FUORI DALLA SALVEZZA NON C’E’ CHIESA. SECONDO ATTO DI UNA RICERCA TEOLOGICA SUL PLURALISMO RELIGIOSO
DOC-1630. ROMA-ADISTA. Un altro passo lungo "i molti
cammini di Dio": con la pubblicazione del secondo dei cinque libri
progettati dall'Associazione dei teologi e delle teologhe del Terzo Mondo (Asett)
sul tema della teologia pluralista della liberazione (titolo generale
dell'opera: "Per i molti cammini di Dio"), prende nuovo slancio la
costruzione di una teologia cristiana latinoamericana del pluralismo religioso.
Il primo libro dell'opera (di cui Adista ha pubblicato degli stralci sul n.
66/03), dal sottotitolo "Sfide del pluralismo religioso alla teologia della
liberazione" (edizione italiana: "I volti del Dio liberatore. Le sfide
del pluralismo religioso", Emi, Bologna, 2004), si poneva l'obiettivo di
segnalare le principali sfide poste dal pluralismo religioso alla TdL
latinoamericana. Il secondo, dal sottotitolo "Verso una teologia cristiana
e latinoamericana del pluralismo religioso", muove un passo in più,
tentando di ordinare le esperienze fin qui condotte in una riflessione teologica
sistematica, circoscritta all'ambito della teologia cristiana e legata
concretamente all'esperienza dell'America Latina intesa come "Continente
spirituale", di cui "la Teologia della Liberazione costituisce la
spina dorsale". Come scrivono nell'introduzione i curatori del libro, Luiza
Tomita, Marcelo Barros e José María Vigil della Commissione teologica
latinoamericana dell'Asett, l'espressione "pluralismo religioso" è
impiegata come "nuovo nome della teologia sulla pluralità religiosa",
intendendo il pluralismo, però, "non come semplice pluralità, bensì come
nuovo paradigma": per ora "solo 'in cammino verso', consapevoli di non
aver ancora attraversato il Rubicone, ma impegnati nel discernimento teologico
che il libro rappresenta in modo significativo".
Dei volumi che ancora devono essere pubblicati, il terzo procederà nella
costruzione di una teologia latinoamericana pluralista della liberazione, il
quarto estenderà la ricerca all'ambito intercontinentale, il quinto, infine,
dovrà "attraversare la stessa frontiera cristiana e porsi come un libro di
'teologia della liberazione multireligiosa mondiale del pluralismo religioso'".
"La gloria di Dio è che il povero viva"
L'importanza del tema non lascia spazio a dubbi. Come scrive José María Vigil
(autore di ben tre articoli del libro), la convivenza obbligata delle religioni
in un unico mondo globalizzato porta con sé domande a cui non è possibile
sfuggire: "che significa l'esistenza di altre religioni? Sono religioni
vere, valide, salvifiche? Che ne è del carattere assoluto che ogni religione
aveva preteso per sé fino ad ora? Si può continuare a pensare in termini
esclusivisti ("al di fuori di noi non c'è salvezza") o anche
inclusivisti ("la verità che c'è fuori di noi partecipa all'unica verità,
la nostra")? Pertanto, "accettare sinceramente il pluralismo religioso
comporta riformulare, rileggere, rielaborare tutto questo patrimonio, ossia
riformulare la propria religione": le religioni, cioè, "sono sfidate
a ricreare la propria autocomprensione e la propria interpretazione della realtà;
a convertirsi, a morire e a tornare a nascere".
