IL PARTITO DELLA CEI
Altro che Grande Centro o Dc ri-sorta. Il vero nuovo partito,
spuntato in Italia, si chiama Cei. La lobby più potente, ascoltata e
corteggiata (e temuta) dello scenario politico. Più efficace dei sin-dacati,
che devono sfiatarsi per farsi sentire. Più imperiosa di Confindustria,
approdata a uno stile soft. Più autorevole di Bankitalia, immobilizzata da una
bonaccia infida.
Quando Ruini inforca gli occhiali e legge le sue prolusioni, una schiera
inquieta di attori, tra governo e partiti, in economia e diplomazia, si mette
sul-l'attenti per la distribuzione dei voti: bene, ottimo, sufficiente,
insufficiente, pessimo.
Camillo Ruini è l'autore del miracolo. Traghettare la Chiesa italiana dal
paradiso del regime democristiano attraverso il diluvio di Tangentopoli, che
sfascia il partito cattolico, fino alla centralità strategica dell'anno domini
2005. Là dov'era un'assemblea di prelati, in rispettosa ricezione delle
indicazioni vaticane, si staglia oggi un fortino, retto da una lucida volontà
di potere, organizzato secondo un centralismo assoluto. La parte dell'attività
religiosa c'è tutta, naturalmente. Il "di più" è l'acquisizione di
un protagonismo politico così massiccio da permettersi il lusso di proclamare
ai quattro venti il "non coinvolgimento" con nessuno schieramento.
Due brindisi segnano la traiettoria di questa mutazione. 1975, gli scout romani
festeggiano la conquista dell'Urbe da parte della sinistra: è un mondo
cattolico che si tappa le orecchie dinanzi alle prediche filo-Dc della gerarchia
ecclesiastica. Altro sapore ha lo champagne ai piani alti della Margherita il 13
giugno 2005 dopo il fallimento del referendum sulla procreazione assistita: la
Cei ha imposto l'agenda dell'astensione, la Cei ha vinto e Rutelli, spaccando il
fronte cattolico--democratico, liberale, laico e di sinistra, si sente compagno
di vittoria.
Anni di fermento e dibattiti vivacissimi quelli della Cei pre-ruiniana. Al primo
convegno ecclesiale del '76 (il cardinale Poma è presidente) spuntano i cento
fiori del cattolicesimo italiano.
Padre Sorge denuncia "il tarlo dell'in-tegralismo e la nostalgia del
monolitismo". Il sociologo De Rita esalta i cristiani che entrano
"nelle cose" per portarvi senso religioso e impegno civile. Scoppola
parla di pluralismo, lo storico Bolgiani condanna il referendum anti-divorzio,
il professore Ardigò non approva la delega alla Dc come canale privilegiato del
cattolicesimo.
La Cei di Ballestrero, un carmelitano estraneo alla politica posto alla guida
dell'episcopato dal 1979 al 1985, trae coraggiosamente le conclusioni. Una
Chiesa proiettata verso l'animazione religiosa della società italiana e
convinta che nella società plurale c'è da costruire una cultura della
mediazione. Il convegno ecclesiale di Loreto nell'aprile 1985 respira a pieni
polmoni questa atmosfera con il cardinale Pappalardo che - ante litteram -
chiede perdono per le colpe dei vescovi: "Per tutto quello che di più e di
meglio avremmo potuto fare e non abbiamo fatto". Il piccolo dettaglio è
che papa Wojtyla è su tutt'altra linea. A un mese dalle elezioni martella nella
testa di vescovi e fedeli l'imperativo dell'unità dei cattolici in politica.
"Impegno unitario" è la parola d'ordine. Specie quando lo esige
"il bene supremo della nazione", cioè subito.
Si volta pagina. Ruini diventa segretario generale della Cei e dopo
l'intermez-zo della presidenza Poletti (dal 1985 al 1990) inizia - Wojtyla
benedicente - la sua leadership dell'episcopato per ben tre mandati. Tappe assai
definite. Difesa ferrea del ruolo-guida della Dc fino al crollo, sabotaggio,
alla vigilia delle elezioni del 1994, dell'ipotesi di un centro-sinistra guidato
da Mario Segni ("ne stavamo trattando con Segni, quando improvvisamente
lasciò perdere", ricorda Occhetto allora segretario del Pds), collocazione
della Cei sul crinale di quel pugno di voti dove si decide il sostegno, il
favore o almeno la benevolenza della gerarchia ecclesiastica ad un polo o
all'altro.
