Referendum:
Ruini e altri
Giancarla
Codrignani
da il Foglio del Paese delle donne n. 3. 2005
Nessuna
si scandalizza se dico che sono proprio stufa. Tutti - vogliano trattare
accademicamente l’argomento, fare una legge, disfare una legge, sproloquiare
di etica, votare un referendum - parlano sulla fecondazione assistita; senza
aver mai consultato le donne, neppure come “corpi” direttamente interessati.
Domenica 23 gennaio Michele Serra, su Repubblica, ci chiama in ballo perché non
ci facciamo sentire sullo “spettacolo della devastante competizione tra maschi
che sta paralizzando il centro-sinistra”, dopo analoga reprimenda di Adriano
Sofri. Che cosa dovremmo fare? Chiedere di partecipare alla competizione?
sedurre Rutelli o Bertinotti e portarli alle Bahamas fino al 2006? farci monache
e chiedere udienza al card.Ruini per convertirlo?
Limitiamoci ai referendum sulla fecondazione assistita ed elenchiamo: le donne
hanno espresso con molte voci solidali le esigenze delle coppie infeconde
desiderose di avere quel figlio che la scienza OGGI consente loro di avere.
Hanno indicato come termini giuridici da normare (per evitare la
strumentalizzazione del “far west”) i controlli sul materiale genetico, la
garanzia della struttura pubblica, la gratuità delle donazioni, la prevenzione
delle speculazioni. Hanno ragionato sull’alternativa dell’adozione
riconoscendo che il desiderio di generare, essendo, in molti casi,
insopprimibile, va affidato alla consapevolezza delle singole coppie. Hanno
fatto presente la durezza per il corpo femminile delle pratiche necessarie e
l’autenticità del volerle perseguire. Hanno sostenuto la legittimità della
fecondazione eterologa, ricordando che, chi malauguratamente esercitasse
controlli a tappeto sul Dna, scoprirebbe che più del 10% delle nascite sono
spurie. Hanno anche chiesto che la single possa legittimamente essere ammessa
alle pratiche, visto che non le è vietata la via “naturale” del
“peccato” con il primo che passa….
Risultato: tranne qualche scienziato, nessuno ha mai preso in considerazione le
nostre ragioni; non il governo che ha imposto la legge; non i partiti che hanno
redatto proposte democratiche e che, ancor oggi cercherebbero una mediazione con
la destra; non i proponenti dei referendum, prevalentemente maschi e tesi a
vincere una battaglia ”loro”; non la Corte costituzionale che non ha avuto
il coraggio di consentire il referendum abrogativo. Su questo sfondo le voci
delle donne parlamentari sono risultate fioche e non hanno avuto visibilità
nell’informazione. La ministra alle PO, Prestigiacomo, che si dice ora
favorevole ai referendum, ha votato come un sol uomo con FI.
Buon ultimo, interviene a dire la sua ai cattolici il presidente della Cei.
Certamente è uscito dal rispetto degli equilibri Stato/Chiesa e ha cercato di
strumentalizzare l’elettorato, invitandolo a non andare a votare e favorendo
il governo. Che torni a limitare la libertà femminile in nome dell’ortodossia
cattolica è un’irrilevanza.
Enunciare la propria verità, dunque, alle donne non basta. Solo che è tempo di
chiedersi se la solitudine in cui si trovano giustifica il loro perseverare nel
silenzio. L’aspetto che mi preoccupa è il riproporsi del “modello unico”
accettato da generazioni giovani che si sentono “uguali”. E il cardinal
Ruini può rappresentare un bel rischio: l’astensione non per seguire i
dettami della Chiesa, ma perché siamo sfiduciate.
Sarà una fatica tremenda, senza rete, ma bisognerà reagire: il referendum può
essere un momento salutare per ricondurre noi stesse – e le più giovani in
particolare – a riprendere a fare politica di “donne non uguali”. Forse
l’invito di Ruini a non andare a votare può rappresentare un’opportunità.