Papa in nero
FILIPPO GENTILONI

Habemus papam: Joseph Ratzinger, come si prevedeva. Una nomina che non ci entusiasma. Anzi. Una scelta all'insegna della più rigida ortodossia cattolica, nonché della più lineare continuità con il pontificato del «grande» Karol Wojtyla. Il quale si potrebbe dire che in qualche modo abbia nominato il suo successore nel cardinale bavarese. Ratzinger, d'altronde, nei giorni della «sede vacante» non aveva in alcun modo smussato le sue posizioni. Tutt'altro. Almeno settantasette cardinali elettori sono stati d'accordo con lui: certamente non tutto il cattolicesimo, ma una sua parte probabilmente molto rilevante.

Un dato sul quale bisognerà riflettere: tutti coloro, e non sono pochi, che speravano in un vento nuovo dovranno aspettare ancora. Chissà per quanto.

Pochi giorni fa, infatti, Ratzinger aveva parlato del mondo moderno e della sua cultura in termini non soltanto negativi, ma drammatici. Ci troviamo, aveva detto, in una «dittatura del relativismo»: cioè su una china disastrosa. Soltanto la chiesa cattolica sarebbe in grado di fermarla, con la sua proposta di una verità assoluta, indiscutibile, salvatrice.

Un discorso che trova consensi fra i reazionari di tutto il mondo, a cominciare dal presidente americano Bush e da tutti i fondamentalisti che gli fanno da corte universale.

Per quanto riguarda il nostro paese, può essere istruttivo leggere le parole di Ratzinger accostate all'intervento del presidente del senato Marcello Pera in un recente volume dal titolo significativo «Senza radici» (Mondadori). Quelle «radici» cristiane che mancherebbero all'Europa e che ora il nuovo papa proporrà all'Europa e al mondo, come già chiedono a gran voce gli esponenti della destra italiana. Secondo il nuovo papa, «l'Occidente non ama più se stesso: della sua storia ormai vede soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro». Di questa «grandezza e purezza» sarebbe custode la chiesa di Roma, con il suo papa. E rivolto a Pera aggiunge: «Mi è gradito che lei - contrariamente a tanti laici - parli di persona fin dal concepimento». Ci sono già le premesse per le prossime battaglie referendarie. Parole alla luce delle quali fanno capire come la chiesa, con questa nomina, dimostra poca speranza e molta paura.

Se Wojtyla ha contribuito a sconfiggere il comunismo, Ratzinger riuscirà a sconfiggere il relativismo? La verità, quanti passi indietro dovrà fare nel suo cammino? E la chiesa cattolica a quante istanze dovrà rinunciare? La globalizzazione, l'ecumenismo, la donna e soprattutto i poveri del mondo? Istanze tutte che sfuggono che sono ben al di là della polemica contro il relativismo.

Si ha quasi l'impressione che dietro questa nomina non ci sia il concilio Vaticano II, con le sue aperture al dialogo e alla cultura moderna, ma piuttosto il concilio Vaticano I, quello di una chiesa arroccata nella pretesa di infallibilità di Roma.

Unica nota che forse ci consola nel giorno della elezione, la scelta del nome, che ricorda Benedetto XV, il papa che si adoperò, anche se inutilmente, contro la prima guerra mondiale, pur rimanendo piuttosto sordo nei confronti delle questioni sociali, demonizzando, anzi, il conflitto tra capitale e lavoro. Speriamo almeno che Benedetto XVI si impegni, non solo a parole, in prima persona, per la pace nel mondo.

il manifesto 20.4.2005