaret è il simbolo concreto che esprime la presenza nella storia di
Dio come Logos" (p. 439).
Questa interpretazione non è conforme al dogma di Nicea, che afferma
intenzionalmente, anche contro l'orizzonte culturale del tempo, la reale
preesistenza del Figlio Logos del Padre, incarnatosi nella storia per la nostra
salvezza (3).
III. La divinità di Gesù
La posizione erronea dell'Autore sulla preesistenza del Figlio/Logos di Dio ha
come conseguenza una comprensione altrettanto erronea della dottrina circa la
divinità di Gesù. Egli in verità usa espressioni quali: Gesù "deve
essere considerato divino" (p. 283) e "Gesù Cristo [...] deve essere
vero Dio" (p. 284). Si tratta, tuttavia di affermazioni che vanno intese
alla luce della sua posizione su Gesù quale "mediazione" simbolica
("medium"): Gesù sarebbe "una persona finita" (p. 205),
"una persona umana" (p. 296) e "un essere umano come noi"
(p. 205; 428). Il "vero Dio e vero uomo" andrebbe perciò
reinterpretato, secondo l'Autore, nel senso che "vero uomo"
significherebbe che Gesù sarebbe un essere umano come tutti gli altri" (p.
259), "un essere umano e una creatura finita" (p. 262); mentre
"vero Dio" significherebbe che l'uomo Gesù, in qualità di simbolo
concreto, sarebbe o medierebbe la presenza salvifica di Dio nella storia (cfr
pp. 262; 295): solo in questo senso egli potrebbe essere considerato come
"veramente divino o consustanziale con Dio" (p. 295).
La "situazione postmoderna in cristologia", aggiunge l'Autore,
"comporta un cambiamento di interpretazione che va al di là della
problematica di Calcedonia" (p. 290), precisamente nel senso che l'unione
ipostatica, o "enipostatica", sarebbe da intendere come "l'unione
di niente di meno che Dio come Verbo con la persona umana Gesù" (p. 442).
Questa interpretazione della divinità di Gesù è contraria alla fede della
Chiesa, che crede in Gesù Cristo, Figlio eterno di Dio, fattosi uomo, così
come è ripetutamente confessato in vari concili ecumenici e nella costante
predicazione della Chiesa (4).
IV. La Santissima Trinità
Come conseguenza della suddetta interpretazione dell'i-dentità di Gesù Cristo,
l'Autore sviluppa una dottrina trinitaria erronea. A suo giudizio
"l'insegnamento del Nuovo Testamento non deve essere interpretato alla luce
delle successive dottrine di una Trinità immanente" (p. 474). Queste
sarebbero da considerare l'esito di una inculturazione successiva, che avrebbe
portato ad ipostatizzare, vale a dire, a ritenere come "entità reali"
in Dio, i simboli "Logos" e "Spirito" (cfr p. 48l), che in
quanto "simboli religiosi", sarebbero metafore di due diverse
mediazioni storico-salvifiche dell'uno ed unico Dio: quella esteriore, storica,
attraverso "il simbolo Gesù"; quella interiore, dinamica, compiuta
dalla comunicazione di Dio "come" Spirito (cfr p. 484).
Una simile visione, corrispondente alla teoria dell'espe-rienza religiosa in
generale, porta l'Autore ad abbandonare la corretta comprensione della Trinità
stessa, interpretata "come una descrizione di una differenziata vita
interiore di Dio" (p. 484). Conseguentemente, "una nozione di Dio come
comunità, l'idea di ipostatizzare le differenziazioni in Dio e di chiamarle
persone, in modo tale che esse siano in reciproca comunicazione dialogica, vanno
contro il punto principale della dottrina stessa" (p. 483), e cioè
"che Dio è uno ed unico" (p. 482).
Questa interpretazione della dottrina trinitaria è erronea e contraria alla
fede circa l'unicità di Dio nella Trinità delle Persone, che la Chiesa ha
proclamato e confermato in numerosi e solenni pronunciamenti (5).
V. Il valore salvifico della morte di Gesù
Nel libro "Jesus Symbol of God" l'Autore asserisce che
"l'interpretazione profetica" spiegherebbe nel modo migliore la morte
di Gesù (cfr p. 86, n. 105). Afferma, inoltre, che non sarebbe necessario
"che Gesù abbia considerato se stesso come un salvatore universale"
(p. 211) e che l'idea della morte di Gesù come "una morte sacrificale,
espiatoria e redentiva" sarebbe solo il risultato di una graduale
interpretazione dei suoi seguaci alla luce dell'Antico Testamento (cfr p. 85).
