CARO PAPA BENEDETTO...

Caro papa Benedetto,

pochi cristiani e pochi preti hanno il “privilegio” di aver ricevuto da te una lettera, con tanto di firma autografa. Ricordi? Sono trascorsi appena due anni. In realtà la tua lettera non era proprio un attestato di amicizia e un documento di benedizione nei miei confronti. Poi anch’io ti scrissi il 3 marzo 2003, ma non ricevetti mai nessuna risposta.

Ora, con affetto e semplicità, torno a scriverti senza la pretesa di una tua risposta.

Ho subito letto il tuo primo messaggio di mercoledì 20 aprile 2005 al termine delle concelebrazione con i cardinali elettori. Capisco che in questi momenti si dice tutto e niente. Quindi la genericità delle tue affermazioni è più che comprensibile. Del resto i grandi della terra usano sempre parole vaghe per nascondere i loro veri intenti e amano fare proclamazioni ampollose per imbonire i sudditi e non lasciare intravvedere le manovre concrete.

Però ho notato, da buon conoscitore dei linguaggi delle potenze sacerdotali, che in mezzo a tanti enunciati comuni, non hai evitato alcune rigidità. Chi ti conosce da anni, ha subito notato il risalto che tu dai all’unità del corpo ecclesiale, al dogma della presenza reale nell’eucarestia, alla centralità della chiesa romana, alla certezza di possedere la verità da annunciare al mondo. Ti presenti come “pietra su cui tutti possono poggiare con sicurezza”. Che orrore! Che tragica illusione per te. Purtroppo sei un uomo che, nei pronunciamenti ufficiali di questi ultimi 30 anni, non ha mai conosciuto un dubbio, non ha mai cambiato idea su un punto importante, non ha mai ascoltato altre ragioni se non quelle dell’istituzione ufficiale.

Quante volte ripeti che sei il successore di Pietro, il vicario di Cristo, il Romano Pontefice… Fa impressione questa tua “consapevolezza” affermata, ripetuta, ribadita, enfatizzata. Aldilà dei tuoi sentimenti, queste parole non nascondono una arroganza istituzionale tipica del papato? E poi che cosa hai in comune con quell’umile pescatore di Galilea tu che siedi sul trono che umoristicamente chiamate “cattedra di Pietro”?

Nel tuo messaggio, caro papa Benedetto, hai anche detto qualche bugia clamorosa… Probabilmente hai voluto, più che mentire, mettere un po’ di umorismo e sollevare qualche sorriso per alleggerire il tono solenne di tutto il discorso.

Parli del tuo predecessore e dici che “Egli lascia una Chiesa più coraggiosa, più libera, più giovane”. C’è da ridere a crepapelle leggendo questa barzelletta.

Una chiesa più coraggiosa? Direi più arrogante, più alleata dei potenti, più ripiegata su se stessa, più televisiva e telematica, ma priva del coraggio di resistere agli idoli del denaro, del potere, almeno nelle sue istanze ufficiali.

Una chiesa più libera? Proprio tu che sei stato il più convinto e spregiudicato buttafuori di teologi, teologhe, gruppi, comunità di base, osi raccontare questa favola? Proprio tu che hai emarginato le donne con i tuoi documenti, che hai lanciato una vera persecuzione dei gay e delle lesbiche, parli di una chiesa più libera?

Una chiesa più giovane? Non lasciarti illudere da qualche piazza piena. Vai nelle messe domenicali o fatti dire quanta gioventù ormai ha salutato le chiese…

Voglio finire questa lettera con la pagina del teologo cattolico Herbert Haag che tu hai contribuito a emarginare ma i cui scritti hanno uno spessore ben diverso dai tuoi. Egli parla di alcuni processi che, già nel terzo secolo, hanno determinato la relegazione dei laici in un ruolo sempre più passivo: “Un’immagine eloquente, che esprime tale situazione, la troviamo nelle Pseudo-Clementine, un romanzo cristiano - il primo romanzo cristiano in assoluto - risalente alla prima metà del terzo secolo. In quest’opera Pietro da a Clemente, suo successore (!), indicazioni sull’esercizio del proprio ministero e sui doveri dei presbiteri, dei diaconi, dei catechisti e dei fedeli. La chiesa è paragonata ad una barca il cui timoniere è Cristo. Il vescovo è il secondo timoniere, i presbiteri sono i marinai, i diaconi i capi della ciurma, i catechisti sono gli ufficiali contabili. La “massa dei fratelli”, cioè i fedeli sono i passeggeri. Essi non conducono la nave, ma sono trasportati e affidati, in tutto e per tutto, alle capacità o incapacità dell’equipaggio: questa è l’immagine della chiesa clericale mantenutasi, attraverso i secoli, fino a oggi. L’immagine è completata dalla seguente raccomandazione: “I passeggeri siano seduti ai loro posti e non si muovano, affinché non provochino, con i loro spostamenti disordinati, pericolosi movimenti e sbandamenti della nave” (H. HAAG, Da Gesù al sacerdozio, Edizioni Claudiana, Torino 2001, pag. 121).

Caro papa Benedetto, temo che negli ultimi tempi il secondo timoniere abbia preso il posto del primo. E se lo richiamassimo in servizio quel Gesù di Nazareth che, tutto sommato, voi avete mandato in pensione, anche se lo avete sempre sulla bocca?

Fatti un po’ più piccolo perché la barca non è tua, il timoniere è solo Gesù e tutti/e siamo marinai e l’oceano nel quale navighiamo, tra mille incertezze, è opera di Dio. E tutti e tutte viviamo solo della benedizione, dell’amore accogliente, del sorriso di Dio. Tra di noi, messo da parte ogni mania dirigista, possiamo solo farci compagnia, pur nella diversità dei doni di Dio e dei ministeri.

Con affetto e con l’augurio di ogni bene.

don Franco Barbero

Pinerolo, 23 aprile 2005