Ma di quale dialogo si tratta? Secondo Vigil, "non si tratta di discutere
di teologia, né di cercare di convincersi reciprocamente, né molto meno di
convertire altri. Il dialogo urgente è il dialogo di vita, quello che produce e
moltiplica la Vita". Il criterio di verifica sarà, per tutte le religioni,
quello del soteriocentrismo, ossia la loro capacità di essere cammini di
salvezza per gli esseri umani: "questa è la loro missione, questa è la
loro giustificazione". Il principio in base a cui "fuori della Chiesa
non c'è salvezza" (tuttora presente, per quanto ammorbidito, nella Dominus
Iesus, secondo cui fuori della Chiesa gli esseri umani si trovano "in una
situazione salvifica gravemente deficitaria") si rovescia nel suo
contrario: "fuori della salvezza non c'è autentica Chiesa". "Se
la religione non produce sotería, ossia se non trasforma l'essere umano e il
mondo a favore della giustizia, se non opta per i poveri, se non si unisce alle
altre religioni nel dialogo e nella cooperazione per la trasformazione del
mondo, allora è una religione 'falsa', o falsificata, o inutile". Se la
religione "vuole dare 'gloria a Dio' deve mostrare di far vivere l'essere
umano, specialmente il povero, la vittima dell'ingiustizia, secondo la frase di
S. Ireneo ('la gloria di Dio è che l'essere umano viva') rivisitata da San
Romero d'America ('la gloria di Dio è che il povero viva')".
Quanto al cristianesimo, il suo compito "principale e più urgente"
non è tanto il pur fondamentale rinnovamento interno, quanto l'assunzione della
sua "responsabilità globale rispetto al mondo e alla storia, appoggiando
il dialogo tra le religioni intorno all'essenziale dell'esperienza religiosa:
l'opzione per i poveri come opzione per la giustizia e per la costruzione di un
Mondo Nuovo".
La necessità di una conversione comune
Il dialogo tra le religioni porta con sé, inevitabilmente, un ripensamento
della cristologia, come prima sfida lanciata dalla teologia del pluralismo alla
teologia della liberazione. Si tratta, indubbiamente, di un compito enorme e
delicato, anche a causa, come sottolinea Vigil, delle temute rappresaglie nei
confronti dei teologi che si avventurano ad intraprenderlo con creatività o
"semplicemente con libertà e sincerità": il nucleo dogmatico
cristologico è infatti venuto identificandosi con l'essenza stessa del
cristianesimo, al punto che "la prassi, l'amore, le beatitudini, il Vangelo
stesso… sono stati posposti a questo nucleo dogmatico nella coscienza
cristiana abituale".
Come afferma il teologo brasiliano Marcelo Barros (nei due articoli da lui
scritti), "oggi è normale che si dica che Gesù non annunciò se stesso ma
il Regno. Se questo è vero, allora non è giusto porre come condizione per il
dialogo con altre religioni il fatto che gli altri accettino Gesù come
salvatore". Non a caso, Martin Buber, che chiamava Gesù "il nostro
fratello maggiore", diceva che "la fede di Gesù unisce ebrei e
cristiani" e che la fede in Gesù li separa. Le stesse parole di Gesù alla
samaritana - "è giunto il momento in cui né su questo monte, né in
Gerusalemme adorerete il Padre", "Dio è spirito e quelli che lo
adorano devono adorarlo in spirito e verità" - contengono, secondo Barros,
"una profonda critica a ogni religione e, allo stesso tempo, invitano tutte
e convertirsi a questo culto in spirito e verità, indipendentemente dal fatto
che la persona sia ebrea, samaritana, cristiana, buddista o di religione
indigena". Da qui la necessità, secondo Marcelo Barros, anche di "una
nuova forma di interpretare la morte e la missione di Gesù": Gesù non
intendeva la sua morte come sacrificio espiatorio; salvezza e redenzione, per
lui, non dipendevano da questa, ma dal fatto che le persone, qualunque fosse la
loro religione, si lasciassero penetrare dall'amore di Dio.
Ciò non significa, aggiunge Barros, "ridurre la formulazione della fede a
qualcosa di accettabile per tutti": riconoscere il pluralismo come qualcosa
di positivo per la fede è assumere questa diversità 'irriducibile' e non
tentare di imprigionare gli altri, giudicandoli a partire dallo schema della
nostra fede. Non si tratta di ripensare la cristologia perché risulti
accettabile agli ebrei o ai musulmani. La sfida consiste nel riformulare la
cristologia per noi, i cristiani, perché ci aiuti ad aprirci agli altri" e
a percepire i "molti cammini" di Dio, nell'accettazione umile
dell'ineffabilità del suo mistero.
