Non so, monsignore, se lei avesse fatto delle
previsioni e se queste si sono realizzate o meno: siamo curiosi di conoscere la
sua opinione sulla figura del nuovo papa.
Una cosa è ciò che si desiderava, un'altra ciò che ci si poteva aspettare.
Perché dobbiamo riconoscere che l'im-mensa maggioranza dei cardinali attuali
sono stati nominati da Giovanni Paolo II e pertanto appartengono alla sua linea:
è quanto ci si poteva aspettare. Sognavamo un cambiamento che, oggettivamente
parlando, non si è verificato. Si può prevedere una continuità. Benedetto XVI
è stato realmente, nel senso pieno della parola, il braccio destro
(teologicamente) di Giovanni Paolo II, il suo teologo di curia. E perciò
andremo avanti così. Non avrà il carisma personale di Giovanni Paolo II e, in
tal senso, questo è un altro momento nella Chiesa.
Come si spiega che la fine del Conclave abbia provocato quella che alcuni
hanno definito una delusione gigantesca per quanti si aspettavano un papa con
maggiore ampiezza di vedute, con uno sguardo più benevolo verso altre opzioni,
altre maniere di intendere oggi il messaggio di Cristo in terra?
Per me non è stata una delusione gigantesca, per quello che ho appena spiegato.
Volevamo, sì - non pensavamo: volevamo - un altro tipo di papa. Ma quello che
penso è questo: i cattolici e le cattoliche devono imparare a relativizzare la
figura del papa. Il papa ha un ministero e questo rientra nella Chiesa
cattolica, ma il papa non è la Chiesa, il papa non è Dio. Cosicché bisogna
relativizzare ed essere adulti nella fede, e continuare a camminare; a
insistere. Le grandi istituzioni cambiano soltanto in presenza di una forte
pressione delle basi. La Chiesa, che ha molto di divino - perlomeno abbastanza,
come tutto - ha anche molto di umano. E, anche nella Chiesa, solo la forza
coerente, conseguente, universale delle basi obbligherà ai cambiamenti
necessari: sul dialogo ecumenico, sul dialogo interreligioso, sulla
corresponsabilità, sull'inculturazione, sull'ascolto dei clamori e delle
necessità del mondo.
Ha avuto modo di incontrarsi con Ratzinger?
Sono stato, lo dico tra virgolette, processato da lui. Ma sono stato anche
applaudito da lui. Quando ho avuto il problema della visita ad limina, delle
visite al Nicaragua e al Centroamerica, della nostra Teologia della Liberazione,
delle messe della causa nera e della causa indigena - tutto quel cammino in cui
ero più o meno impegnato - sono stato chiamato a Roma e ho subìto una specie
di interrogatorio, concretamente con il cardinal Ratzinger, con il cardinal
Gantin e con quello che ora è il cardinale Re (all'epoca non ancora cardinale).
Fu una conversazione un po' tesa. Ratzinger si mostrò molto intelligente, perché
lo è (a volte ironico), e potemmo parlare. Egli chiedeva conto dei vari aspetti
della Teologia della Liberazione: se la nostra liturgia fosse troppo impegnata
con la realtà, con la politica; se queste messe della causa nera e della causa
indigena fossero messe politiche… Io rispondevo, a modo mio. Ricordo che a un
certo momento mi disse: "in realtà tutto si può provare in questo
mondo", come per dire: ciascuno ha la sua opinione, no? Ma alcuni momenti
furono comici. Io avevo scritto durante il mio viaggio in Nicaragua che tutti ci
dovevamo convertire: la Chiesa si doveva convertire, il mondo si doveva
convertire. Quando il processo terminò, dissi a cardinali e monsignori:
"Potremmo pregare insieme un padre nostro, no?, visto che siamo
fratelli". E Ratzinger, con una certa ironia, disse: "Perché si
converta la Chiesa?". E io dissi: "Beh, sì, anche. Anche perché si
converta la Chiesa, perché in fin dei conti è quello che siamo".
