PACS, PERCHÉ LA CARTA DICE DI SÌ - intervista a Stefano Rodotà


il manifesto - 21 settembre 2005
 di Ida Dominijanni

Patti civili di solidarietà, dopo l'intervento a gamba tesa di monsignor Ruini la polemica impazza. E la posta in gioco non riguarda solo le unioni di fatto, ma più in profondità la concezione della famiglia, della sessualità, dei diritti fondamentali. E rinnova, pochi mesi dopo l'accesa campagna referendaria sulla procreazione assistita, il problema della laicità dello Stato. Ne parliamo con Stefano Rodotà, ordinario di diritto civile alla Sapienza di Roma, ex garante della privacy, coestensore della Carta europea dei diritti.
Il presidente della Cei sostiene che i Pacs sono incostituzionali. Lo sono?
Nella Costituzione italiana c'è l'articolo 29, che definisce la famiglia una "società naturale fondata sul matrimonio", ma c'è anche l'articolo 2, che garantisce i diritti inviolabili dell'individuo "sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità", nonché l'articolo 3, sul divieto di discriminazione per le condizioni personali dei cittadini. Mi pare evidente che i Pacs servono appunto a sanare alcune discriminazioni, e che le convivenze rientrino nelle "formazioni sociali" cui si riferisce l'articolo 2. Formazioni che peraltro vanno assumendo peso e rilevanza crescente: l'ultimo rapporto Istat stima che nell'ul timo decennio il numero delle unioni di fatto è salito a 550.000, circa il doppio dei matrimoni. Un fenomeno di questa entità domanda attenzione istituzionale. E infatti ce l'ha: alla Camera, in commissione giustizia, è in corso un'indagine conoscitiva serissima sull'argomento che contrasta con la bagarre mediatica di questi giorni. Ma questo è solo un pezzo del discorso. Perché non possiamo più discutere di diritti, in materia di Pacs e in qualunque materia, senza fare riferimento anche alla Carta europea dei diritti, che ormai è diventata punto di riferimento per molte corti nazionali. E la Carta europea contempla distintamente il diritto di sposarsi e il diritto di formare una famiglia - un punto che a suo tempo non sfuggì alla Chiesa e non mancò di sollevarne le obiezioni. Dunque, nel sistema costituzionale europeo non si può più parlare come se il matrimonio fosse la regola e le altre forme di unione familiare un'eccezione da tollerare. Sempre che nel sistema costituzionale europeo si creda: ma se Frattini invoca l'adesione alla Carta degli immigrati, non capisco perché essa non dovrebbe poi valere sui Pacs.
Ma la Chiesa prescinde tranquillamente dalla Carta europea, e inter preta a suo modo la Costituzione italiana. E non è sola, a quanto pare.
Questa lettura chiusa della Costituzione speravamo di essercela lasciata alle spalle con la riforma del diritto di famiglia del '75, che aveva archiviato il modello unico, gerarchico e chiuso di famiglia e aveva aperto a una concezione della famiglia basata sugli affetti e le relazioni reali. Anche nella prima metà degli anni ‘70 circolava, nel mondo giuridico e politico, una lettura chiusa degli articoli 29 e 30 della Costituzione, per impedire il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio: i promotori del referendum abrogativo della legge sul divorzio ne minacciarono un altro su questo punto, ma la vittoria del no li bloccò e sbloccò la riforma del diritto di famiglia. Oggi il gioco è rovesciato: la nostra sconfitta nel referendum sulla procreazione assistita rafforza i tentativi di tornare a una interpretazione della Costituzione precedente a quella riforma. Non c'è da stupirsi del resto: è un tassello del più complessivo attacco alla prima parte della Costituzione che è in atto in Italia non da oggi.
Non solo da parte della Chiesa, e non solo da parte della destra.
Come già si era visto durante il referendum sulla procreazione assistita. Insisto su quel passaggio, perché è stato un passaggio sintomatico. Ruini, che oggi combatte contro i Pacs, è stato anche lo stratega della crociata contro la procre azione assistita. Il fatto è che la fine dell'unità politica dei cattolici ha scate nato da un lato l'interventismo nella cosa pubblica della Chiesa, dall'altro una gara fra le forze politiche per la conquista dei voti cattolici. Nel panorama politico italiano, dobbiamo valutarlo con fred-dezza, c'è un soggetto nuovo e agguer-rito che si chiama Cei. Inten diamoci: il punto non è la legittimità dei vescovi di dire la loro; il punto è la risposta subalterna del sistema politico al loro protagonismo. Già sulla procreazione assistita non c'era niente, nella cultura delle forze laiche, che contrastasse il punto di vista della Chiesa: a sinistra è radicatissima la convinzione del vantag-gio cattolico in materia di etica e di bioetica, e quello che abbiamo sentito dire è stato solo che sulle questioni bioetiche vale la libertà di coscienza e la politica deve fare passi indietro.
Allarghiamo di nuovo lo sguardo all'Europa: altrove non accade quello che accade in Italia. In Germania, il viaggio di Benedetto XVI e il suo impegno militante sulle radici cristiane dell'Unione non ha portato voti a Angela Merkel. In Spagna, paese cattolicissimo, Zapatero va avanti per la sua strada.
Sì, con un forte sostegno dell'opi-nione pubblica, e il presidente della Commissione episcopale s'è dovuto dimettere. È in Italia che tira questo vento di restaurazione politica e sociale. Con una sinistra che non ha la forza culturale per contrastarlo. E una destra che dovrebbe preoccuparsi anch'essa di diventarne prigioniera.
La proposta di Rutelli di sostituire i Pacs con i Ccs, contratti di convivenza solidale, va vista in questa chiave di rincorsa ai voti cattolici, evidentemente. Ma sul piano tecnico che cosa comporta?
I Pacs sono contratti civilistici a rilevanza pubblica, che attribuiscono ai contraenti una serie di diritti e doveri reciproci che devono essere riconosciuti anche da terzi. I Ccs proposti da Rutelli sono semplici contratti privati, non opponibili a terzi: significa che due persone che convivono possono pattuire fra loro quello che vogliono, ma lo Stato, gli enti previdenziali e quant'altri non sono vincolati da quel patto. Certo, tecnicamente si potrebbe arrivare a risultati analoghi a quelli dei Pacs anche "novellando il codice", cioè stabilendo che la stipula di uno di questi contratti avrebbe conseguenze vincolanti sui contratti di locazione, sulla previdenza e via dicendo (ma bisognerebbe comunque definire le caratteristiche della convivenza in presenza delle quali i contratti producono obbligazioni per i terzi). Tuttavia: anche se per questa via si arrivasse a risultati pratici sufficienti, la posta in gioco ne verrebbe depotenziata sul piano simbolico. Verrebbe meno il carattere pubblico dei Pacs, e dunque il riconoscimento pubblico di queste forme di convivenza. Che non è meno importante della possibilità di subentrare al contratto d'affitto del partner o di accedere alla sua eredità.