Rotte aperte verso Dio
"Il terreno delle religioni - scrive Diego Irarrázaval, presidente dell'Asett,
nell'epilogo del libro - è accidentato e disuguale. Camminiamo con difficoltà.
In mezzo ad ambivalenze ed ostacoli, esistono rotte aperte verso Dio. Il fecondo
dialogo tra la fede cristiana e altre religioni offre nuove comprensioni della
Presenza amata da tutte le forme del credere". Esistono, d'altro lato,
"ostacoli e sentieri intransitabili": la condizione umana e la natura
sono minacciate da forze distruttrici e da falsi dei; "alcune rotte
religiose non conducono a Dio, ma deviano verso idolatrie del potere e
dell'unilaterale ego moderno e postmoderno". Su questo terreno accidentato
i diversi autori del libro (oltre a quelli citati, Mario Pérez Pérez, una
delle nuove figure della teologia e della pastorale indigene in Messico; Luiz
Carlos Susin, professore ordinario alla Pontifica Università Cattolica del Rio
Grande do Sul; Paul Knitter, tra i massimi esponenti della teologia delle
religioni; il pastore battista Jorge Pixley; Pablo Bottas), cercano di far luce
su questioni di grande rilevanza come l'universalità della Rivelazione, il
monoteismo cristiano, la crisi delle religioni, la teologia della salvezza, la
riconsiderazione della persona e dell'opera di Cristo. A questi temi si
richiamano anche i due interventi - di cui pubblichiamo qui di seguito ampi
stralci, in una nostra traduzione dallo spagnolo - di José Comblin, uno dei
grandi teologi fondatori della Teologia della Liberazione, e di Francisco de
Aquino Júnior, professore di teologia all'Istituto Teologico Pastorale del Ceará,
in Brasile.
LA TEOLOGIA DELLE RELIGIONI
VISTA DALL'AMERICA LATINA
di José Comblin
Fin dall'inizio è necessario dire che non si intende qui
offrire una teologia a partire dall'America Latina come se fosse un punto di
vista particolare, uno tra i tanti, come se fossero tutti equivalenti e
accettabili. Quello che è accaduto nella teologia latinoamericana negli ultimi
decenni non è un fenomeno locale. Non è nata una teologia particolare, una
teologia circostanziale, locale, parziale. Così la vedono in Europa e in questo
si sbagliano totalmente. Gli europei credono di situarsi in un punto di vista
universale, credono di rappresentare l'universalità e di poter giudicare le
teologie di tutti gli altri come se si trattasse di teologie particolari che non
riguardano la teologia universale.
È la teologia del Primo Mondo ad essere una teologia circostanziale, locale,
parziale, particolare, perché è una teologia della cristianità occidentale.
Non ha ancora rotto il legame con la cristianità, così come le Chiese storiche
della cristianità: non hanno assimilato - e soprattutto non hanno portato
avanti - il Vaticano II (…).
Che è successo in America Latina? Esattamente il contrario: si è portata
avanti la teologia del Vaticano II in una forma radicale e si è abbandonato lo
schema della cristianità. Si è preso sul serio quello che diceva il Vaticano
II, cercando il popolo di Dio in mezzo ai poveri, cosa che le Chiese del Primo
Mondo non si sono azzardate a fare e che la burocrazia romana è riuscita ad
impedire difendendo la sua politica di alleanza con i poteri nella società
occidentale, erede della cristianità. (…)
Naturalmente, all'interno della cristianità, vi sono state moltitudini di
cristiani poveri che hanno compreso il Vangelo e lo hanno vissuto: erano il
popolo di Dio, ma tra loro e la struttura di cristianità c'era un abisso quasi
senza comunicazione. Il popolo pensava una cosa, e il sistema un'altra.