Con Berlusconi, Alleanza nazionale e i postcomunisti, per motivi diversi ma
convergenti, in ansiosa ricerca di legit-timazione il gioco della Chiesa da
gruppo di pressione, anzi negoziatore politico dietro le quinte, diventa
progressivo. Nessuno si può permettere di contrapporsi apertamente alla
gerarchia ecclesiastica.
All'interno dell'episcopato il prezzo da pagare è una centralizzazione
assoluta. Se negli anni Novanta vi sono ancora personalità percepite per la
loro visione come antagoniste quali il cardinale Martini di Milano o perlomeno
distanziate come i cardinali Pappalardo a Palermo o Piovanelli a Firenze, gli
anni Duemila portano alla sintonizzazione. Tettamanzi, ora a Milano, è
prudente. Scola a Venezia si concentra sul domani. Con la politica, per la
politica tratta solo Ruini. Se un tempo "tra Dc e Vaticano si mescolavano i
canali di comunicazione", con visioni e proposte diverse, rammenta
Dome-nico Rosati ex presidente delle Acli - Moro comunicava con Paolo VI,
Fanfani con il segretario di Stato Benelli, Andreotti con tutti - oggi tutto
passa per il tavolo del capo della Cei. Ruini tratta direttamente con Letta,
Rutelli, Casini e Fini (almeno fino allo strappo sul referendum), lasciando al
suo braccio destro mons. Betori di incontrarsi con Fassino.
La vendemmia del lobbismo sistematico è notevole: statalizzazione degli
insegnanti di religione, inserimento degli istituti cattolici nel sistema
scolastico pubblico, legge sugli oratori, restrizioni alla legge sulla
procreazione assistita, cancellazione della proposta del divorzio breve. Chi si
oppone troppo apertamente, viene punito. Le sinistre appoggiano il Gay Pride a
Roma nell'anno del Giubileo? "Al momento debito i cittadini decide-ranno
con il voto", manda a dire mons. Fisichella, braccio destro di Ruini
cardinal Vicario.
A giro di posta (quando Badaloni emana norme sulle coppie di fatto in regione)
dal Vicariato parte il suggerimento a parrocchie e congregazioni religiose di
aiutare nello stesso anno il centro-destra a conquistare il Lazio.
Il ruolo centrale del cardinale presidente viene esaltato anche nella giornata
storica dei funerali dei caduti a Nassiriya, il 18 novembre 2003. È Ruini a
marcare d'improvviso le linee di politica estera in una vicenda controversa come
la guerra in Iraq verso cui papa Wojtyla si era mostrato contrarissimo:
"Non fuggiremo davanti ai terroristi assassini - scandisce - anzi li
fronteggeremo con la determinazione necessaria". Dopo la benedizione
cardinalizia la missione voluta da Berlusconi prosegue. Nell'ultimo decennio la
conquista del centro-campo da parte della Cei si è rafforzata anche con la
rivita-lizzazione delle istituzioni culturali cattoliche attraverso il
cosiddetto "Progetto culturale". Il teologo Bruno Forte, oggi vescovo
di Chieti, e il rettore della Cattolica Ornaghi sono in prima fila. Dino Boffo,
direttore dell'Avvenire, si è impegnato nella riorganizzazione dei media
cattolici, dalla stampa alla radio alle tv, perché il verbo della Cei arrivi in
ogni angolo del Paese.
Monsignor Betori, segretario generale dell'episcopato, garantisce il
funzionamento della grande macchina delle commissioni episcopali. Vescovi come
Fisichella (ora rettore della Lateranense) e Caffarra a Bologna sono nella
pattuglia che esalta il rapporto con gli "atei devoti", preziosi
alleati al referendum: il capolavoro della strategia politica ruiniana. Le
nostre indicazioni - ha dichiarato soddisfatto il cardinale - erano "in
sintonia con il sentire della grande maggioranza della nostra gente".
L'obiettivo è incassare altre vittorie.