Si afferma anche che il linguaggio ecclesiale tradizionale "di Gesù che
soffre per noi, che si offre in sacrificio a Dio, che ha accettato di subire la
punizione per i nostri peccati, o di morire per soddisfare la giustizia di Dio,
non ha senso per il mondo di oggi" (p. 241). Questo linguaggio andrebbe
abbandonato perché "le immagini associate a questi modi di parlare
offendono la sensibilità postmoderna e creano una repulsione ed una barriera ad
un apprezzamento positivo di Gesù Cristo" (p. 241).
Tale posizione dell'Autore si oppone in realtà alla dottrina della Chiesa, che
ha sempre riconosciuto in Gesù un'inten-zionalità redentrice universale
riguardo alla sua morte. La Chiesa vede nelle affermazioni del Nuovo Testamento,
che si riferiscono specificamente alla salvezza, e in particolare nelle parole
dell'istituzione dell'Eucaristia, una norma della sua fede circa il valore
salvifico universale del sacrificio della croce (6).
VI. Unicità e universalità della mediazione salvifica di Gesù e della
Chiesa
Per quanto riguarda l'universalità della missione salvifica di Gesù, l'Autore
afferma che Gesù sarebbe "normativo" per i cristiani, ma
"non-costitutivo" per le altre mediazioni religiose (p. 403). Afferma,
inoltre, che "solo Dio opera la salvezza e la mediazione universale di Gesù
non è necessaria" (p. 405): infatti "Dio agisce nella vita degli
uomini in diversi modi al di là di Gesù e della realtà cristiana" (p.
412).
L'Autore insiste sulla necessità di passare dal cristocentrismo al
teocentrismo, che "elimina la necessità di legare la salvezza di Dio
solamente a Gesù di Nazaret" (p. 417). Per quanto riguarda la missione
universale della Chiesa, egli ritiene che sarebbe necessario avere "la
capacità di riconoscere altre religioni come mediazioni della salvezza di Dio
allo stesso livello del cristianesimo" (p. 415). Inoltre, per lui "è
impossibile nella cultura postmoderna pensare che [...] una religione possa
pretendere di essere il centro al quale tutte le altre devono essere ricondotte.
Questi miti o concezioni metanarrative sono semplicemente superate" (p.
333).
Questa posizione teologica nega fondamentalmente la missione salvifica
universale di Gesù Cristo (cfr At 4, 12; 1 Tim 2, 4-6; Gv 14, 6) e, di
conseguenza, la missione della Chiesa di annunciare e comunicare il dono di
Cristo salvatore a tutti gli uomini (Mt 28, 19; Mc 16, 15; Ef 3, 8-11), entrambe
testimoniate con chiarezza dal Nuovo Testamento e proclamate sempre dalla fede
della Chiesa, anche in documenti recenti (7).
VII. La risurrezione di Gesù
La presentazione che l'Autore fa della risurrezione di Gesù è guidata dalla
sua concezione del linguaggio biblico e teologico come "simbolico di
un'esperienza che è storicamente mediata"(p. 131) e dal principio che
"ordinariamente non si dovrebbe supporre che sia accaduta nel passato una
cosa oggi impossibile" (p. 127). Così intesa, la risurrezione è
presentata come l'affermazione che "Gesù è ontologicamente vivo, come un
individuo nella sfera di Dio [...], la dichiarazione di Dio che la vita di Gesù
è una vera rivelazione di Dio e un'autentica esistenza umana" (p. 151; cfr
p. 124).
La risurrezione è descritta come "una realtà trascendente che può essere
riconosciuta nel suo valore solamente da un atteggiamento di fede e di
speranza" (p. 126). I discepoli, dopo la morte di Gesù, si sarebbero
ricordati ed avrebbero riflettuto sulla sua vita e il suo messaggio,
particolarmente sulla rivelazione di Dio come buono, misericordioso, preoccupato
dell'essere umano e della salvezza. Questo ricordarsi - del fatto che "ciò
che Dio ha iniziato nell'amore, a causa della illimitatezza di quell'amore,
continua ad esistere in quell'amore sopravvivendo perciò al potere ed alla
definitività della morte" (p. 147) insieme con un intervento di Dio come
Spirito - progressivamente fece nascere questa nuova fede nella risurrezione, e
cioè che Gesù era vivo ed esaltato nella potenza salvifica di Dio (cfr p.
146).