(…) In America Latina è avvenuta all'interno dello stesso clero e all'interno
della teologia la riscoperta dei poveri e il vero senso della buona novella, del
Vangelo che si rivolge ai poveri e non semplicemente agli esseri umani come se
fossero tutti uguali. Quello che troviamo nella Bibbia è, precisamente, che non
sono uguali, che nella storia vi sono ricchi e poveri, dominatori e dominati,
sfruttatori e sfruttati, oppressori e oppressi, e che il Vangelo ha senso nella
denuncia di questa situazione, affermata fino alla morte dai profeti di tutti i
tempi.
La teologia latinoamericana (…) ha riscoperto l'essenzia-le del cristianesimo,
il suo messaggio centrale. Come ha potuto farlo? Perché ha rotto con la
cristianità, ha rotto con il sistema coloniale, ha rotto con il sistema
ecclesiastico. (…)
Si è scoperto che la Chiesa vera è la Chiesa dei poveri, quella che non è
riconosciuta né accettata dal sistema. Cardinali, vescovi, sacerdoti,
religiosi, leader laici hanno rotto con il sistema e per questo hanno conosciuto
la vera Chiesa. Con i poveri hanno scoperto che la vera unità è escatologica,
si situa alla fine, ma che in questo momento siamo in una storia di lotta, la
lotta dei poveri per la loro liberazione, che è ciò che Gesù annunciò al suo
popolo opponendosi a tutte le autorità di Israele, clero, dottori, anziani capi
delle grandi famiglie. Hanno scoperto che il messaggio di Gesù è la speranza
di una liberazione totale.
Situandosi in mezzo ai poveri, hanno capito che questa liberazione non si
riferisce solo alla vita futura, che non si condensa in una cristianità
idealizzata, ma che è presente nella lotta costante e perseverante dei poveri
illuminati dalla promessa divina della loro piena liberazione. Questo non vuol
dire che gli altri siano esclusi. Gesù offre loro un mezzo di salvezza:
abbandonare la ricchezza e unirsi al popolo dei poveri.
Questo è il punto di vista che ci permette di giudicare e di apprezzare il
significato del dialogo interreligioso.
1. Chi sta dialogando?
1.1. Chi dialoga con chi?
La questione è: se quelli che dialogano a nome del cristianesimo sono membri
della struttura di cristianità - clero, religiosi - conviene dubitare molto.
Non rappresentano il cristianesimo. Sarebbero sempre preoccupati di uscire
dall'or-todossia. Quello che presenteranno come cristianesimo sarà
l'ortodossia, cioè il sistema istituzionale della cristianità. (…)
Questo sistema è quello che si è presentato come cristianesimo per 16 secoli a
tutti gli altri popoli. (...). Ancora oggi la maggior parte dei membri del
sistema sono impregnati di esso e non riescono neppure a capire di essere dentro
un sistema. Credono che quanto dicono è il cristianesimo perché è quanto
hanno appreso nella loro teologia ed è quanto pratica il sistema.
Un dialogo in cui gli interlocutori che si dicono cristiani sono piuttosto
rappresentanti di un sistema è molto sospetto. E possiamo presumere che per le
altre religioni succeda qualcosa di simile. (...).
In questa fase della storia, la situazione è peggiore. C'è un cattolicesimo
ufficiale che è sempre più burocratico. Il XX secolo ha assistito al sorgere
della burocrazia vaticana che si è resa indipendente e manipola il papa,
attribuendosi i poteri di Pietro. (…) Essa produce documenti senza fine per
giustificare la sua esistenza. Ma la sua ragione d'essere, come quella di tutte
le burocrazie, è aumentare il suo potere e per questo difficilmente può
lasciar trasparire qualcosa di cristiano in mezzo a tutta questa immensa
produzione di carta stampata. (…)
Il dialogo tra burocrazie darà una ragione d'essere alle burocrazie, ma non
porterà a nulla. (...).
