Corriere del Ticino (Svizzera) 21 aprile 2005
LA CHIESA CONTINUERÀ A SEGUIRE IL
VENTO DEL VATICANO II?
Intervista a Giuseppe Alberigo
Carlo Silini
Quale Chiesa lascia dietro di sé Giovanni Paolo II, o, se preferisce: quale
Chiesa deve affrontare ora Benedetto XVI?
"Lascia una Chiesa complessa che è segnata dall'impegno per la pace, che
negli anni più recenti è stato molto significativo per il pontificato di
Gio-vanni Paolo II. Una Chiesa chiamata a riconoscere i propri errori e che fa
fatica ad allenarsi in questa direzione. Ma l'impegno di Giovanni Paolo II anche
su questo aspetto è stato molto significativo e credo che non potrà essere
cancellato. Negli ultimissimi anni abbiamo assistito però pure ad una
fortissima personalizzazione della Chiesa nel Papa. Questo è un aspetto talora
meno con-vincente".
Perché?
"Perché la Chiesa è una grande comunità di credenti che non può mai
essere sintetizzata in modo adeguato in una sola persona, per quanto
significativa possa essere. Certamente l'impegno televisivo, anzi, l'onnipotenza
televisiva di papa Wojtyla ha trasformato spesso le comunità di fedeli in
incontri di folle".
Con quali conseguenze?
"Un altro aspetto di questa Chiesa che esce dal lungo pontificato di
Gio-vanni Paolo Il è un'abitudine più ad applaudire e a obbedire che ad avere
una responsabilità in prima persona. È un aspetto venuto alla luce alla
lunga".
Quale altra caratteristica vale la pena di rilevare nella Chiesa di oggi?
"Wojtyla ha ripetutamente insistito sul dialogo tra i cristiani e tra i
cattolici con gli appartenenti ad altre fedi religiose. Ma spesso è stato più
un desiderio, un'aspirazione che una effettiva realtà. Un ultimo aspetto di un
qualche interesse è che con il Concilio Vaticano Il la Chiesa era uscita dalla
lunga stagione dell'eurocentrismo. Con questo Papa di provenienza polacca che ha
girato tutto il mondo, abbiamo visto però un processo di rieuropeizzazione, di
ricentramento sull'Europa dal punto di vista delle preoccupazioni, dei
contenuti, del modo di gestire il pontificato che lascia qualche perplessità".
Anche perché numericamente il cattolicesimo è ormai più forte in altri
continenti...
"Naturalmente. Il cattolicesimo europeo non è più maggioritario né è il
più significativo da nessun punto di vista".
Si riferisce al fatto che oggi la ricerca teologica si sviluppa egregiamente
anche in altre parti del pianeta?
"Fortunatamente c'è anche l'Africa, l'Asia, l'America Latina. La teologia
della liberazione con Gutierrez e altri ha testimoniato che ci sono riflessioni
teologiche significative che costituiscono un progresso e che non vengono per
niente dall'Europa".
Queste nuove piste di riflessione, la teologia della liberazione, il dialogo
interreligioso in Asia, la teologia dell'inculturazione in Africa non hanno
tuttavia trovato grande udienza presso l'allora cardinale Ratzinger.
"Certamente. In questo senso parlavo di un ritorno all'eurocentrismo e in
una certa misura addirittura ad un Romanocentrismo. L'attenzione del Papa forse
c'è anche stata, ma quella dei suoi collaboratori e della sua struttura
centrale, quella romana, è stata invece molto meno intensa".
Fino a che punto Giovanni Paolo Il ha fatto proprie le intuizioni del
Concilio Vaticano II?
"La prima cosa da dire è che non si può non riconoscere il fatto che
Gio-vanni Paolo II ha ripetutamente, anzi, incessantemente, fatto riferimento al
Concilio. E da ultimo c'è un intero punto del suo testamento, l'unico ri-volto
verso il futuro, dedicato all'importanza e alla normatività del Concilio
Vaticano II. Da questo punto di vista c'è stata un'adesione
incondizionata".
E la seconda cosa da dire?
"È che nello stesso tempo, nei fatti, nel modo di governare la Chiesa, si
ha l'impressione di un atteggiamento molto più tiepido. Un atteggiamento che è
rimasto coerente con lo stile che aveva tenuto l'allora vescovo di Cracovia
durante il Concilio. Il Papa era stato al Concilio come membro dell'episcopato
polacco. Si era impegnato soprattutto nei lavori sulla Gaudium et Spes,
la Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, ma era un atteggiamento
fortemente riservato che non ha mai sposato fino in fondo la causa del Concilio.
Una tiepidezza che è rimasta anche nei decenni successivi e malgrado l'elezione
al pontificato. C'è un test per me cruciale di questo atteggiamento".
Quale?
