Cadena Ser (Spagna) 19 aprile 2005
"RATZINGER? NELL'IMMEDIATO NON CI SARANNO GRANDI CAMBIAMENTI"
Intervista radiofonica* a mons. Casaldáliga, vescovo emerito di São Felix do Araguaia (Brasile)
Carlos Llama

Non so, monsignore, se lei avesse fatto delle previsioni e se queste si sono realizzate o meno: siamo curiosi di conoscere la sua opinione sulla figura del nuovo papa.
Una cosa è ciò che si desiderava, un'altra ciò che ci si poteva aspettare. Perché dobbiamo riconoscere che l'im-mensa maggioranza dei cardinali attuali sono stati nominati da Giovanni Paolo II e pertanto appartengono alla sua linea: è quanto ci si poteva aspettare. Sognavamo un cambiamento che, oggettivamente parlando, non si è verificato. Si può prevedere una continuità. Benedetto XVI è stato realmente, nel senso pieno della parola, il braccio destro (teologicamente) di Giovanni Paolo II, il suo teologo di curia. E perciò andremo avanti così. Non avrà il carisma personale di Giovanni Paolo II e, in tal senso, questo è un altro momento nella Chiesa.


Come si spiega che la fine del Conclave abbia provocato quella che alcuni hanno definito una delusione gigantesca per quanti si aspettavano un papa con maggiore ampiezza di vedute, con uno sguardo più benevolo verso altre opzioni, altre maniere di intendere oggi il messaggio di Cristo in terra?
Per me non è stata una delusione gigantesca, per quello che ho appena spiegato. Volevamo, sì - non pensavamo: volevamo - un altro tipo di papa. Ma quello che penso è questo: i cattolici e le cattoliche devono imparare a relativizzare la figura del papa. Il papa ha un ministero e questo rientra nella Chiesa cattolica, ma il papa non è la Chiesa, il papa non è Dio. Cosicché bisogna relativizzare ed essere adulti nella fede, e continuare a camminare; a insistere. Le grandi istituzioni cambiano soltanto in presenza di una forte pressione delle basi. La Chiesa, che ha molto di divino - perlomeno abbastanza, come tutto - ha anche molto di umano. E, anche nella Chiesa, solo la forza coerente, conseguente, universale delle basi obbligherà ai cambiamenti necessari: sul dialogo ecumenico, sul dialogo interreligioso, sulla corresponsabilità, sull'inculturazione, sull'ascolto dei clamori e delle necessità del mondo.


Ha avuto modo di incontrarsi con Ratzinger?
Sono stato, lo dico tra virgolette, processato da lui. Ma sono stato anche applaudito da lui. Quando ho avuto il problema della visita ad limina, delle visite al Nicaragua e al Centroamerica, della nostra Teologia della Liberazione, delle messe della causa nera e della causa indigena - tutto quel cammino in cui ero più o meno impegnato - sono stato chiamato a Roma e ho subìto una specie di interrogatorio, concretamente con il cardinal Ratzinger, con il cardinal Gantin e con quello che ora è il cardinale Re (all'epoca non ancora cardinale). Fu una conversazione un po' tesa. Ratzinger si mostrò molto intelligente, perché lo è (a volte ironico), e potemmo parlare. Egli chiedeva conto dei vari aspetti della Teologia della Liberazione: se la nostra liturgia fosse troppo impegnata con la realtà, con la politica; se queste messe della causa nera e della causa indigena fossero messe politiche… Io rispondevo, a modo mio. Ricordo che a un certo momento mi disse: "in realtà tutto si può provare in questo mondo", come per dire: ciascuno ha la sua opinione, no? Ma alcuni momenti furono comici. Io avevo scritto durante il mio viaggio in Nicaragua che tutti ci dovevamo convertire: la Chiesa si doveva convertire, il mondo si doveva convertire. Quando il processo terminò, dissi a cardinali e monsignori: "Potremmo pregare insieme un padre nostro, no?, visto che siamo fratelli". E Ratzinger, con una certa ironia, disse: "Perché si converta la Chiesa?". E io dissi: "Beh, sì, anche. Anche perché si converta la Chiesa, perché in fin dei conti è quello che siamo".