Un dialogo vero è un dialogo tra i popoli quando questi cominciano a convivere,
confrontando le proprie religioni e influenzandosi reciprocamente. Con ciò si
corromperà il cristianesimo? Non è probabile, perché le eresie le hanno
sempre create i chierici e non i laici. La soluzione è imprevedibile, ma non c'è
dialogo se si vuole sapere in anticipo dove si arriverà. Ogni dialogo è
rischio, perché mette in discussione, squilibra tutte le parti e le obbliga a
riformulare il proprio modo di vivere e di pensare.
1.2. La finalità del dialogo
C'è un sospetto. Nel mondo attuale tutte le religioni soffrono l'impatto del
secolarismo della civiltà occidentale, scientifica e tecnologica. Tutte si
sentono minacciate. Sentono di essere sempre più respinte dalla vita pubblica
nelle varie nazioni. Il sospetto è il seguente: i rappresentanti delle grandi
istituzioni potrebbero pensare, in quanto religioni, ad una lega di difesa dei
propri interessi specifici. Una sorta di sindacato mondiale delle religioni.
(...). Il dialogo potrebbe essere lo strumento di un'alleanza mondiale dei
fondamentalismi per promuovere l'importanza politica, sociale e culturale della
religione. (…)
Una religione non è capace di correggersi da sola. Ha bisogno di ricevere la
critica e la provocazione di altre persone ubicate fuori. Cioè, di altre
religioni. Per questo alcuni dicevano che le eresie sono necessarie perché
permettono di cercare la verità liberandosi da formule convenzionali e fisse.
Per il cristianesimo questo lavoro è particolarmente necessario perché c'è un
abisso tra il comportamento storico delle Chiese e il Vangelo di Gesù Cristo.
Il dialogo permetterà di correggere tutta la corruzione di una religione, perché
il confronto con le altre rivelerà le proprie deficienze. (…).
1.3. Cos'è la religione?
(…) Il cristianesimo vero è nell'azione dei cristiani che seguono l'azione di
Gesù. Tutto il resto è simbolo, che aiuta o impedisce la ricerca della verità,
secondo i casi. La verità della religione è ciò che va oltre la religione: la
ricerca di Gesù Cristo, di Dio, non per mezzo di simboli e atti simbolici, ma
nella realtà della vita. Che vantaggio ci sarebbe nel confrontare sistemi di
simboli? Sarebbe impedire proprio l'essenziale, la ricerca comune della verità
che è al di là di tutto ciò.
(…) Tutti insieme sono chiamati ad aiutarsi ad andare al di là dei propri
limiti, delle proprie rigidità, delle proprie idolatrie, perché l'idolatria è
considerare la religione come fine a se stessa. È fare della religione il fine
e non il mezzo che deve cedere il passo a quello che è al di là.
2. L'oggetto del dialogo
2.1. Il discernimento delle religioni
La religione può essere la migliore o la peggiore delle cose. Tutto dipende
dall'uso che se ne fa. In America, questa opposizione si è manifestata in forma
tragica. La religione ha giustificato, provocato, incentivato la distruzione
delle culture dei popoli indigeni e degli schiavi africani. Ha legittimato e
consolidato la conquista, lo sterminio e la quasi schiavitù dei popoli
indigeni. Ha giustificato l'importazione di milioni di schiavi dall'Africa e
tutto il sistema di schiavitù che durò secoli. Tutto con la benedizione della
religione ufficiale, dei suoi ministri e rappresentanti. Tutte le religioni sono
accusate di orrori simili per quanto forse non di tale estensione. (…).
D'altro lato la religione è indispensabile per dare senso alla vita. Senza
religione la vita umana non ha direzione, non ha linea, è una successione di
fatti senza significato. (…).
2.2. Il dramma dei monoteismi
Nel mondo attuale, la maggiore crisi religiosa riguarda i monoteismi. Quelli che
sussistono sono il cristianesimo, l'islamismo e il giudaismo. Sono in crisi. Nel
cristianesimo molti si sono allontanati dalla pratica tradizionale e si
dimenticano dei dogmi tradizionali. (...)..