"Col Concilio tutta la problematica relativa al rapporto della Chiesa
cattolica con le altre confessioni e Chiese cristiane era stata tolta al
Sant'Uffizio, che fino a quel momento ne aveva la competenza, ed era stata
affidata a un organo completamente nuovo, creato da Giovanni XXIII che era il
Segretariato per l'Unità dei cristiani. Quel segretariato aveva competenza per
i rapporti con i protestanti, con gli anglicani, con gli ortodossi sia di
Costantinopoli che di Mosca. Ahimé, durante l'ultimo pontificato, questa
condizione è stata in larga misura contraddetta: il Segretariato non è più un
organo autonomo, ma è diventato parte della Congregazione per la Dottrina della
Fede, l'ex Sant'Uffizio, che in questo modo ha rimesso le mani sulla tematica
ecumenica. Certamente questa è una contraddizione clamorosa dell'impostazione
del Concilio".
Quali sono le intuizioni conciliari non ancora realizzate sulle quali dovrà
chinarsi il nuovo Papa?
"Quanti hanno sentito il discorso d'apertura del Concilio l'11 ottobre 1962
ricordano l'impatto dell'enunciazione che fece il Papa di allora, Giovanni XXIII,
dicendo che la Chiesa da allora in avanti avrebbe preferito la medicina della
misericordia alle condanne. Era veramente una svolta epocale che la Chiesa
romana ha fatto fatica - durante i pontificati prima di Paolo VI e poi di
Giovanni Paolo Il - a fare propria. C'è stato impegno, le condanne sono state
meno frequenti e clamorose, ma certamente un'assunzione piena di questo stile di
misericordia mi sembra che sia ancora in cammino".
Questo in linea generale...
"Sì, un secondo aspetto a cui il Concilio aveva dato l'impulso per il
fatto stesso di avere riunito più di duemila vescovi per quattro anni a Roma è
quello di aver voluto intendere la Chiesa come una comunione, una sinfonia, una
comunità. È perciò il problema della conciliarità. Ora non solo non c'è più
stato un Concilio - questo lo si può capire, sono passati solo 40 anni - ma
tutti gli impulsi di tipo conciliare e sinodale che il Vaticano Il aveva dato
non hanno avuto seguito".
Quali impulsi?
"Ad esempio il Sinodo dei vescovi, che è rimasto sotto la condizione di
essere un organo puramente consultivo, e cioè fondamentalmente inutile. Poi non
c'è stata nessuna forma di collaborazione dell'episcopato col Papa, che si è
visto sopraffatto negli anni dagli impegni personali che gravavano tutti sulla
sua persona in un modo umanamente assurdo. E ancora: la valorizzazione della
responsabilità dei credenti comuni, dei cosiddetti laici, lascia ancora molto a
desiderare nell'impostazione della Chiesa cattolica".
Come mai non ci sono stati questi sviluppi?
"Un fattore molto importante è stata la resistenza della situazione
esistente. Il cattolicesimo ha vissuto dopo il Conci-lio di Trento per quattro
secoli secondo una certa impostazione. Uscire da quella impostazione esigeva ed
esige un impegno di lunga lena e durata che non può essere sottovalutato".
La mancata realizzazione del Concilio è quindi solo una questione di
un'antica mentalitàche non si riesce a cambiare?
"No. C'è anche stato un notevole disinteresse del Papa. Il Papa, al di là
delle dichiarazioni ufficiali, non ha mai mostrato di essere impegnato in prima
persona in questa attuazione del Concilio. E questo, data l'importanza che un
Papa come Giovanni Paolo Il ha nella Chiesa cattolica, è stato un fattore molto
rilevante. E non meno rilevante è stata la resistenza delle Congregazioni
romane e in modo particolare di quella diretta durante tutto l'ultimo
pontificato proprio dal cardinale Ratzinger, la Congregazione per la Dottrina
della Fede, che è stata la cerniera, il punto di massima resistenza nei
confronti degli impulsi conciliari".
Non è paradossale, se si pensa che proprio il nuovo papa è stato uno dei
teologi di punta del Vaticano Il?
"È paradossale, ma è vero: il cardinale Ratzinger ha spesso contraddetto
il teologo Ratzinger".
E i semplici credenti?
"Già, la mancata realizzazione di parte del Concilio va anche attribuita
alla disaffezione di molti credenti cat-tolici che in questi anni si sono visti
delusi nelle loro aspettative e nelle loro attese e hanno finito per cominciare
a non prestare più attenzione a questi aspetti".
Non sappiamo cosa ne pensi Ratzinger, ma è ipotizzabile un nuovo Concilio
per rilanciare la Chiesa del dopo Giovanni Paolo Il?