Lei dice che in quel processo Ratzinger arrivò a dire che, in ultima istanza, ciascuno ha la propria opzione. Tuttavia, nella messa "pro eligendo pontifice", questo cardinale, ora papa Ratzinger, ha lanciato un richiamo contro ogni tipo di sospetta dissidenza e ha condannato quello che ha definito dittatura del relativismo.
Si è mostrato soprattutto molto pessimista: è questo che ha attirato la mia attenzione come quella di molti altri. Confrontavo, per aprirmi maggiormente alla speranza, la parola di Ratzinger, che ancora non era papa, con la parola di Gesù: la barca nella tempesta. Il cardinale, che era ancora il card. Ratzinger, parlava di paura. Gesù diceva: "Non abbiate paura, gente di poca fede". Io credo che non è proprio di chi crede nel Vangelo avere paura. Dobbiamo avere prima di tutto e soprattutto speranza. E dare ciascuno il proprio contributo. Pregherò tutti i giorni per il nuovo papa, come pregavo per Giovanni Paolo II. Credo nel suo ministero; ma, a partire dalla mia piccolezza, voglio aiutarlo a cambiare il modo del ministero, lo stile, e con il tempo questo si farà: se non è oggi sarà domani.


Crede che sia possibile, mons. Casaldáliga, venire a conoscere un Ratzinger nuovo, da papa, rispetto a quello che abbiamo conosciuto da cardinale?
Già è stato diverso. Scrisse un libro sul popolo di Dio che tutti i teologi della Liberazione firmerebbero. Dopo cambiò, soprattutto prima di andare alla curia, e nella curia. Può essere che il papato, l'esperienza, la grazia dello stato, lo cambi di nuovo. Ma, per essere realisti, nell'immediato non possono attendersi grandi cambiamenti.


Si dice che il papa anteriore, Giovanni Paolo II, riempiva gli stadi, ma che non era capace di riempire le chiese. Questo è un segno di salute della Chiesa? In tal senso, Ratzinger cosa implica: convoca o disgrega ancora più il mondo dei cattolici?
I mezzi di comunicazione oggi hanno un grande potere di convocazione. La partecipazione quotidiana-settimanale è già un'altra cosa. Una cosa è l'entusiasmo in un grande congresso che è un po' preghiera, canto, show, novità, turismo, e altra cosa è la vita cristiana quotidiana, di servizio ai poveri, la lotta per la giustizia e per la pace. Tutti troviamo facile partecipare agli show e tutti fuggiamo la croce quotidiana.


Da tutte le parti si sentono lodi alla figura di Giovanni Paolo II, logiche, d'altra parte, al momento della morte: aveva scelto lui quasi tutti i cardinali con diritto di voto. In questo senso, si può dire che il Vaticano sia vittima della sua stessa dinamica, della sua stessa maniera di intendere l'organigramma della Chiesa cattolica?
Bisognerebbe cambiare la stessa curia, lo stesso modo di essere del papato. La struttura del papato dovrebbe essere altra. Il papa non dovrebbe essere in nessun modo capo di Stato. Si dovrebbe riconoscere, nella pratica e non solo nella teoria, la collegialità, la corresponsabilità di tutti e tutte. Si esige un cambiamento fondamentale che la sola persona del papa non potrà fare. Deve essere un cambiamento struttu-rale, anche e prima di tutto per il bene della stessa Chiesa cattolica. Dopo, molto importante, per il dialogo con le altre Chiese cristiane e con le altre religioni. E per dare testimonianza al mondo: il mondo vuole democrazia, noi nella Chiesa vogliamo più che democrazia: vogliamo una vita familiare fraterna. Il papa, il vescovo, il sacerdote, non valiamo né più né meno di qualsiasi nonnetta dell'interno di questa regione in cui vivo. Abbiamo solo il mini-stero, rispettabile e necessario, ma da esercitare con molta più semplicità e con la partecipazione di tutti. Il papa non può essere un monarca assoluto, la Chiesa non può essere una commissione di aristocratici spirituali. Dobbiamo essere più fraterni, più solidali, più corresponsabili.

* trascritta da "Eclesalia"

ADISTA n° 34 del 7.5.2005