Nel giudaismo la crisi è immensa e la grande maggioranza non è praticante,
neppure mantiene la fede nelle proprie credenze. Molti la mantengono in quanto
ebrei, ma più per motivi culturali e politici che religiosi. L'islam si difende
da un trauma tremendo attraverso il cammino del fondamentalismo. Questo entrerà
in crisi inevitabilmente perché il contatto con la nuova cultura occidentale è
inevitabile ed è essa che provoca la crisi. (…)
A questo punto dobbiamo riflettere sul cristianesimo. Questo è un monoteismo
speciale. (…) Per prima cosa, il Dio unico non ha come attributo principale il
potere, ma una combinazione di compassione, indignazione e volontà di agire.
Questo si rafforza nella figura di Gesù che, lungi dall'apparire come un dio
potente, è un dio debole, impotente, ridotto ai limiti di un essere umano,
dominato, sfruttato, escluso.
In secondo luogo, dopo la morte di Gesù, la figura di Dio che balza in primo
piano è lo Spirito, che è una forza immanente. Il Dio cristiano è al tempo
stesso trascendente e immanente ma sempre debole, senza potere di imposizione e
coercizione.
In terzo luogo, Gesù si pone alla guida della lotta dei poveri e dei dominati.
Il Dio cristiano non è un Dio cosmico che rappresenta l'immobilità
dell'universo, ma un Dio che entra nella storia non per giustificare il potere,
ma per contraddirlo. È un monoteismo che si solleva contro la società
stabilita, contro i potenti, smentendo la menzogna del monoteismo politico.
(…) Nel cristianesimo di Gesù, la povertà non è semplicemente un problema
"sociale" o "politico", risolvibile con strumenti umani
razionali, scientifici, tecnologici. Si è sempre sottolineato nella teologia
della liberazione che la fame dell'altro non è un problema tecnico, ma un
problema religioso, perché lì si incontra Dio. Per questo il capitolo 25 di
Matteo ha tanta importanza. Questo capitolo presenta il giudizio finale di Dio,
la sua ultima parola, la forma con cui il vero Dio si interessa della religione,
quello che intende per religione.
Per questo, l'attenzione ai poveri non è un'appendice, un corollario, un
aspetto della compassione umana o della solidarietà. Non è un aspetto della
giustizia. La dominazione, lo sfruttamento o l'esclusione dei poveri sono il
dramma della creazione. Il Dio vero è coinvolto nella liberazione dei poveri e
non è coinvolto nella religione. Dio detesta i templi, i sacerdoti e i
sacrifici. La vera religione è l'amore attivo per i poveri oppressi perché si
liberino dall'oppressione. La vera religione - se c'è bisogno di usare una
parola tanto ambigua - è la lotta dei poveri per la loro liberazione. (…).
La questione è: chi parlerà in nome del Dio cristiano nel dialogo?
L'interlocutore cristiano parlerà del Dio di Gesù o del Dio degli imperatori
romani, inclusi tutti i loro eredi? Chi andrà a dialogare con gli indios e i
neri di America? Chi parlerà loro del cristianesimo? Dalla risposta dipende la
natura del dialogo: poiché il cristianesimo di cui si parlerà potrà essere lo
stesso monoteismo dei conquistatori o il messaggio di Gesù Cristo.
2.3. La grande crisi attuale della religione
Crisi non vuole dire decadenza, né pericolo, ma cambiamento, trasformazione
radicale. Non c'è pericolo per la religione, che ha il futuro garantito oggi
come lo aveva nel passato. Non c'è decadenza della religione, ma solo decadenza
di determinati tipi di religione e di determinate istituzioni religiose. (…).
Il potere nella società non è scomparso, è più forte che mai. Si è
concentrato, ma in istituzioni anonime e per questo ha poca visibilità. (...).
Oggi gli oppressori non sono persone, padroni della terra, presidenti, partiti
politici… L'oppressore è il sistema completo, che costituisce una forza che
domina il mondo intero. (…).