Lei dice che in quel processo Ratzinger arrivò a dire che, in ultima
istanza, ciascuno ha la propria opzione. Tuttavia, nella messa "pro
eligendo pontifice", questo cardinale, ora papa Ratzinger, ha lanciato un
richiamo contro ogni tipo di sospetta dissidenza e ha condannato quello che ha
definito dittatura del relativismo.
Si è mostrato soprattutto molto pessimista: è questo che ha attirato la mia
attenzione come quella di molti altri. Confrontavo, per aprirmi maggiormente
alla speranza, la parola di Ratzinger, che ancora non era papa, con la parola di
Gesù: la barca nella tempesta. Il cardinale, che era ancora il card. Ratzinger,
parlava di paura. Gesù diceva: "Non abbiate paura, gente di poca
fede". Io credo che non è proprio di chi crede nel Vangelo avere paura.
Dobbiamo avere prima di tutto e soprattutto speranza. E dare ciascuno il proprio
contributo. Pregherò tutti i giorni per il nuovo papa, come pregavo per
Giovanni Paolo II. Credo nel suo ministero; ma, a partire dalla mia piccolezza,
voglio aiutarlo a cambiare il modo del ministero, lo stile, e con il tempo
questo si farà: se non è oggi sarà domani.
Crede che sia possibile, mons. Casaldáliga, venire a conoscere un Ratzinger
nuovo, da papa, rispetto a quello che abbiamo conosciuto da cardinale?
Già è stato diverso. Scrisse un libro sul popolo di Dio che tutti i teologi
della Liberazione firmerebbero. Dopo cambiò, soprattutto prima di andare alla
curia, e nella curia. Può essere che il papato, l'esperienza, la grazia dello
stato, lo cambi di nuovo. Ma, per essere realisti, nell'immediato non possono
attendersi grandi cambiamenti.
Si dice che il papa anteriore, Giovanni Paolo II, riempiva gli stadi, ma che
non era capace di riempire le chiese. Questo è un segno di salute della Chiesa?
In tal senso, Ratzinger cosa implica: convoca o disgrega ancora più il mondo
dei cattolici?
I mezzi di comunicazione oggi hanno un grande potere di convocazione. La
partecipazione quotidiana-settimanale è già un'altra cosa. Una cosa è
l'entusiasmo in un grande congresso che è un po' preghiera, canto, show, novità,
turismo, e altra cosa è la vita cristiana quotidiana, di servizio ai poveri, la
lotta per la giustizia e per la pace. Tutti troviamo facile partecipare agli
show e tutti fuggiamo la croce quotidiana.
Da tutte le parti si sentono lodi alla figura di Giovanni Paolo II, logiche,
d'altra parte, al momento della morte: aveva scelto lui quasi tutti i cardinali
con diritto di voto. In questo senso, si può dire che il Vaticano sia vittima
della sua stessa dinamica, della sua stessa maniera di intendere l'organigramma
della Chiesa cattolica?
Bisognerebbe cambiare la stessa curia, lo stesso modo di essere del papato. La
struttura del papato dovrebbe essere altra. Il papa non dovrebbe essere in
nessun modo capo di Stato. Si dovrebbe riconoscere, nella pratica e non solo
nella teoria, la collegialità, la corresponsabilità di tutti e tutte. Si esige
un cambiamento fondamentale che la sola persona del papa non potrà fare. Deve
essere un cambiamento struttu-rale, anche e prima di tutto per il bene della
stessa Chiesa cattolica. Dopo, molto importante, per il dialogo con le altre
Chiese cristiane e con le altre religioni. E per dare testimonianza al mondo: il
mondo vuole democrazia, noi nella Chiesa vogliamo più che democrazia: vogliamo
una vita familiare fraterna. Il papa, il vescovo, il sacerdote, non valiamo né
più né meno di qualsiasi nonnetta dell'interno di questa regione in cui vivo.
Abbiamo solo il mini-stero, rispettabile e necessario, ma da esercitare con
molta più semplicità e con la partecipazione di tutti. Il papa non può essere
un monarca assoluto, la Chiesa non può essere una commissione di aristocratici
spirituali. Dobbiamo essere più fraterni, più solidali, più corresponsabili.
* trascritta da "Eclesalia"
ADISTA n° 34 del 7.5.2005