Inoltre, secondo l'interpretazione dell'Autore, "la storicità della tomba
vuota e i racconti delle apparizioni non sono essenziali alla fede-speranza
nella risurrezione" (p. 147, n. 54; cfr pp. 124, 134). Piuttosto, questi
racconti sarebbero "modi di esprimere e di insegnare il contenuto di una
fede già formatasi" (p. 145).
L'interpretazione dell'Autore conduce ad una posizione incompatibile con la
dottrina della Chiesa. Essa è elaborata sulla base di presupposti erronei e non
sulla base delle testimonianze del Nuovo Testamento, secondo cui le apparizioni
del Risorto e la tomba vuota sono il fondamento della fede dei discepoli nella
risurrezione di Cristo e non viceversa.
Conclusione
Nel rendere pubblica questa Notificazione, la Congregazione per la Dottrina
della Fede si sente obbligata a dichiarare che le suddette affermazioni
contenute nel libro "Jesus Sym-bol of God" di Padre Roger Haight S.J.
sono da qualificare come gravi errori dottrinali contro la fede divina e
cattolica della Chiesa. Di conseguenza, è vietato all'Autore l'insegnamento
della teologia cattolica finché le sue posizioni non siano rettificate così da
essere in piena conformità con la dottrina della Chiesa.
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II nell'Udienza concessa al sottoscritto
Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Notificazione, decisa nella
Sessione Ordinaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 13 dicembre
2004, Memoria di S. Lucia, Vergine e Martire.
JOSEPH Card. RATZINGER
Prefetto
ANGELO AMATO, S.D.B.
Segretario
1) Cfr Concilium Nicaenum, "Professio fidei": DH 125; Concilium
Chalcedonense, "Professio fidei": DH 301, 302; Concilium
Constantinopolitanum II, "Canones": DH 424, 426.
2) L'autore parla di "ipostatizzazione" e di "ipostasi" del
Logos e dello Spirito: intende cioè dire che le "metafore" bibliche
"Logos" e "Spirito" successivamente sarebbero diventate
"entità reali" nel linguaggio della Chiesa ellenistica (cfr p. 475).
3) Cfr Concilium Nicaenum, "Professio fidei": DLI 125. La confessione
nicena, riconfermata in altri concili ecumenici (cfr Concilium
Constantinopolitanum I, "Professio fidei": DH 150; Concilium
Chalcedonense, "Professio fidei": DH 301, 302), costituisce la base
delle professioni di fede di tutte le confessioni cristiane.
4) Cfr Concilium Nicaenum, "Professio fidei":DH 125; Concilium
Constantinopolitanum I, "Professio fidei": DH 150; Concilium
Chalcedonense, "Professio fidei": DH 301, 302.
5) Cfr Concilium Constantinopolitanum I, "Professio fidei": DH 150;
"Quicumque": DLI 75; Synodus Toletana XI, "Professio fidei":
DH 525-532; Synodus Toletana XVI, "Professio fidei": DH 568-573;
Concilium Lateranense IV, "Professio fidei": DH 803-805; Concilium
Florentinum, "Decretum pro Iacobitis": DLI 1330-1331; Concilium
Vaticanum II, Const. Dogm. "Lumen gentium", nn. 2-4.
6) Cfr Concilium Nicaenum, "Professio fidei": DH 125; Concilium
Tridentinum, "Decretum de iustificatione": DH 1522, 1523; "De
poenitentia": DH 1690; "De Sacrificio Missae": DH 1740; Concilium
Vaticanum II, Const. Dogm. "Lumen gentium", nn. 3, 5, 9; Const. Pastor.
"Gaudium et spes", n. 22; Ioannes Paulus II, Litt. Encycl. "Ecclesia
de Eucharistia", n. 12.
7) Cfr Innocentius XI, Const. "Cum occasione", n. 5: DH 2005; Sanctum
Officium, Decr. "Errores Iansenistarum", n. 4: DH 2304; Concilium
Vaticanum II, Const. Dogm. "Lumen gentium", n. 8; Const. Pastor.
"Gaudium et spes", n. 22; Decr. "Ad gentes", n. 3; Ioannes
Paulus II, Litt. Encycl. "Redemptoris missio", nn. 4-6; Congregatio
pro Doctrina Fidei, Decl. "Dominus Iesus", nn. 13-15. Per quanto
riguarda l'universalità della missione della Chiesa cfr "Lumen gentium",
nn. 13, 17; "Ad gentes", n. 7; "Redemptoris missio", nn.
9-11; "Dominus Iesus", nn. 20-22.
ADISTA n°20 del 12.3.2005