Il sistema può migliorare lo stato di fame che c'è in America Latina, ma non
può restituire la dignità all'immensa maggioranza di una popolazione che sa di
essere una pedina in mano a forze anonime. Questo è il posto dei cristiani, ma
costa, perché molti volevano una vittoria più immediata. Tutti volevano un
cambiamento rapido, ma l'esame del mondo mostra che è inutile sperare
l'impossibi-le. Sarà una lotta lunga in cui le comunità cristiane dovranno
presentare al mondo un'altra maniera di vivere, finché alla fine il sistema non
riconoscerà di aver fallito.
Allora, con chi andiamo a dialogare? Con tutti coloro che non accettano il
sistema e sono decisi a lottare contro di esso, non solo con parole e simboli,
ma con la loro vita, con la loro maniera di vivere, come isole in mezzo a un
mondo che non comprende perché un essere umano non possa essere felice come
semplice consumatore. (...). Con le altre religioni si dialoga se accettano di
entrare nella lotta contro questo sistema. In caso contrario, non vale la pena
dialogare e mancano argomenti di conversazione.
Siamo molto coscienti che la storia è molto più ampia dell'area di estensione
del cristianesimo, ma tutti siamo chiamati ad entrare nella stessa storia. Dio
non chiede se una persona è cristiana o musulmana o induista o confuciana…
tutto questo non gli interessa. Dio vuole sapere chi è coinvolto nella nascita
e nella crescita del suo popolo dei poveri. (…)
Alla teologia delle religioni possiamo proporre due temi di base.
Il primo è il tema della storia. In generale le religioni non si interessano
della storia. Nella Bibbia l'importante è la storia, il cammino reale,
materiale, storico seguito e creato dall'umanità chiamata da Yahvé alla libertà.
Questa storia coinvolge tutti gli uomini e le donne di tutte le religioni. Tutti
sono chiamati a porre le proprie forze al servizio di questa immensa marcia
dell'umanità verso la sua liberazione da quel peccato immenso che è la
dominazione dell'essere umano sull'essere umano.
In secondo luogo, c'è il tema dell'idolatria che è anch'esso basilare nella
Bibbia. L'idolatria non sono le religioni, ma l'uso della religione al servizio
del potere, della ricchezza, della dominazione. (...). Gesù arriva a definire
esattamente l'idolatria quando la identifica con la sottomissione al denaro.
Nella visione cristiana c'è un dualismo profondo, per quanto non definitivo:
alla fine si realizzerà l'unità, ma solo alla fine. Nella storia c'è una
lotta permanente tra il vero Dio e gli idoli, tra il falso e il vero. Gesù dirà:
tra il Padre e il denaro.
Per questo, la parola "Dio" non ci sembra molto conveniente e, oggi,
porta a molta confusione. Questa parola è culturale e non primordiale. Nella
Bibbia Dio non ha nome, neppure il nome Dio. Dio è colui che non ha nome perché
è al di sopra di tutte le culture e rappresenta l'universale. (…) È la
libertà pura che chiama alla libertà.
Dal momento in cui esiste questa storia unica che è lotta unica, tutte le
religioni sono interpellate perché tutte sono dentro la lotta, tutte
attraversate dalla dualità: tutte partecipano del bene e del male e tutte sono
chiamate a liberarsi. (...).
Per questo, insieme al dialogo con le religioni, è essenziale mantenere il
dialogo con gli atei, perché questo dialogo ci aiuterà e aiuterà tutte le
religioni a preservarsi dall'idolatria. In realtà, dobbiamo mantenere le porte
aperte al dialogo con gli atei. I primi cristiani furono condannati come atei.
Il dialogo con gli atei è importante per noi tanto come il dialogo con le
religioni. Bisogna mantenere l'equilibrio tra i due, perché la verità e nel
mezzo, o piuttosto a un livello superiore dove non si nota più la differenza
tra religione e ateismo.
ADISTA n° 46 del 18.6.2005