"Dal punto di vista del principio sì. Un nuovo Concilio è ipotizzabile
perché una Chiesa senza Concilii entra in sofferenza e deperisce. Questa è
un'esperienza secolare ed è stata ripetutamente teorizzata e non va mai
dimenticata. Se poi vogliamo attualizzare la questione, dobbiamo chiederci se ha
senso auspicare, come aveva autorevolmente fatto il cardinale di Milano qualche
anno fa, un nuovo Concilio cattolico. Oppure se non sarebbe meglio mettere in
pista un cammino di avvicinamento ad un Concilio che sia cristiano, cioè non
solo cattolico, ma con tutte le confessioni cristiane: protestanti, anglicani e
ortodossi. La prospettiva di un nuovo Concilio solo cattolico romano secondo me
è molto meno convincente rispetto al passato. Un Concilio solo cattolico nei
prossimi anni avrebbe senso? Non rischierebbe di essere più una forma di
trionfalismo cattolico che un passo verso l'unione dei cristiani?".
Forse un terreno su cui realizzare un incontro fra le confessioni cristiane
è quello del papato. Giovanni Paolo Il stesso aveva chiesto a tutti i cristiani
di ripensare al modo di esercitare il primato...
"Non c'è dubbio che questo sia stato un altro degli atti altamente
positivi di Giovanni Paolo II. Dobbiamo però aggiungere che la sua disponibilità
a riflettere su questo tema è stata puntualmente disattesa. Non è stata presa
sul serio soprattutto dai cattolici romani in nessun momento. E sono passati più
di dieci anni. Anzi, più le energie del Papa declinavano, com'era inevitabile,
più i suoi collaboratori hanno esasperato l'accentramento. Va anche aggiunto
che Giovanni Paolo II con la politica dei viaggi ha dato un ulteriore impulso a
smitizzare la centralità di Roma. Non erano più i cristiani che dovevano
andare a Roma a vedere il Papa, ma il Papa che si muoveva e andava presso le
Chiese e i cristiani. Speriamo che questo orientamento per un ripensamento del
papato venga mantenuto e sviluppato".
In quali direzioni?
"Da un lato in quella dell'attuale articolazione e dislocazione degli
uffici della Curia romana. Non è scritto da nessuna parte che gli uffici di
curia debbano stare a Roma. Alcuni potrebbero rimanervi, ma in parte potrebbero
essere spostati in Africa, in America Latina, in parte in Asia. In questo modo
la loro capacità di ascoltare le Chiese locali forse aumenterebbe".
E l'altra direzione?
"Potrebbe essere la creazione accanto al Papa di un piccolo Senato, un
piccolo consiglio che esprima la Comunione dell'episcopato, la cosiddetta
collegialità episcopale e collabori quotidianamente con il Papa. Come è già
avvenuto nel secondo Medioevo col collegio dei cardinali che si riuniva varie
volte la settimana per decidere le grandi questioni della Chiesa. Questo Senato
potrebbe di nuovo fiancheggiare il Papa e spersonalizzare la funzione del Papa
ed evitare quell'aspetto, che abbiamo visto in televisione con non poca
sofferenza, di un Papa in un qualche modo schiacciato dalle sue responsabilità".
Ma non sarebbe meglio creare un Senato di vescovi indicati dalle conferenze
episcopali nazionali invece che un Senato di cardinali, cioè di persone scelte
direttamente dal Papa?
"Non c'è dubbio che dovrebbe essere un senato di vescovi eletti dalle
Conferenze episcopali. Questo non sarebbe alternativo al Sinodo dei vescovi con
poteri decisionali. Ci sono due aspetti nella vita della Chiesa: il governo, che
esige un organo molto piccolo che potrebbe essere questo Senato di una decina di
persone che collaborano col Papa, e l'aspetto legislativo che potrebbe essere
riconosciuto al Sinodo dei vescovi. Purché possa prendere vere e proprie
decisioni e non solo esprimere pareri che rimangono lettera morta".
Tutti conosciamo bene il nuovo papa, ma ignoriamo se e come cambierà in
futuro. Ma lei quale papa aveva sognato?
"Un Papa che sia un Padre non nel senso del paternalismo, ma nel senso
della forza. Giovanni XXIII sottolineava sempre il fatto che il suo titolo
doveva essere "padre e pastore", nel senso di una paternità
spirituale profonda. Ma anche un Papa che si senta in cammino, in ricerca. Cioè
un Papa che certamente sia il custode delle certezze della fede, ma nello stesso
tempo sia anche il promotore della ricerca dei cristiani che sanno che il
Vangelo è sempre più grande di ogni momento della Chiesa e questo esige
un'attitudine di cammino e di ricerca. Un Papa, in fondo, che non dimentichi mai
che la Chiesa ha un unico Signore che è Cristo e che lui è solo il servo dei
servi e niente più di questo. E un Papa che certamente deve avere il diritto,
se pensiamo a ciò che è accaduto nelle ultime settimane, di vivere e di morire
come un uomo comune, in modo semplice, nella fede, ma senza clamori e senza
trionfalismi".