PACS, PERCHÉ LA CARTA DICE DI SÌ - intervista a Stefano Rodotà
Patti civili di solidarietà, dopo l'intervento a gamba tesa di
monsignor Ruini la polemica impazza. E la posta in gioco non riguarda solo le
unioni di fatto, ma più in profondità la concezione della famiglia, della
sessualità, dei diritti fondamentali. E rinnova, pochi mesi dopo l'accesa
campagna referendaria sulla procreazione assistita, il problema della laicità
dello Stato. Ne parliamo con Stefano Rodotà, ordinario di diritto civile alla
Sapienza di Roma, ex garante della privacy, coestensore della Carta europea dei
diritti.
Il presidente della Cei sostiene che i Pacs sono incostituzionali. Lo sono?
Nella Costituzione italiana c'è l'articolo 29, che definisce la famiglia una
"società naturale fondata sul matrimonio", ma c'è anche l'articolo
2, che garantisce i diritti inviolabili dell'individuo "sia come singolo
sia nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità", nonché
l'articolo 3, sul divieto di discriminazione per le condizioni personali dei
cittadini. Mi pare evidente che i Pacs servono appunto a sanare alcune
discriminazioni, e che le convivenze rientrino nelle "formazioni
sociali" cui si riferisce l'articolo 2. Formazioni che peraltro vanno
assumendo peso e rilevanza crescente: l'ultimo rapporto Istat stima che nell'ul
timo decennio il numero delle unioni di fatto è salito a 550.000, circa il
doppio dei matrimoni. Un fenomeno di questa entità domanda attenzione
istituzionale. E infatti ce l'ha: alla Camera, in commissione giustizia, è in
corso un'indagine conoscitiva serissima sull'argomento che contrasta con la
bagarre mediatica di questi giorni. Ma questo è solo un pezzo del discorso.
Perché non possiamo più discutere di diritti, in materia di Pacs e in
qualunque materia, senza fare riferimento anche alla Carta europea dei diritti,
che ormai è diventata punto di riferimento per molte corti nazionali. E la
Carta europea contempla distintamente il diritto di sposarsi e il diritto di
formare una famiglia - un punto che a suo tempo non sfuggì alla Chiesa e non
mancò di sollevarne le obiezioni. Dunque, nel sistema costituzionale europeo
non si può più parlare come se il matrimonio fosse la regola e le altre forme
di unione familiare un'eccezione da tollerare. Sempre che nel sistema
costituzionale europeo si creda: ma se Frattini invoca l'adesione alla Carta
degli immigrati, non capisco perché essa non dovrebbe poi valere sui Pacs.
Ma la Chiesa prescinde tranquillamente dalla Carta europea, e inter preta a suo
modo la Costituzione italiana. E non è sola, a quanto pare.
Questa lettura chiusa della Costituzione speravamo di essercela lasciata alle
spalle con la riforma del diritto di famiglia del '75, che aveva archiviato il
modello unico, gerarchico e chiuso di famiglia e aveva aperto a una concezione
della famiglia basata sugli affetti e le relazioni reali. Anche nella prima metà
degli anni ‘70 circolava, nel mondo giuridico e politico, una lettura chiusa
degli articoli 29 e 30 della Costituzione, per impedire il riconoscimento dei
figli nati fuori dal matrimonio: i promotori del referendum abrogativo della
legge sul divorzio ne minacciarono un altro su questo punto, ma la vittoria del
no li bloccò e sbloccò la riforma del diritto di famiglia. Oggi il gioco è
rovesciato: la nostra sconfitta nel referendum sulla procreazione assistita
rafforza i tentativi di tornare a una interpretazione della Costituzione
precedente a quella riforma. Non c'è da stupirsi del resto: è un tassello del
più complessivo attacco alla prima parte della Costituzione che è in atto in
Italia non da oggi.
Non solo da parte della Chiesa, e non solo da parte della destra.
Come già si era visto durante il referendum sulla procreazione assistita.
Insisto su quel passaggio, perché è stato un passaggio sintomatico. Ruini, che
oggi combatte contro i Pacs, è stato anche lo stratega della crociata contro la
procre azione assistita. Il fatto è che la fine dell'unità politica dei
cattolici ha scate nato da un lato l'interventismo nella cosa pubblica della
Chiesa, dall'altro una gara fra le forze politiche per la conquista dei voti
cattolici. Nel panorama politico italiano, dobbiamo valutarlo con fred-dezza, c'è
un soggetto nuovo e agguer-rito che si chiama Cei. Inten diamoci: il punto non
è la legittimità dei vescovi di dire la loro; il punto è la risposta
subalterna del sistema politico al loro protagonismo. Già sulla procreazione
assistita non c'era niente, nella cultura delle forze laiche, che contrastasse
il punto di vista della Chiesa: a sinistra è radicatissima la convinzione del
vantag-gio cattolico in materia di etica e di bioetica, e quello che abbiamo
sentito dire è stato solo che sulle questioni bioetiche vale la libertà di
coscienza e la politica deve fare passi indietro.
Allarghiamo di nuovo lo sguardo all'Europa: altrove non accade quello che accade
in Italia. In Germania, il viaggio di Benedetto XVI e il suo impegno militante
sulle radici cristiane dell'Unione non ha portato voti a Angela Merkel. In
Spagna, paese cattolicissimo, Zapatero va avanti per la sua strada.
Sì, con un forte sostegno dell'opi-nione pubblica, e il presidente della
Commissione episcopale s'è dovuto dimettere. È in Italia che tira questo vento
di restaurazione politica e sociale. Con una sinistra che non ha la forza
culturale per contrastarlo. E una destra che dovrebbe preoccuparsi anch'essa di
diventarne prigioniera.
La proposta di Rutelli di sostituire i Pacs con i Ccs, contratti di convivenza
solidale, va vista in questa chiave di rincorsa ai voti cattolici,
evidentemente. Ma sul piano tecnico che cosa comporta?
I Pacs sono contratti civilistici a rilevanza pubblica, che attribuiscono ai
contraenti una serie di diritti e doveri reciproci che devono essere
riconosciuti anche da terzi. I Ccs proposti da Rutelli sono semplici contratti
privati, non opponibili a terzi: significa che due persone che convivono possono
pattuire fra loro quello che vogliono, ma lo Stato, gli enti previdenziali e
quant'altri non sono vincolati da quel patto. Certo, tecnicamente si potrebbe
arrivare a risultati analoghi a quelli dei Pacs anche "novellando il
codice", cioè stabilendo che la stipula di uno di questi contratti avrebbe
conseguenze vincolanti sui contratti di locazione, sulla previdenza e via
dicendo (ma bisognerebbe comunque definire le caratteristiche della convivenza
in presenza delle quali i contratti producono obbligazioni per i terzi).
Tuttavia: anche se per questa via si arrivasse a risultati pratici sufficienti,
la posta in gioco ne verrebbe depotenziata sul piano simbolico. Verrebbe meno il
carattere pubblico dei Pacs, e dunque il riconoscimento pubblico di queste forme
di convivenza. Che non è meno importante della possibilità di subentrare al
contratto d'affitto del partner o di accedere alla sua eredità.